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Inserisco in questa pagina introduttiva alla Recensioni la lettera di Emilia Jona Pardo il cui figlio diede qualche anno fa la "medaglia dei giusti" ai coniugi Custo che al tempo delle leggi razziali li avevano salvati dando loro ospitalità.

La lettera del 23/1/92 è dedicata al mio libro sulle Scrittrici in cui l'autrice paragonava la mia scelta di personalità diverse all'ascolto del canto degli uccelli .

Così ricordavo e invece in modo più colto Emilia mise una citazione da Victor Hugo: "la mia anima dalle mille voci..." e la ritrovate appunto nella lettera sotto riportata.

 

Il senso è il medesimo e la mia sovrapposizione mentale forse è dovuta al fatto che amo davvero il canto degli uccelli quando si svegliano o vanno a dormire cose che del resto psso ascoltare solo in campagna. 

Mi sembra che quella sua frase ben si adatti anche ai tanti libri da me letti per le recensioni e che costituiscono come un "coro" nel senso di quello greco di coscienza al nostro quotidiano, al NOSTRO VIVERE

 

Non ritengo sia una violazione di privacy pubblicare una lettera privata a me indirizzata e che molta gioia mi arrecò nel senso che tornando alla frase di Elitis che ho voluto come mia presentazione del libro delle Scrittrici sull'Agenda Lo Faro (riportata a fine pagina "Donne, giornaliste e... ciciuciò"), il Nobel Elitis per l'appunto scrive:

 

           ..."Non è escluso che un giorno prenda consistenza un genere di vita nel quale anche il minimo particolare di carattere personale  acquisti dell'interesse pubblico,

e dove, parimenti, tutti gli avvenimenti pubblici costituiscano questione personale di ciascuno di noi".

 

 

 

 

INDICE  CORO AL VIVERE

Lettera Emilia Jona Pardo 23 gennaio 1992

Borges  - I giusti -

Il figlio di Emilia dà la medaglia dei Giusti ai coniugi Custo che salvarono la famiglia Pardo durante la guerra Settimanale cattolico aprile 1990

Maria Clotilde Giuliani: Il bsinonno Boveri e "nostro dovere di difendere i valori della borghesia da cui discendiamo": ecco qualcosa d'importante per cui scrivere!

Oriana Fallaci in Scrittrici  del '900 italiano di M.L. Bressani (1991) per far capire cos'é una donna giornalista e scrittrice.

Da Oriana Fallaci: "Brandelli d'anima" titolo alla mia introduzione al saggio su di lei in Scrittrici del '900 italiano (1991)

Scopo del Sito e del mio scrivere: scrivere come "partecipazione e testimonianza", scrivere per "fame d'umanità"

I assegno mai riscosso del I pagamento per il I articolo sul Giornale , 27/2/1983

cartolina ringraziamento di Carlo Carbone, forestale e artigiano salesiano che faceva i giochi in legno ai Parchi di Nervi, per la mia prima intervista a lui, ma poi non pubblicata dal Giornale, 8 ottobre 1982

I miei esordi giornalistici: Le mucche di Neirone da Il giornale 9 gennaio 2010 

Indro Montanelli Ricordo di  Renzo Trionfera Il Giornale 20 agosto 1983

Alessandra Perrazzelli avvocato, guida del Gruppo Barclays in Italia e già vincitrice del Premio Marisa Belisario

Cos'è una Recensione dal Battaglia, Grande Dizionario Enciclopedico della Lingua Italiana in XXI volumi, ciascuno di circa 1000 pagine (Utet)

Cos'è per me una Recensione: cercare l'anima e il pensiero di chi scrive.

E cosa deve ottenere una recensione?

 

Avvertenze sul significato dei colori usati nelle varie pagine del Sito

e sul perché dopo esser partita con le recensioni scritte per il Giornale (pagine di Genova) in dieci anni fino al 2013

poi abbia introdotto da altre testate miei articoli antichi ma non invecchiati e che hanno significato come "Coro (= Voci di commento e di coscienza)" al nostro quotidiano

 

Lettera di Emilia Jona Pardo

a M. L. Bressani

per  "Scrivere o ricamare. Scrittrici del '900 italiano"

 

  

Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire

Chi è contento che sulla terra esista la musica

Chi scopre con piacere un’etimologia

Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli

                                                        Scacchi

Il ceramista che intuisce un colore e una forma

Il tipografo che compone questa pagina che forse non gli piace

Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo                                             

                                                        Canto

Chi accarezza un animale addormentato

Chi giustifica o chi vuole giustificare un male che gli hanno

                                                        fatto

Tali persone, che s’ignorano, stanno salvando il mondo.

 

Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson

Chi preferisce che abbiano ragione gli altri

 

 

Inserisco ora questi versi di Jorge Luis Borges su chi è giusto che trovo molto veri.

 I GIUSTI

Renato Jona dà la Medaglia dei Giusti

ai coniugi Custo

 

 

 

Il mio saggio su Oriana come quello su Natalia Ginzburg avrei voluto farlo avere alle interessate però non sapevo come fare e così loro, le protagoniste di Letteratura cui erano indirizzati, non li avranno mai letti. "Peccato!" e mi sembra di essere Ondina di Giraudoux che pronuncia queste parole quando vede il corpo del principe per cui aveva cercato di diventare donna, questo nel senso che ho amato queste due scrittrici come dimostro in ciò che ho scritto su di loro e se loro avessero conosciuto le mie parole scritte può essere che un poco mi avrebbero amata e come disse una volta in pubblico Minnie Alzona (grande scrittrice penalizzata dal fatto di vivere inLiguria e quindi di poter poco essere conosciuta a livello nazionale): "Mi piace tanto essere amata per ciò che scrivo!"

Di Natalia Ginzburg troverete una poesia (pagina I Maestri) che si legge raramente e che lei dedicò in morte al marito Leone, ma che rappresenta bene la solitudine di chi scrive, dell'essere compresi e quindi accolti nel cuore altrui, anche in una città affollata d'anime.

Riguardo la farina del mio mulino immaginario (la scrittura), l'avete vista premessa allo stralcio dal mio saggio su Oriana Fallaci, ma riporto ancora da quell'introduzione  il "Brandelli d'anima"  piccola premessa al saggio vero e proprio che indicava il mio personale coinvolgimento emotivo e poi faceva seguito il I capitolo dal titolo "Scrivere come partecipazione e testimonianza":

Oriana Fallaci da Scrittrici del '900 italiano di M.L.Bressani (1991)

Lo scopo del mio Sito: scrivere come partecipazione e testimonianza, scrivere per "fame d'umanità"

Lo scopo del Sito è denunciato nel titolo ma prendo spunto anche da alcune riflessioni di altri giornalisti ad un Convegno a Reggio Emilia per la Festa di San Francesco di Sales patrono dei giornalisti in questo fine gennaio 2014 e riportato su La Trebbia:

"Informare significa una passione vera per i fatti", o "far incontrare nelle nostre pagine perone vicine o lontane" (= attraverso la nostra scrittura suscitare aggregazione, interesse per ciò che scriviamo) e altro fattore di grande importanza, in quel Convegno si è accennato al messaggio della giornata delle comunicazioni sociali: "la trasparenza dello sguardo di un comunicatore" (= l'invito nella Polis moderna a non essere carichi di pregiudizi e ipocrisie) e questo terzo tema mi riporta a ciò che scrissi, nella mia tesi sul Cittadino in cento anni di storia, proprio di Ernesto Calligari, pseudonimo "mikròs" che in greco significa "piccolo" il direttore dopo 12 anni dalla fondazione nel 1873  che ne determinò la crescita per l'influenza guadagnata dal giornale fra gli amici concittadini e  anche fra gli avversari. Mikròs aveva fatto suo lo stile conciliatore che era stato nello spirito del fondatore Maurizio Dufour  e si era schierato per la discesa in politica dei cattolici contro i liberali capeggiati da Stefano Castagnola che avevano nelle loro mani il Municipio genovese ed erano accesamente anticlericali, ma Mikròs predicava una "virtù" o "dovere" in primis per il giornalista cattolico: "Un uomo di vetro e cristallo. di limpida trasparenza e con la preziosità di un cristallo. Mille sfaccettature, un'unica luce. E la fragilità, che è di ogni uomo: un'ombra può far velo alla purezza". Aggiungeva: "Può resistere intatto nei secoli, ma può essere disrutto con facilità in un momento".

Ecco di fronte allo scorrere inesorabile del tempo che fin dei letterati e dei filosofi ne salva ben pochi, come può un giornalista e in particolare uno intelligente come Mikròs, aver creduto di poter sconfiggere il tempo, di vincere la gara con esso?.  

Penso che l'unico giornalismo che si salva è quello di ricerca, non il giornalismo politico. Pur se grande resta legato alle vicende del tempo che poi non mancano di ripetersi quasi uguali in epoche successive e l'ho constatato leggendo agguerriti articoli di mons. Luigi Andrianopoli direttore del Cittadino dal dopoguerra all'avvento del centro-sinistra in Genova: articoli molto intelligenti anche su questioni internazionali e sul gioco delle potenze ma confinati per lo studioso solo a chi scorra la loro raccolta,  articolo dopo articolo, conservati quelli di Andrianopoli incollati sulle pagine di grandi Album fotografici e consultabili alla Franzoniana.

Il giornalismo che si salva, ora che è facile accedere con la digitalizzazione anche alle raccolte on-line, è comunque solo quello di ricerca e nel mio piccolo additavo come immarcescibili gli articoli sulle Chiese (il patrimonio artistico)  e i Santi cui sono dedicate, oppure quelli sulla storia di un luogo e quindi lode e interesse massimo per i ricercatori locali, spesso persone che vengono da esperienze di vita o lavorative disparate ma che nella loro maturità si dedicano con amore a questa ricerca delle proprie radici attraverso la storia e le persone importanti del luogo dove sono nati. Nel mio Sito a questi ricercatori ho dato il maggior risalto con ammirazione per la loro opera.

C'è poi da parte mia un ultimo senso o scopo di questa raccolta e lo desumo per analogia portandovi un aneddoto della scorsa estate.

In montagna, nella pausa estiva, da alcuni anni mi piace raccogliere fiori che poi faccio seccare e mi fanno compagnia per tutto l'inverno. Non sapevo ad esempio che la cosiddetta regina  delle Alpi (raccolta ora proibita) funge da barometro e continua ad aprire e chiudere i petali argentei (come fosse una grande margherita d'argento e un po' spinosa) a seconda dell'umidità.

L'estate passata ho visto sulle sponde erbose di una stradina montana dei fiori che mi piacquero molto: alti sul gambo e con una larga corona però allargata in modo che tra un gambetto e l'altro di essa passava l'aria si vedeva il manto erboso o il cielo: fiori come un ricamo trasparente. Ne raccolsi un mazzo gigantesco e una signora che incontrai durante la passeggiata mi disse: "Che belli! Cosa sono?" "Non lo so", le risposi "ma mi piacciono" e lei: "Direi che son fiori di finocchio".

Tornata a Genova scoprii sulla scatola di una tisana in bustine quei fiori ed era la tisana di finocchio. E' venuta in visita la mia nipotina più piccola che il 20 febbraio compie sei anni e subito l'ho portata dai miei fiori nel vaso e le ho spiegato che erano di finocchio e glieli ho fatti disegnare. Spero non dimentichi più quel nome e lo scopo di questo Sito è anche dare ad un eventuale lettore quel piacere disinteressato ma forte che mi ha coinvolto nel mio modesto giornalismo. Per cui mi sono suonate molto strane le parole di Minnie Alzona quando presentò alla Berio le Lettere dei miei genitori ed esordì - immagino per l'affetto che aveva per me - dicendo che si meravigliava nel mio giornalismo mi fossi "accontentata" mentre avrei potuto essere "un'opinionista di rilievo" (ed infatti queste sue parole le ho omesse dalla sua presentazione di quel giorno che riporto alla pagina "I Maestri", per me le conservo ma non le ridico e solo chi era allora presente le sa se le ricorda). Invece no, non so se mi sono accontentata ma sono stata felice del piccolo che facevo magari prendendomi il lusso talvolta di esprimere qualche giudizio anche politico, ma sia negli articoli come nelle recensioni sempre nelle due righe finali. Ho tenuto a mente quello che un tempo si definiva giornalismo all'inglese: "Fare cronaca, riferire i fatti e magari commentare ma solo alla fine e distinguendo bene dai fatti il proprio commento personale".

A riprova della mia modestia riporto ora fotocopia del mio primo pagamento al Giornale, arrivato il 10 agosto 1983  come vedete pur se per l'articolo sull'equo canone era uscito nel febbraio precedente e sotto metto anche la cartolina, dal Regio di Parma, di un forestale  e artigiano salesiano, Carlo Carbone che era l'esecutore dei "giochi in legno" ai parchi di Nervi e li ricavava dai tronchi delle piante tagliate quando la filosofia di vita e di chi lavorava era quella del "non spreco!"

Accompagnatemi in un sorriso ma quando quella piccola nipotina cui ho insegnato il nome dei fiori di finocchio sui tre anni soggiornò un po' da me perché reduce da una broncopolmonite con ricovero di due giorni al Buzzi di Milano, le insegnai quando le facevo il bagno che non bisogna sprecare e nemmeno sprecare quella schiumetta additiva nel bagnetto di bimbi che costituisce la loro gioia in quanto vi giocano. 

Quando uscimmo e vide per la prima volta una mareggiata dalla passeggiata a mare Anita Garibaldi la bimba mi gridò: "Nonna, hai visto quanto schiuma: che spreco!"

Torno in tema e al forestale Carlo Carbone: se vedete la data della cartolina è di un anno prima dell'8 ottobre 1982 ma perché appunto un anno prima mi ero presentata al Giornale ed avevo proposto anche un articolo sui Parchi di Nervi e con Carbone è stata la mia prima intervista "mancata" perché Zamorani non accolse l'articolo ed avrebbe accolto quello su Don Trabucco, fondatore di una rete di volontariato per l'ospedale di Nervi se però avessi accettato di scrivere che "il volontariato dà fastidio alle sinistre" e no volli.

Concludo perché ne ho già scritto altrove e in modo autocritico anche verso il mio assolutismo di un tempo: se notate la scritta sotto la cartolina è perché il testo dell'intervista poi lo regalai a Carbone e poi un giorno in seguito ne potei scrivere ed avendolo incontrato alla foresteria di Villa Grimaldi (Carbone infatti si occupava anche della manutenzione dei Parchi) ricordo che mi voleva offrire dello splendido basilico da lui coltivato in due grandi vasi di fianco a quella casetta e non accettai convinta che un giornalista nulla debba accettare. Lo rimpiango ancora adesso, quel basilico!

Infine la terza spinta alla mia scrittura è proprio stato questo voler tener conto di ogni persona  che ho avuto la fortuna d'incontrare per il mio giornalismo e anche di questo ne ho già scritto quindi non mi dilungo. Ma ero appena uscita dall'aver  trascorso a letto la gravidanza che portò alla nascita della mia primogenita e mi trovai a passeggiare con mio marito in via XX Settembre. Avevo trascorso la gravidanza in completo isolamento e guardavo le persone  come affamata (scusate l'espressione un po' cannibalesca), come un selvaggio di film recenti che viene catapultato da una foresta nel contesto civile mai visto prima. Mio marito mi tirò nell'atrio di un portone per dirmi: "Datti un contegno, guardi la gente come affamata..." E' vero ho sempre avuto in me questa "fame di condivisione" di capire e farmi capire. A volte in certe mattine di primavera quando mio padre mi accompagnava a piedi al D'Oria portandomi i libri salutavo la gente sconosciuta ma che vedevo di solito perché ero felice e volevo comunicare loro la mia gioia di esserci, di vivere. Spero riusciate a capirmi ed accettarmi una volta di più perché scrivendo ho avuto spesso la gioia di questo incontro umano e d'imparare da ogni persona che incontravo.

 

Gran finale sulla mia reale modestia dell'essere ma con un po' di consolazione.

Bambina amavo anche le scienze (e ne ho scritto: vedi il Cammeo sul futurista Sanzin e il museo di Volta a Como e il "qui ed ora di don Giussani" che come significato hanno: "Vivo perché scrivo", "Non ho tempo per visite e feste", "Il mio tempo è qui, poi non avrò un'altra occasione"). Ma su un libro da bambini però di carattere scientifico mi capitò di leggere che se uno scrive e scrive e poi mette i suoi fogli uno sull'altro fino a farne una pila, in tutta una vita al massimo sono alti come un tavolino con sopra un vaso di fiori.Mi sembrò un qualcosa di troppo riduttivo e invece per me ès tato proprio così. Ora che archivio per sempre le mie carte scritte, l'altezza è quella impietosamente indicata nel mio antico libro. Accogliete almeno l'intenzione da parte mia che siano un vaso di fiori come i miei di finocchio secchi ma tuttora gradevoli alla vista.

L'assegno mai riscosso I compenso per il I articolo sul Giornale 27/2/1983

nel gennaio 1983 e cartolina del 1982 del forestale e artigiano salesiano Carlo Carbone che eseguiva i giochi in legno dei Parchi di Nervi per la mia prima intervista a lui, ma non pubblicata dal Giornale

Cos'è una Recensione? -  secondo il Battaglia,

Grande Dizionario della Lingua Italiana in XXI Volumi (Utet)

ciascuno di circa 1000 pagine

Cos'è per me una rencesione e cosa deve ottenere?

Recensione è: Articolo pubblicato su riviste o giornali che, attraverso un'analisi critica, esamina un'opera letteraria, storica o scientifica, ecc., di recente pubbliazone, dando un giudizio sul valore di essa o discutendone le posizioni o i risultati.

Per estensione: Articolo critico relativo a uno spettacolo teatrale o cinematografico o a una mostra.

Però leggendo i testi, portati a convalida di quanto sopra scritto, si trova nelle parole dei letterati una serie di vezzi. La definiscono specie se l'hanno scritta lorao "recensioncella" come dice Papini o "recensioncina" come afferma Cardarelli o "recensionetta" di Boine su Dossi e la più esilarante "recensionicuccia" di Rebora.

La Recensione per me c0s'è?

Ora ho già sentito qualche saputa che ha classificato le mie, senza averle lette, come "sunti" e che leggendo un libro si limita più che a capirlo a cercarvi l'eventuale errore per dimostrare la sua capacità critica. Doppio Orrore!: uno sguardo del tutto micragnoso!

Per me Recensire è anche dire ciò che c'è in un libro perché era venuto di moda parlarne inventando ciò che faceva comodo al relatore per esporre proprie tesi o furori ideologici, ma soprattutto è entrare in empatia con l'animo di chi scrive.

In un libro cerco l'anima, il pensiero.

E come ho sentito dire una volta da Filippo La Porta (vedi Uno sguardo sulla città alla pagina  "Il Sociale") solo se si entra in empatia con ciò di cui si parla solo allora lo comprendiamo meglio e in questa comprensione diamo il meglio di noi stessi.

Infine cosa deve ottenere una recensione? Spingere il lettore a desiderare quel libro, a volerlo leggere da sé.

 

 

 

 

 

 

Infine dato che ho iniziato questi ultimi pensieri di "Scrivere come partecipazione e testimonianza" con riferimento alla Festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, stralcio dalla sua poesia a Maria, nelle difficoltà queste parole:

                                                     "RicordaTi o dolcissima Vergine Maria,

                                                      che tu sei mia madre e io tuo figlio,

                                                      che tu sei potente e che io sono debole

                                       Ti prego di guidarmi e difendermi in tutto quello che faccio...

                                                  e donami tutte le virtù, specialmente l'umiltà". 

 

Ecco anche tanti miei simili, tutti malati di protagonismo, tutti pronti alla critica feroce verso gli altri, in particolare verso                          chi fa o verso chi scrive (guardata che questo è da taluni considerato quasi un peccato mortale)

                                                                 di questa virtù dovrebbero un po' ricordarsi.

 

 

Le mucche di Neirone (ricordando gli esordi del mio giornalismo) :

Il Giornale 9 gennaio 2010

Il primo giornale che iniziai a leggere è stato Il Giornale. Allora volevo insegnare, ma il secondo anno d’insegnamento per entrare di ruolo, grazie ad una legge che premiava chi aveva conseguito l’abilitazione con esame (prima dei corsi abilitanti), non lo realizzai: in Provveditorato mi dissero che c’erano solo posti in riviera e con tre bambini, di meno di cinque anni, con pochi mezzi per pagarmi baby sitter mentre gli asili comunali erano per chi già lavorava, non potevo accettare. Giunta a casa mi telefonò la figlia della signora che gestiva la tintoria dove mi servivo a Nervi. Professoressa a Milano, ma cooptata in Provveditorato, mi avvertì che appena uscita, sbucò fuori un posto –imboscato- al Liceo Mazzini. Mio di diritto se avessi fatto ricorso. Ricorsi, vinsi, però avevo deciso di fare la mamma a tempo pieno, pur soffrendo. Dopo un corso di dattilografia incominciai a scrivere, con affermazioni in Premi Letterari (serie B).Intanto leggevo Il Giornale. In casa mi prendevano in giro: “Cosa leggi? Solo Controcorrente, Torelli, la Stanza di Montanelli, le risposte dei lettori?” Invece incominciai ad appassionarmi all’economia di Zappulli e Ricossa, con Laurenzi autore di “Qualcuno ci sogna” sognavo anch’io, e mi affezionavo sempre di più a chi scriveva sul Giornale.

Intanto un processo colpì un uomo - poi assolto perché “il fatto non sussiste” –, una persona perbene della cui devastante sofferenza fui testimone. Decisi di diventare giornalista, per tenere “la penna pulita” non come gli sciacalli dei 40 articoli in prima pagina e dell’assoluzione all’interno in poche righe. Volli però prima diplomarmi alla Scuola di Specializzazione delle Comunicazioni Sociali dell’Università Cattolica. Mio padre diceva: “Sono un orgoglioso”, mia madre: “Non mi piace essere sgridata”, io, loro figlia, ero anche permalosa. Da diplomata mi presentai alla redazione genovese de Il Giornale. Non potevo andare al Secolo XIX, allora con una deriva a sinistra, comunque più lieve dell’attuale di Repubblica. E quando anni dopo mi presentai per collaborare a Repubblica, vidi le redattrici più belle e più scosciate in minigonna che mi fosse capitato conoscere. Una ragazza che seguiva le mostre, intervenne ad una prima con la schiena “scollata giù, giù” come il noto abito di Mireille Darc. Pensare che oggi tuonano contro Berlusconi! A farla breve, Il Giornale, cui avevo scelto di collaborare aveva come caporedattore Luigi Vassallo, ultimo direttore del Nuovo Cittadino su cui avevo fatto la tesi alla Cattolica (Il Cittadino, 1873-1974, che mi aveva guadagnato l’amicizia di monsignor Andrianopoli). Quando salii le scale della redazione Vassallo stava molto male e v’incontrai Zamorani. Questi volle insegnarmi, ma recalcitravo per giovane supponenza. Una volta assistei ad una telefonata con una collaboratrice per un articolo sugli aerei. Zamorani mi pare sia stato pilota o abbia militato in aeronautica. La collaboratrice non demordeva e lui, gocciando sudore, ripeteva: “Sbaglia, non è così”.A me aveva detto che ero “ostinata come un Kamikaze giapponese”. Lo confidai alla figlia dei miei vicini di ballatoio, Alessandra Perrazzelli, oggi avvocato insignita del Premio Marisa Bellisario, che commentò: “Che complimento!” Lei appartiene ad un’altra generazione, io ne soffrii.

Un giorno mi presentai in redazione che aveva nevicato, in pelliccia e tacchetti cui allora non avrei rinunciato, confidando nella defezione di alcuni redattori e per aver qualcosa da scrivere.Zamorani disse: “Ci sono mucche bloccate a Neirone. Lei ha una macchina?” “Una cinquecento posteggiata qua sotto”. “Sa mettere le catene?” “Sì”, mentii avendo solo letto sul come. “Vada!” “Devo cambiarmi”, obiettai. Zamorani si fiondò verso uno stipetto da cui trasse un paio di scarponcini: “Dovrebbero essere della sua misura”. Annaspai e mi ricordai dei figli, in verità già grandini. “Non ha a chi affidarli?” Telefonai a papà, sperando che impegnato ad assistere la mamma malata di Parkinson, dicesse “No”, invece, amando Il Giornale,  si offrì (e in un viaggio ai Castelli della Loira aveva fatto amicizia con Renzo Trionfera che mi mandò la più bella lettera della mia vita a suo riguardo, cioè a riguardo di mio padre, e me l'aveva mandata in quanto madre della bimba, mia figlia Ida , che aveva accompagnato i nonni in quel viaggio e ne era stata la mascotte, non solo nel portarla a mio padre piansi  di commozione tutto il tempo nel tragitto di mezza ora dalla mia casa alla sua)  .

E quella volta al Giornale mi salvò Alberto Pastanella, giovane collaboratore: “Potrei andare io!” Fui salva anche se ci fu un’ultima proposta: accompagnare il capo della colonna di vigili, in jeep a Neirone. Rinunziai al servizio e non ne vidi a firma di Pastenella.

Al Giornale credo di essere stata ammessa a collaborare grazie a Umberto Merani, referente per la Regione, che ripescò il mio primo articolo dopo un mese di giacenza. Quando, avuto il benestare, ero scesa al bar sotto la redazione per fissare l’appuntamento con l'Assessore Acerbi  in Regione che doveva darmi le notizie sull’equo canone (era il 1983), avevo visto un signore sorseggiare il caffè al banco che sembrava sbirciasse e ascoltasse. Poi lo riconobbi: Merani che scriveva con competenza, cuore e ironia. A lui l’indelebile riconoscenza che non dissi.

                                    Maria Luisa Bressani

(le scritte in rosso sono state aggiunte da me come spiegazione in più a questo articolo, pubblicato senza di esse poiché nei giornali vale sempre il criterio di non consumare spazi e quindi quasi sempre chi scrive deve sacrificare pensieri importanti per sé e magari anche interessanti per chi legge).

San Francesco di Sales e l'umiltà

Poiché questo Sito nasce anche dal desiderio non solo di raccogliere parte del mio lavoro ma persone che mi sono care, avendo prima citato Alessandra Perrazzelli poiché all'osservazione del mio caporedattore "lei è ostinata come un kamikaze giapponese" (ed era chiaro che per lui ciò significava non voler rinunciare all'errore, cioè ad una cosa in cui credevo e per cui mi battevo che però riteneva sbagliata dal punto di vista giornalistico) Alessandra mentre io ero avvilita mi disse: "che complimento, l'avessero fatto a me". Preciso anche che le nostre generazioni sono lontane e sono contenta per lei che io sposina  ho visto entrare nel portone del condiminio dove tuttora abito fianco a fianco con i suoi genitori quando camminava da non molto, sono contenta per la sua carriera che incoraggia tante giovani d'oggi a volerla imitare. Perciò riporto qui dopo aver conservato quello per l'assegnazione a lei del Premio Marisa Bellisario questo nuovo che mi è capitato di leggere a cura di Roselina Salemi su Gioia n.30 del 22 marzo 2014.  Della sua sorellina Francesca allora, la prima volta che la vidi, ancora in braccio alla mamma ho riportato ciò che mi disse per i "Musei genovesi star al Louvre" dove lei lavorava in quel momento e l'articolo è alla pagina  19 "Arte e tradizione". Ma su Alessandra vorrei aggiungere qualche mio ricordo: ragazzina al ritorno da scuola o già all'università avendo accettato il passaggio in moto di un compagno ebbero un incidente e la mamma Jole allora si attivò per raccogliere le firme per l'uso obbligatorio del casco. Poi Alessandra e la sorella ebbero in dono dal padre (era un po' ciò che un tempo aveva il significato di "dote") un miniappartamento a testa e Alessandra vendette subito il suo per acquistarsi una moto personale e per pagarsi il master in America.

Poi la ricordo il giorno del suo matrimonio quando venne a salutarmi traversando il pianerottolo di casa che separa i suoi genitori da me: bellissima in rosa con peonie nel bouquet e un abito al ginocchio ma soprattutto molto emozionata. Ha sposato un avvocato irlandese, hanno due bellissimi bimbi (ormai già grandini) molto amanti delle olive che la nonna Jole si procura nel suo Abruzzo d'origine. E per i 9o anni del nonno sono andati tutti, figli, nipoti e i nonni a farsi un viaggio ad Istanbul a vedere quella parte della città dove i genovesi hanno lasciato traccia visibile nel quartiere Galata edificato dopo la IV Crociata e dei quartieri europei sono testimonianze in alcuni splendidi quadri.

Alessandra Perrazzelli avvocato,

guida del Gruppo Barclays in Italia

e già vincitrice del Premio Marisa Belisario

Maria Clotilde Giuliani. Il Bisnonno Boveri e nostro dovere di difendere i valori della borghesia da cui discendiamo: ecco un motivo per scrivere!

Inserisco ora alcuni pensieri qui dal mio saggio su Oriana Fallaci (nelle "Scrittrici, Lo Faro 1991), scrittrice ma anche giornalista, di cui ho riportato il "confronto" con giornaliste di un tempo che poco meritavano questa qualifica alla pagina Donne, giornaliste, ciciuciì-ciciuciò. Il mio professore all'Università cattolica Adriano Bellotto che seguì Giacomo Noventa dal Veneto ad Ivrea per far parte dell'entourage di Olivetti mi suggerì di farne dei ritratti televisivi sottoponendoli ad "amici" (suoi:) della Cattolica  (Bettettini, Grasso...) che erano nomi di spicco nel campo della comunicazione. Pensai che fosse un traguardo irraggiungibile oppure ero presa da tante altre cose del mio quotidiano e non presi in considerazione il consiglio.Ora penso che nella comunicazione lavorano molte giovani giornaliste preparate: noi madri, quelle della mia generazione, abbiamo lavorato per rendere migliore il mondo lavorativo delle figlie (anche se mia figlia opera in un campo giuridico-economico e non in quello della comunicazione), quindi ritengo che quei miei "ritratti" siano superati, però estrapolo dall'inizio di quel saggio su Oriana alcune considerazioni che sono importanti per capire perché l'avessi scelta nella mia "rosa di macchia" delle scrittrici italiane e per capire alcune caratteristiche del mio modo di lavorare e ritrovo in chiusura una frase che accenna alla farina macinata da un mulino asserendo che in questo volevo produrre una farina mia e se avessi citato altri avrei sempre detto di chi era l'altra farina. (In proposito per la mia "passione" per i mulini vedere pagina Federalismo, sprechi... verso la fine). E tra l'altro una molto concreta: che a me piace assai impastare ancora a mano...e lo faccio in genere per Natale per figli e nipoti.Altri mestieri che avrei potuto praticare: cartolaia, libraia, giornalaia, panettiera o pizzaiola...Riguardo la farina del mio mulino immaginario (la scrittura), ecco qui:

Per gentile concessione di Maria Clotilde Giuliani posso inserire questa bella storia del suo bisnonno Boveri e che collima con un'esortazione che una volta la professoressa mi diede in un colloquio del tutto informale e privato in questi nostri tormentati giorni politici: "Spetta a noi difendere i valori della borghesia da cui discendiamo"

La mia recensione al suo libro Dolce-amara Terra- Il mio giro del mondo è alla prima pagina di Recensioni: "Difesa della Libertà".

Avvertenza sui colori di Recensioni, articoli, collegamenti:

 

Ho usato il rosso nella prima pagina in riferimento a Berlusconi e poi comunque sempre per sottolineare concetti a mio avviso importanti.

Il verde è la spreranza da non perdere mai e quindi colore base

Il viola è la mia sofferenza e quindi lo ho applicato a "Difesa della Libertà", la prima pagina e ai "Cammei" che con nome un po' pomposo (vorrebbero essere tali ma ancora non sono, poi lavorerò di lima) e questi rappresentano i miei pensieri in libertà, da notare che nei giornali spesso ci si deve autocensurare per non essere censurati.

E c'è un Cammeo rosso, il XXVIII che esprime il dolore per le incomprensioni che fin dall'inizio mi ha causato il collaborare al Giornale (c'è infatti uno zoccolo duro di persone che non vuol sentire ragioni e crede di possedere la verità: ricordo loro Origene quando parlava di mille rivoli che portano alla sorgente unica della verità, da cercare certo, ma non da credere di possedere).

L'azzurro per i titoli e gli "Indici" delle Pagine

mentre quelli della pagina Indici sono nell'usuale nero.

 

Avvertenza importante: Qualcuno si stupirà perché in questo Sito che è iniziato alla vigilia della sentenza Mediaset che già immaginavo negativa ed un sopruso in più della nostra "giustizia" e che doveva riportare per lo più recensioni di quella ultima mia collaborazione al Giornale (pagine di Genova) in dieci anni, poi riaffiorando su vari temi il mio lavoro di cronista in più di 30 anni ho capito che potevo anzi dovevo per chiarezza mia e di chi legge inserire anche articoli lontani nel tempo: quegli articoli pur nella loro brevità non sono effimeri, indicano guasti che nel tempo non si sono riparati, cose perdute per ignavia o insipienza delle pubbliche istituzioni, soprattutto possono essere indicativi su temi importanti sulle cose che ho imparato per giornalismo, le più belle, le più costruttive e che quindi come messaggio di speranza posso e devo voler ridare agli altri. Ecco perché sono articoli di tanto tempo fa ma anche tanto attuali ancora oggi.Un semplice esempio di quanto sopra detto: quando Mons. Giulio Venturini mi chiamò a collaborare al Settimanale cattolico diocesano (e di lui si diceva che prima di ammettere un collaboratore "lo ispezionasse anche sotto la suola delle scarpe") mi suggerì di girare le Chiese della zona dove abitavo e di tradurle in articoli.Pensai: "Che noiosata" e invece sono proprio quegli articoli sulle Chiese di Nervi-Quinto-Sant'Ilario e sui Santi intrepidi cui sono dedicate a costituire qualcosa di non effimero, qualcosa che io stessa rileggo con piacere, per imparare di nuovo ma soprattutto per tornare a sperare per la comunità in cui vivo e per i nostri politici oggi così disastrati nella nostra opinione.I Santi sono stati uomini di buona volontà che si sono messi in gioco per il Bene Comune.

Indro Montanelli ricorda Renzo Trionfera Il Giornale 20 agosto 1983

Poiché in questo articolo ho ricordato Renzo Trionfera che capì così bene mio padre e gli divenne amico nel viaggio che fecero insieme con Il Giornale ai Castelli della Loira (dove appunto Trionfera era l'accompagnatore) mi piace mettere qui ora il ricordo che ne scrisse Montanelli e lo faccio con animo grato

 

      
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