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Contro la democrazia - La Costituzione degli Ateniesi

prefazione di Dino Cofrancesco

e a cura di Tommaso Gazzolo, Remo Viazzi

 

 

Si avvicina la sentenza Mediaset che ritengo già scritta (e vorrei tanto essere smentita se la "giustizia è una virtù che brilla più della stella del mattino" come insegnò Aristotele). Dedicherò a Berlusconi le prime recensioni (alcune pubblicate altre no) di libri a me affidati da Massimiliano Lussana caporedattore delle pagine di Genova de Il Giornale  (alcune però sono state da me proposte e accettate dal capo): riflessioni su Berlusconi  dai libri scritti da lettori o protagonisti del Giornale, che nacque fondato da Montanelli, giornalista mai servo, di sano pessimismo, un italiano vero. Massimiliano è stato un direttore "sensibile, colto, educato", gli sono grata!

Segnalerò in rosso le parti che possono riguardare Berlusconi: i processi giudiziari si utilizzavano per eliminare gli avversari politici anche nell'Atene del V secolo culla della democrazia. Efialte braccio destro di Pericle se ne serviva e fu ucciso (una mala azione se ne tira un'altra), Socrate, il giusto, in seguito fu costretto a bere la cicuta in quanto "corruttore "dei giovani e guarca caso Berlusconi è diventato nella nomea popolare istigata da media e giudici "il grande corruttore".

Come colore troverete in verde (la speranza) i miei brevi commenti o introduzioni come questa, in rosso ciò che si riferisce a Berlusconi, in azzurro i titoli.  I miei commenti quando più estesi saranno numerati come Cammei in viola purtroppo: mi sento quaresimale e pessimista

Viola: il colore della passione, persa la speranza di giustizia e constatato che la giustizia italiana domina la politica o è al servizio di una parte politica.

Ma ho anche fatto Bingo, nel senso che tra il tanto che ho scritto da giornalista in più di 30 anni, ho ritrovato quel pezzo sull'incontro dove ascoltai quella frase di Aristotele: "la giustizia brilla più della stella del mattino..." La premetto e prego di riflettere su questa conferenza del professor Francesco D'Agostino all'UGCI (Unione Giuristi Cattolici) da cui si evince che la democrazia si avvale di un fondamento che si può definire giacobinismo (con gli eccessi che comportò e teste tagliate ingiustamente), non solo: che ogni uomo deve poter godere dei diritti umani (e non possono essere negati solo a Berlusconi) e che ogni uomo in una giustizia moderna, equa, dovebbe poter dire : "il mondo è creato anche per me!". Non solo: se si riconosce il primato della giustizia, la giustizia come stella polare, si riconoscono ad ogni uomo spettanze che non possono essergli tolte. Il processo Mediaset, pur in tre gradi, ognuno a conferma degli errori del primo, ha tradito tutto questo, si è rifugiato in una concezione arcaica dove "una feroce forza il mondo tiene e va nomarsi diritto". E dietro cortei di tricoteuses...

Contro la democrazia - La Costituzione degli Ateniesi, a cura di Tommaso Gazzolo e Remo Viazzi, ci ripropone il pamphlet dello Pseudo Senofonte. E’ un libro per riflettere sulla democrazia ateniese del V secolo a. C. ma anche sulla nostra di cui come per tutte in Occidente questa è stata il modello.

Un primo serio monito ci viene da un grande paradosso (p.70 nota 4): “La massima gloria politica di Atene, la democrazia, era difesa da così pochi che quasi tutti gli autori giunti fino a noi sono, in varia misura, suoi nemici o suoi critici”. Ne consegue la riflessione sulla democrazia, come bene da custodire e rilanciare nel futuro senza abbassar la guardia quando se ne è sicuri. Pur se imperfetto resta miglior strumento di governo con coinvolgimento del maggior numero di persone nel voto e alternanza di comando.

Il V secolo a.C., quello d’oro della democratica Atene, prima d’esser sconfitta dall’oligarchica Sparta e poi sottomessa dai Macedoni, vide nascere Filosofia e Teatro, capisaldi della civiltà occidentale. Dove c’è buona politica fioriscono attività e libertà di spirito. Sarà per questo (da un episodio del libro) che Diogene il Cinico, l’uomo che viveva nella botte,  ad Alessandro Magno che  chiedeva cosa potesse fare per lui, rispose: “Spostati da davanti al ‘mio’ sole”.

E nel libro, l’amara constatazione (p.24) che sul millantato presupposto di libertà spirituale, ma “con bieca finalità propagandistica, si sprecano operazioni culturali per esaltare e rivalutare l’arte (teatro e pittura in particolare) di stampo sovietico”.

Un altro grido d’allarme (è anche ragione stessa del libro) viene nella “Presentazione” dell’Editore in persona (Le Mani, Recco): “L’uso improprio, anzi l’abuso del concetto di democrazia in Italia negli ultimi decenni da parte degli intellettuali organici della sinistra comunista, impone a chi è sopravvissuto a una così vistosa opera di mistificazione del significato originario di riproporre i testi fondamentali in cui la democrazia come forma di governo della città-stato di Atene ha fatto il suo ingresso nel lessico culturale e politico”. “Si tratta - precisa ancora - di liberarci dalle ideologie e ideocrazie totalitarie di fatto al potere dall’avvento del fascismo”.

Il libro  consta di un’“Introduzione - Dimenticare Platone” di Dino Cofrancesco, storico del pensiero politico, (Platone piace ai progressisti per l’educazione per tutti, che tutti eleva ma, da aristocratico che discendeva per parte di padre dal re Codro, ci mette in guardia su pericoli e degenerazioni). Seguono due saggi “Lo Pseudo Senofonte e le origini della critica alla democrazia” di Remo Viazzi, studioso di storia antica e medievale, e “Abitare l’isola” di Tommaso Gazzolo, giurista.

Cofrancesco, tra tanti altri colti e filosofici riferimenti, mette in risalto come Platone  sviscerando i concetti di “competenza, demagogia, eguaglianza, libertà” ci apra gli occhi su pratiche di lotta per il potere lontane anni luce dalle mitologie del demos (=il popolo).

Quali gli insegnamenti per noi sugli errori della democrazia? Nelle società (economicamente) troppo aperte proprio come l’Atene di allora (dove secondo Benjamin Constant “il commercio aveva fatto scomparire differenze che distinguono i popoli antichi dai moderni e Atene prodigava diritti di cittadinanza agli altri”, ecc.), in realtà non c’è (e non c’era allora) uguaglianza economica. Senza questa non ci può essere né vera democrazia né vera libertà individuale. Se uguaglianza si collega a libertà si dovrebbe poter partecipare attivamente alla costruzione del sistema normativo. Sempre B. Constant osserva che “a Sparta i cittadini accorrono quando il magistrato li chiama, ma un ateniese si ridurrebbe alla disperazione se credesse di dipendere da un magistrato”. Sarà per questo che i “talebani” Robespierre e Saint Just (padri della moderna rivoluzione dei popoli e il secondo – non di dimentichi - “scappato di casa con l’argenteria della madre”) presentavano Sparta come “modello di libertà”: una società dove la ferrea legislazione di Licurgo non subì alcun mutamento per molto tempo, ponendosi al di sopra dei cittadini e a loro tutela” (p.62).

Attraverso queste spigolature si entra nel  problema, anche odierno, di leggi e magistrati, con la constatazione che ad Atene le leggi divennero troppe, con decreti continui per modificarle, facendo loro perdere valore. Vigeva un “terrorismo giudiziario del popolo” ed Efialte, che nelle riforme affiancava il Pericle del momento d’oro, introdusse “i processi per eliminare gli avversari”. Più tardi, l’apice di questa deriva, fu il processo dove il “giusto” Socrate, accusato di corrompere i giovani, dovette bere la cicuta.

Nel saggio di Gazzolo vengono ripresi alcuni paragrafi dello Pseudo Senofonte che ci illustrano come Atene, con il suo imperialismo marinaro, finisse per occuparsi troppo del mare, poco delle sue terre (dei ricchi ma anche dei poveri), devastate da scorrerie e da nemici. Se fosse stata un’isola avrebbe goduto degli stessi privilegi che in questo senso ebbe poi l’Inghilterra (fino a quando con la conquista d’India abbandonò il mito della πόλτς perché come disse Disraeli era ormai “more an asiatic power than  a European”.

Secono Pseudo Senofonte la talassocrazia corruppe la città con la ricerca del profitto individuale e il rammollimento dei costumi con conseguente dilagare della corruzione perché “la democrazia parcellizza il potere e conduce ad una totale assenza di responsabilità”. Parole di ieri o di oggi in presenza dei tanti scandali?

Secondo Viazzi il saggio dello Pseudo Senofonte si colloca a ridosso del governo oligarchico dei Trenta Tiranni (verso il 404) e sulla sua identità avanza alcune ipotesi: fu o Crizia (cervello dei Trenta) o un vecchio ufficiale di marina o uno stratega o un aristocratico. Mise in luce i danni della democrazia con un’amara constatazione: “La democrazia, il predominio della canaglia, nel suo pessimo funzionamento è un sistema a suo modo perfetto e difficilmente si può scalfire”.

A nostra consolazione parole di Platone, in sostegno anticipato del pensiero liberale moderno del XVIII secolo che prese le mosse da Pericle: “Il conseguimento degli interessi privati porta un beneficio pubblico e la legge non si prefigge di procurare un particolare interesse ad una sola classe della città, ma nella città tutta armonizzando i cittadini con la persuasione, con la costrizione obbligandoli a mettere in comune l’utile che ciascuno è in grado di fornire alla collettività” (p.36 nota32).

                           Maria Luisa Bressani

Specchio Oscuro di Dionisio di Francescantonio

“Il mare intona una musica soave... lo scafo scivola pianamente sull’onda tagliandola in due creste di spuma”. E’ l’incipit di Specchio Oscuro di Dionisio di Francescantonio. Primo di cinque racconti del libro, dedicato ad Ulisse, il più universale degli eroi: in tanti –pur se non fanno- vorrebbero partire dietro un sogno da concretare. Un inizio, sigla inconfondibile, per il linguaggio sontuoso, lontano dalle “trecento” parole rigirate dai tanti con stile all’inglese privo dell’aggettivazione che qui c’irretisce come “un lento flautato canto di sirene”.

Commenterò alla fine questo racconto, dando la precedenza agli altri quattro. Il primo, “La rapita”, ha per scenario una Sardegna “ferma al mondo primitivo e spietato della Bibbia”, la stessa della Deledda: una terra ancorata alla pastorizia, dove vige l’abigeato. Oltre a rubare le pecore, un focoso sardo, durante l’assenza del marito, gli porta via la moglie che l’aveva accolto imbracciando il fucile senza però usarlo. Il marito va a riprenderla, ma la moglie, quando il rapitore è a terra, mentre il marito sta per sgozzarlo, gli spara uccidendo anche lui. Ipotesi: Si era invaghita del rapitore? Capiva forse di avere un’identità compromessa e non poter rientrare nella sua storia di prima?

Il libro si dipana sull’identità modernamente “mostro da abbattere -sia quella collettiva sia quella individuale-, forma di egoismi e discriminazioni”. Annotazione in quarta di copertina che individua il filo conduttore dei racconti.

Il terzo, “La Travestita”, riguarda una storia vera, d’inizio Novecento. Di Isabelle Eberhardt, figlia illegittima di un’aristocratica russa che l’aveva avuta, dopo quattro figli con il marito senatore e ufficiale in Svizzera, dal loro precettore, ex pope, spretato e libero pensatore. Isabelle sui vent’anni, conoscendo sei lingue tra cui l’arabo, parte per l’Africa dove vive dei suoi scritti di giornalista e sempre travestita da uomo (se no, non avrebbe potuto muoversi liberamente). Si converte e ringrazia Allah che l’ha  “salvata dalle tenebre dell’ignoranza”, tale le era sembrata la ristretta società ginevrina di provenienza. Isabelle s’innamora del Deserto, romantica vittima dell’amor d’Africa.

Gli altri due racconti, più lunghi, “Brutto anatroccolo” e “Specchio oscuro”, riguardano la crisi adolescenziale, ma molto disperata, di una ragazza che si crede brutta, e il rapporto tra due gemelli che l’educazione della madre ha plasmato uguali, sbagliandosi nel credere più forte il gemello Andrea. I due, per interscambiabilità, giungono a dividersi le donne che conquistano. Poi  Paolo s’innamora e il rapporto si complica. Non anticipo il finale perché ha la sua importanza in questo gioco di specchi e del proprio doppio, tema di Artaud, pietra miliare del Teatro moderno.

Eccoci al primo racconto, un asso “pigliatutto”  dell’autore per vincolarci ai suoi viaggi d’introspezione nel cuore dell’uomo. Sarà per la presentazione del libro, alla Biblioteca del Consiglio Regionale, con introduzione di Matteo Rosso e - dopo la lettura critica di Armando Fossati - con intervento conclusivo di Renata Oliveri, sarà per il bombardamento dall’antiberlusconismo, ho creduto che il libro sia politico e ho identificato Berlusconi in Ulisse. Mi aspettavo l’autore lo manifestasse, invece no, però...i tasselli sono giusti.

Inizia così Ulisse-Berlusconi: “La rotta è incerta, la Patria (il suo sogno) lontana”. Guarda i volti dei compagni, del cui fallimento deve portare il peso, li prega ancora una volta: “Scioglietevi nella mia medesima illusione!” Si rende conto di aver “commesso l’errore di accompagnarsi ad individui che obbedivano a moventi e cupidigie diversi dai suoi”, sospira tra sé: “Certo ora non partirei più”. Perfino una descrizione del paesaggio con “la vipera, l’agave spinosa, l’ulivo contorto” mi ha fatto credere d’essere al Parlamento.

Sullo sfondo il padre (i padri) che aveva (avevano) “coltivato solo interessi concreti”, mentre Ulisse ha fatto della vita una sfida. Non manca la sposa. Al “Come sarà?”, si risponde: “Piena di delusione, d’avversione per chi l’ha costretta ad un’esistenza tronca, privata d’amore”.

Coup de Théâtre: la tempesta finale da cui si salva solo Berlusconi-Ulisse e approda all’Isola. E’ la terra di Nausicaa, monellaccia che civetta con lui, ma Berlusconi, seguendo gli inviti alla “sobrietà” di certi Vescovi e del loro giornale si dimostra “compos sui”. Nel guardarla “con  malinconia non priva di rimpianto”, dice: “Per maligne inestricabili trame ho sofferto i peggiori dolori, ho perduto la giovinezza, gli affetti, tutto ciò che possedevo. Sono stato sconfitto su tutti i fronti”. Conclude però: “Il mio animo anela ad altra meta” e ci consegna – intatto - il sogno di una Patria, paese normale di pace e focolari accesi nelle famiglie.

(Specchio Oscuro, libri del peralto –  supplemento Rivista Tradizione, ed. Angelo Ruggiero, via Pianell 47,20125 Milano).

                         Maria Luisa Bressani

 

Questo racconto è da me stato interpretato riferito a Berlusconi-Ulisse dato che era il momento in cui alcuni passavano al gruppo misto tradendolo, però l'autore non ha scritto con questa intenzione, ma un libro quando si legge prende tante interpretazioni quante sono quelle dei lettori.

L'autore è pittore affermato nel campo del figurativo e con la moglie Miriam Pastorino, presidente dell' associazione Voltar Pagina hanno organizzato in Genova convegni importanti contro la cultura del nichilismo e rivolti a recuparare la miglior tradizione nelle Arti e nelle Lettere. Insieme hanno collaborato al libro Padri Separati con altri cinque autori tra cui Rosa Elisa Giangoia tesoriera del Lyceum di Genova: il libro edito Erga è stato un successo editoriale e in seguito ne publicherò la mia recensione su questo sito.

Dolce Amara Terra di Maria Clotilde Giuliani

e foto di bimbi dal mondo

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Maria Clotilde Giuliani con  Dolce-amara terra. Il mio giro del mondo, in 36 capitoli, da “Isola di Pasqua: ombelico del mondo” a “I tre volti del Perù” e con 78 splendide foto di luoghi, fa un regalo a chi con lei imparerà che “conoscere un Altrove sconosciuto apre cuore e mente”.

L’editore, Patròn di Bologna, ha la collana specialistica “Geografia e organizzazione dello sviluppo territoriale”, cui dall’87  ha affiancato una Sezione di ‘Studi regionali e monografici’ e dal ’90 la nuova ‘Viaggi e viaggiatori’ (www.patroneditore.com). Di Giuliani, quattordici le pubblicazioni precedenti riguardanti i suoi viaggi in Paesi poveri o in via di sviluppo: da Il mondo remoto delle Galàpagos (1978) alla penultima Luci ed ombre del microcredito in Bangladesh (2008).  Ma 15o tra libri e  pubblicazioni nel suo curriculum di professore ordinario di Geografia all’Università e cosa ancora più affascinante della sua personalità oltre a questo lavoro indefesso, l'accompagnare  i suoi allievi dell’Università della Terza Età in viaggi mirati: da sempre pensa di dover spiegare i luoghi conoscendoli di persona.

Nella “Premessa” al libro spiega che la sua passione è nata con i genitori quando portavano lei e i due Fratelli (scritto con la maiuscola in segno di rispetto) a conoscere l’Italia, dal Brennero alla Sicilia. Ad imparare a “vedere” non solo a guardare. Scrive che alla promozione non c’erano feste, ma a settembre durante gli esami di riparazioni di tanti altri, loro, bambini, venivano accompagnati in viaggi di conoscenza e il Padre aveva detto: “All’estero andrete più tardi per conto vostro”. Ricorda: “Dovevamo studiare e la cosa ci piaceva... Nei viaggi tutto potevamo dire eccetto ‘Sono stanco, ho sete, ho fame’”.

Ho reincontrato Maria Clotilde Giuliani nel “23 marzo a Roma”, organizzato per Berlusconi. L’ultima volta l’avevo vista in una conferenza al Lyceum in cui spiegava diapositive di un viaggio in Medio-oriente dove doveva girare velata per non urtare sensibilità. Andando verso Roma, mi disse: “Non ho mai partecipato a manifestazioni di questo tipo, però quando ho sentito l’Annunziata darci degli ‘impresentabili’, mi sono subito prenotata”. Non solo mi disse anche queste parole che considero un insegnamento: "Spetta a noi difendere i valori della borghesia da cui discendiamo".

Il libro? Per chi legge sarà un’immersione incantata, nel senso che ci sono storia, leggenda, confronti economici, storie di persone. Inizia dal perché le Isole di Pasqua furono chiamate così dal navigatore olandese Roggeveen che vi arrivò primo Europeo nel 1772. Ricorda la strage del 1862 e la deportazione per sfruttare giacimenti di guano in Perù.

La leggenda s’incontra subito nel culto dell’Uomo Uccello (prima del cristianesimo). Questi doveva cercare il primo uovo deposto dalla rondine marina manutara e chi non veniva mangiato dagli squali e primo lo raggiungeva governava per un anno a spese della comunità. L’uovo, incarnazione del dio, ci riporta al mitico “uovo cosmico”, origine del mondo.

Il libro si può leggere anche a salti seguendo l’attrattiva dei titoli: “La mia via della seta”, “Zimbawe, tanto ricco e così povero...” E c’è qualcosa d’importante per noi, da cogliere. In Zimbawe, ad esempio, il ricordo di Giuseppe e Carlo Gardini di San Giovanni in Persiceto (Bologna), diventati là tra i più potenti costruttori; in Argentina l’ascesa del ligure Agostino Rocca che nell’immediato secondo dopoguerra senz’altro capitale che il suo cervello vi fondò Techint, il gigante metalmeccanico. In Argentina l’orgoglio per la grande diffusione della Società Dante Alighieri o per Don Bosco che a fine Ottocento vi mandò confratelli con il motto: “Lavoro, lavoro, lavoro”. In Brasile troviamo il ricordo di Marcello Candia, che chiuse la fabbrica di Milano per dedicarsi in Macapà ai diseredati e ai lebbrosi.

Ci sono insegnamenti economici come saper attirare le grandi imprese (v.p. 41). E’ la ricetta per Singapore di un avvocato al Governo dopo aver studiato in Inghilterra: Lee Kuan Yew. Per attrarre grandi imprese e i loro massicci investimenti, il Governo offrì “condizioni vantaggiosissime nell’acquisto terreni, sistema trasporti, prelievo fiscale, basso costo del lavoro, divieto di scioperi e tangenti da pagare sottobanco, scarna e agilissima burocrazia”.

Non mancano nel libro tanti aneddoti e storie umane. E’ il caso dell’indiana Abha che ospita Maria Clotilde. Al momento del congedo la rimprovera di vivere in funzione dell’orologio e dice: “Il tuo Dio ti ha dato così poca memoria che hai bisogno di un po’ di carta (cioè le foto che avrebbe poi stampato a casa) per ricordarmi? Dio mi ha dato gli occhi per vedere e il cuore per ricordare”. Nel viaggio del 23 marzo a Roma, stesso pullman, Maria Clotilde mi ha lasciato un bell'insegnamento: “Spetta a noi difendere i valori della borghesia da cui discendiamo”.

                Maria Luisa Bressani

 

In quel viaggio a Roma (anche per me la prima manifestazione di piazza della mia vita) Berlusconi disse: "lasciamoci alle spalle il Paese della rabbia della violenza e dell'odio" e mi parve il messaggio più importante del suo discorso.

Sul pullman da Genova c'era una signora che aveva detto: "Voto Berlusconi perché ha il cuore buono come il mio. So in Genova di persone che ha aiutato senza farne alcun clamore".

La recensione che segue e riguarda l'ultimo libro di Stefano Lorenzetto è tutta incentrata sulla bontà. Il giornalista (Guinness dei primati per le interviste a tutta pagina con "Tipi italiani"), è uno dei pochi che parli di volontariato ed io che qui scrivo a suo tempo mi seguii tutti i Convegni sul Volontariato a Lucca prima che su molte delle associazioni nascenti si stendesse l'ala fosca della sinistra egemone e abilissima nello scambio di voti con posti di lavoro pubblici e aiuti pubblici. Nel passo riferito al lodo Mondadori nel libro c'è il ricordo di quell'incontro con un Berlusconi che resta in panne con l'auto in piena campagna e tranquillamente, serenamente si fa un lungo tratto a piedi. Per ogni libro una recensione può essere stimolo, ma poi il libro è sempre da leggere e in casi come questo da centellinare perché si scopre tanto di più!

 

 

HIC SUNT LEONES di Stefano Lorenzetto

    "Voi dormirete tutta la notte sul pavimento per me", citazione da un personaggio di Camus nell'Album di ritratti della scrittrice Gianna Manzini. Questa sensazione  dell'esser catturati da una lettura (un tornar giovani leggendo fino a notte fonda), l'ho provata per Hic sunt leones di Stefano Lorenzetto (Editore Marsilio). Un libro  non solo veneto, universale se pur con riferimento nel titolo ai leoni di San Marco. Ci avvince la grande umanità delle sue venticinque storie di veneti con tre riferimenti di base: bontà, genialità, buon mestiere di giornalista. Non a caso, Lorenzetto è nel Guinness World Records per i 600 Tipi italiani (e più), intervistati sul "Giornale".

     La bontà risalta nel primo dei "Quattro veneti notevoli", premessi per affetto alle altre storie.

     Walter Pertegato, il primo appunto, suo maestro di giornalismo al settimanale diocesano Verona Fedele, dove iniziò a scrivere sedicenne. Un direttore buono, unica vera dote per cui si ricorda un direttore, non per il numero di copie vendute o la scrittura brillante o la frequentazione dei potenti. Ce lo ridà in chiaro scuro, ma sottolinea che prima che giornalista è rimasto sempre sacerdote, con un limite all'esser "bravo" direttore nella mancanza di cinismo e presunzione.  

     Cesare Marchi (sempre dei quattro notevoli) inizia il libro cui deve il successo, Impariamo l'italiano, con un'affermazione di Théophile Gautier sul suo saper scrivere: "Ho letto molto il vocabolario". Conclude con un XX capitolo "Il linguaggio alla vaselina", deprecando  le parole che definiscono  una persona "non per ciò che è, ma per ciò che non è", come dire "non docente" del bidello.

     La bontà ritorna nel ricordo che Montanelli ha di "Cesarino", con questa esclamazione di un paio d'anni dopo la sua morte: "Tu non sai quanto mi manca!" Alla replica: "Hai Perna", Montanelli aggiunse: "Perna scrive da cattivo, mentre Cesarino era buono".

     Lorenzetto sa apprezzare la bontà, sia quando scrive di volontariato (caso raro tra i giornalisti), sia quando da "turbo-escavatore" della sorgente più pura e fonda, la fa emergere negli intervistati.

     La bontà torna nella prima delle 25 storie, quella di Anna e Gianluca Anselmi, che fecero nascere la loro Lucy e  l'accudiscono con amore. Per i medici non doveva venir al mondo perché afflitta da una rara sindrome invalidante. Ma  Lucy è forza viva al di là di  medici ciechi per scienza!

     Antonio Grigolini, terzo ritratto dei quattro speciali, ha le stigmate della genialità. Prima allevatore di pulcini, poi cofondatore del Pollo Arena e filiera, poi editore. Mise d'accordo De Benedetti e Berlusconi allo scoppio della guerra di Segrate fra Cir (Compagnie industriali riunite) e Fininvest. "Se i litiganti - annota Lorenzetto - avessero rispettato l'intesa non ci sarebbe stato il lodo Mondadori né l'Italia avrebbe vissuto penose vicende giudiziarie".

     Nelle pagine per Grignolini, troviamo in sintonia d'orgoglio imprenditoriale, (che significa dar lavoro ai tanti), Emilio Riva. Il ragiunatt milanese, da robivecchi a re europeo dell'acciaio. Come ogni impiegato il 27 del mese ritirava lo stipendio e, anche tornando da uno spettacolo alla Scala, sostava a controllare le colate d'acciaio.

     Sergio Saviane è il quarto tipo speciale. Scrittore e critico Tv che gli altri saccheggiavano come  biblioteca giornalistica. Nella sua segreteria telefonica il motivetto  "L'uccellino della radio" che tenne compagnia prima dall'Eiar poi dalla Rai a tre generazioni d'italiani. Irene Pivetti lo querelò chiedendo 40 milioni di lire perché sulla "Voce" la definì, con l'affettuosa ironia della parlata veneta, "gobeta sopressada". Saviane, pur con tanta genialtà, non aveva una lira e pagò Montanelli.

     In queste pagine anche il gusto, attraverso testimonianze, di ridimensionare alcuni politici: Monti, Prodi, Obama "che con la sua riforma sanitaria nulla ha finora sistemato".

     Lorenzetto è attratto dal colpo d'ala dell'essere. Come in don Giovanni Calabria, sottoposto ad elettroshock per una malattia incurabile dagli psichiatri: "la santità".

     Bontà, genialità, giornalismo vissuto con il principio dell'esser preciso, "se no, non è giornalismo". Così troviamo personaggi come Arrigo Cavallina ("Il terrorista convertito"),  Giuseppe Ongaro ("Assumo solo detenuti"), Daniela Manzini Jacuzzi ("Ho rubato un disabile").

     C'è anche la voglia di denunciare ciò che non va, per risarcire, almeno con le parole giuste, un danno causato dalla società. Sono i casi di Cecilia Carrere,  giudice accusata di essere in malattia e andare in barca a vela, mentre aveva preso ferie per curarsi, veleggiando, dalla depressione. Vi era crollata alla morte dei genitori, da lei fortemente assistiti di persona. La notifica d'esser indagata penalmente le arriva il giorno della morte della madre. Dismette la toga, ma vorrebbe rimetterla a testa alta perché la fecero "andar via di notte come una ladra".

     Reagisce tuttora il padre d'Antonello Zara, informatore scientifico che, per poter aprire un ristorante, aveva raccolto a Uomini e donne l'eredità di tronista da Costantino Vitagliano. A 31 anni muore in un incidente stradale. L'investitore (che non chiamò i soccorsi) non fu sottoposto ad alcotest, ma rimandato subito alla villa dei genitori, perché "stanco". Non una parola in memoria da Maria De Filippi.

     A metter in luce una certa Italia, incontriamo Antonio Belluco, figlio di profughi istriani, madre e nonni scampati alle foibe. Ha un bel curriculum, vuol produrre un film dal titolo Segreto  sull'eccidio di Codevigo, il più cruento nel Trevigiano, a guerra già finita: trucidati 136, chi dice 600. Da chi? Il film è sempre sabotato, "non s'ha da fare perché i registi sono di sinistra, la cultura di sinistra". Grande Lorenzetto, innamorato degli italiani geniali e buoni.     

 Maria Luisa Bressani

Giustizia all'italiana di Giglio Reduzzi

Dispiace recensire un libro come Giustizia all’italiana di Giglio Reduzzi, perché ciò che scrivo è troppo riduttivo rispetto a chiarezza, capacità di sintesi, senso d’humour dell’autore su temi importanti: “i nostri giudici, il loro accanimento verso Berlusconi”. Il lettore perciò vada al libro (Youcanprint.it Edizioni, disponibile on-line come tutti quelli di Reduzzi). In appendice, un altro tema fondamentale nel vivere italiano d’oggi: “Il caso Marchionne”. All’interno di copertina manca la frase stella polare per chi legge e mi sembra questa: “La Giustizia italiana una pacchia per chi la gestisce, una disgrazia per chi la subisce”.

Se pensiamo ai giudici anglo-sassoni, eletti dal popolo, li vediamo austeri e in parrucca, il nostro in blue-jeans, che fuma strafottente sotto il cartello “vietato fumare”.

In proposito, tre fatti dalla nostra cronaca: “un giovane, imprigionato per aver tentato di ammazzare la fidanzata, rimesso in libertà finisce il lavoro”; “un capomafioso torna libero perché il giudice non trovò tempo per depositare la sentenza”; “il guidatore di un motorino, dove viaggia con un compagno, contromano e senza casco (tre infrazioni in una sola volta), non è arrestato. Se fermato, risulta anche senza patente, pregiudicato o con il  motorino rubato”. In un incidente con lui sarete mai risarciti? Al contrario, ad Atlanta (Georgia) Felipe Fernendez-Armesto, professore universitario che  partecipava ad un convegno e con il cui nome inizia il libro, poiché attraversava la strada fuoristrisce pedonali dai  dalle poliziotti fu gettato a terra, ammanettato e portato via: digitate il nome e trovate il suo caso su Google. E quale indignazione proviamo per la mancata estradizione dell’assassino Cesare Battisti?

Nel 2010 la Corte Europea di Strasburgo ha condannato l’Italia con475 sentenze per “eccessiva durata dei processi”, però dopo la legge Pinto (una delle ultime del governo di centro-sinistra caduto nel 2001) il ricorso a Strasburgo si fa in seconda battuta dopo un primo italiano: un modo per ovviare al risarcimento  dello Stato che seguiva alla condanna, pervenuta da Strasburgo in poche settimane.  Adesso ricorrere  costa troppo.

Il Premier ha avuto “28” ordini a comparire (a scomparire!), tutti da quando entrò in politica: “23” processi si sono chiusi senza “mai” esser dichiarato colpevole. L’Opposizione, in questa raffica di denunce (da kalashnikov guerrigliero), riscontra la sua “propensione alla criminalità”.

E la Riforma della Giustizia? Se la legge passa in Parlamento, la Magistratura la impugnerà come contraria alla Costituzione, avviandola alla Corte Costituzionale che, a maggioranza di sinistra, la boccerà; se la Riforma va in vigore, sarà disattesa o applicata in parte (cioè “resa nulla”); sulla “congruità” si potrà indire un Referendum.

Il senso propositivo –che l’Opposizione non ha- fa ipotizzare a Reduzzi l’introduzione di una norma che vieti passaggio alla Corte Costituzionale e Referendum abrogativo, o almeno una “moratoria di due anni” per applicare la Riforma. Ciò cozza con i privilegi della Magistratura.  Però i vicini al Premier parlano di una “piccola frangia politicizzata” mentre lo sembrano tutti: i magistrati dissidenti non si oppongono perché intimiditi? Non è il calcio il nostro grande sport nazionale, ma l’ipocrisia!

Reduzzi -con buon senso- smonta l’accusa al Premier d’induzione alla prostituzione: il termine “pagamento” serve ad avvalorare “uno sfruttamento” senza cui non ci sarebbe reato, mentre è lapalissiano che “in tante” fanno la fila per le cene del Premier. Reduzzi articola bene la difesa, ma questa è la frase che vale di più: “gli italiani con il voto hanno dimostrato di preferire un signore capace, cui le donne piacciono, ad un bigotto incapace”.  Reduzzi ricorda i dieci anni del processo Andreotti che per i lettori del “Time”  resterà un criminale (reso “un infame” dalla stampa). A  differenza di lui Berlusconi ha per difendersi più soldi e non deve ipotecare la casa.

Marchionne dalla FIOM, nata con Il Partito Comunista Italiano e da allora legata all’estrema sinistra, è stato presentato con il “refrain” del datore di lavoro “affamatore di popolo, sfruttatore di lavoratori, nemico da abbattere”, mentre alla Chrysler le guardie del corpo lo difendono dagli abbracci degli operai. Questo il nostro stile, evidenziato da Reduzzi in Justice, Italian-Style (il libro è scritto in inglese e tradotto nella seconda parte) o Giustizia all’italiana.

                       Maria Luisa Bressani

 

 

La precedente recensione di Reduzzi  è la più oggettiva difesa di Berlusconi e la constatazione dell'accanimento di certa magistratura. L'autore ha viaggiato il mondo per lavoro acquisendo la mentalità di civile cittadino del mondo, ha superato i 50 anni di matrimonio, è cattolico convinto pur se si pone alcune domande che risalteranno poi  in altre recensioni a lui dedicate dato che svolge una prolifica attività di saggista. A seguire ora il commento ad un altro dei suoi saggi politici scritto poco dopo questo all'avvento del governo Monti e quando integrerò il sito con le copertine dei libri in questo risalterà lo sventolare di bandiere rosse cui siamo stati abituati dalla CGIL più che se fossimo vissuti nell'Unione Sovietica del Partito Comunista e come se nel 1948 gli italiani non avessero fatto una scelta di campo.

 

 

La modernizzazione può attendere di Giglio Reduzzi

La modernizzazione può attendere: l’Italia non è pronta (Youcanprint Edizioni) è il nuovo saggio di Giglio Reduzzi che non lascia soli gli amici lettori nel primo impatto con il Governo Monti. Più appropriato definirlo un pamphlet come quando nacque nel 1700 (secolo dei razionali illuministi) per il contenuto politico, di mordace polemica.

In sottofondo un leit motiv: C.V.D., cioè “Come Volevasi Dimostrare”. La tesi: “Se il PCI dovesse rinascere e vincere le elezioni non dovrebbe compiere alcuna rivoluzione”. Tutto è predisposto all’aiuto: non necessita cambiare Costituzione, Istituzioni, prassi governativa, mentalità della gente.

Primo capitolo: “La Costituzione”, cui segue “Il presidente della Repubblica”, con corollario in “Appendice”: “I silenzi” di Napolitano. Reduzzi dimostra come “sia sostanzialmente irriformabile per ora e per il breve periodo” questo nostro Paese che altrove definì “delle caste e delle cosche”. L’autore, con lunga esperienza lavorativa in Nord America, ricorda che una signora lo presentò così: “E’ un italiano ma è una brava persona”, mentre per suo figlio vorrebbe sentir dire: “E’ italiano ed è una brava persona”.

La Costituzione, difesa da Napolitano, gli appare datata. Elaborata nell’immediato dopoguerra, in un Paese totalmente cattolico che però riteneva ineluttabile il trionfo mondiale del comunismo, gli sembra un “compromesso storico” tra cattolici e marxisti. Sono cadute tutte le Costituzioni cui la nostra si ispirò. Sui modelli la dice lunga il nostro incipit “una repubblica democratica, fondata sul lavoro”, a guisa di denominazioni consimili in vigore in Asia e Europa orientale, dove fin la denominazione del Paese si riferiva a “democrazia” (DDR, RPC) o al “socialismo” (URSS). Passa in rassegna l’articolo 7 (rapporti Sato e Chiesa, ma ampiamente modificati - senza dar nell’occhio - i Patti Lateranensi riportati come allegato), il 41 (contro ogni iniziativa eonomica senza utilità sociale) e il 42 (sulla proprietà privata). Nella Costituzioni sovietiche – ci ricorda - un articolo si riferiva sempre alla libertà di stampa: garantita!, e nel successivo di puntalizzazione, questa era “assicurata” (appaltata) alle “associazioni di lavoratori”. Era “il metodo”  per quelle Costituzioni.

Di Napolitano ci ricorda che, pur presenzialista, non andò ai funerali di Vaclav Havel (questi, perseguitato dai regimi comunisti, eletto presidente dopo la caduta del Muro, “si sarebbe rivoltato nella tomba”); vi mandò Fini “che, con quella faccia, può andare dove vuole”.  Napolitano era stato tra i massimi dirigenti del PCI che difesero il soffocamento della “primavera di Praga”, la repressione della rivolta in Ungheria, il regime (Pol Pot) che s’impadronì della Cambogia. Reduzzi ritiene  difficile sconfessare le radici, però si chiede perché, con tale passato, quel qualcuno sia nostro Capo di Stato. In “Appendice” ci parla, dopo le tante esternazioni, dei “silenzi” di Napolitano: silenzi assordanti quando nulla dice in visita a Napoli invasa dalla spazzatura, o quando, lui paladino dell’Unità d’Italia, non stigmatizza il rogo della bandiera italiana in Sicilia durante una manifestazione del movimento dei forconi.

Tra i temi ripercorre “La Dottrina Bindi”, “L’“assist” della Merkel”, “La Magistratura” (la peggiore in Europa, però incapace di riforme su di sé), “Il Partito Democratico” attraverso il perché dei suoi vari nomi. Sulla “Mentalità” degli italiani ricorda che nulla è stato fatto dai governanti per semplificare le procedure per aprire un’azienda, diminuire le tasse (ecc.), che si sono accontentati di creare posti di lavoro fasulli. Conclude che da noi lo Stato può occuparsi di tutto come nei Paesi del collettivismo.

Senza trascurare alcun argomento, dai “Media” agli “Intellettuali”, per il momento del passaggio al governo Monti ci ritrascrive il discorso del deputato inglese Nigel Farage al Parlamento Europeo (22 novembre 2011). I nostri radical-chic, così compiaciuti della lettura dei giornali stranieri, dovrebbero impararselo a memoria. Farage chiede chi dei governi europei sia responsabile della crisi attuale. Chiede conto di quando -come iene- hanno fatto rimuovere Papandreou e, con meccanismo simile, hanno contribuito all’allontamento di Berlusconi. Chiede, come in un giallo di Agatha Christie, ma nel profilarsi di una reggenza della Germania, chi sarà la prossima vittima. Chiude su Van Rompuy, da lui già definito un “assassino silenzioso” però diventato “molto rumoroso” dopo l’esternazione “L’Italia ha bisogno di riforme, non di elezioni”. “In nome di Dio – disse Farage- cosa gli ha dato il diritto di dire ciò al Popolo italiano?”

Il lettore legga da sé per capire meglio. Forse “qualche orfano del PCI” sarà attratto a comprare dallo sventolio di bandiere rosse in copertina: un corteo CGIL, sempre uguale a sé, senza capire di essere vetero-archeologia.

                          Maria Luisa Bressani

 

 

Nero su Rosso di Piero Vassallo

Nero su rosso – Una storia esemplare della destra di Sergio Pessot e Piero Vassallo (NovoAntico Editrice, Pinerolo c.p.28) ci fa interrogare sul perché la destra di Fini sia com’è e se sia ancora erede della destra storica.

Il libro, poco più di 100 pagine di una ricerca storica tanto volutamente e a lungo ignorata, ha una prefazione di Marcello Veneziani, in Appendice un intenso saggio di Luciano Garibaldi su “Nascita e scomparsa dei monarchico-fascisti” e una postfazione di Angelo Ruggiero. Su uno snodo del percorso moderno Ruggiero dice: “Il Msi fu un partito messo in un angolo solo alla fine degli anni settanta fino ai primi novanta. Iniziò tutto con il finanziamento pubblico dei partiti, che rese Almirante padrone del Msi”.

Almirante commise errori? L’analisi ne evidenzia tre da matita blu. Il primo nel 1960 quando minacciò la scissione se non si teneva nel centro di Genova il congresso Msi. Avrebbe potuto essere una Fiuggi condivisa, ma allora Tambroni aveva costituito un governo monocolore e Togliatti contro quel centrodestra progettò la rivolta popolare di Genova. Seguì per il Msi un decennio di stallo.

Gli altri due errori di Almirante nel 1968, quando eredita dall’antogonista,il cattolico Michelini,la segreteria del Msi. Tollera gli estremisti di Rauti; affida al “cinguettante radical chic” Armando Plebe il settore culturale. Il “turismo filosofico” di Plebe provoca nei giovani una vacanza di pensiero che perdura in Fare futuro “talk show per freddure sofistiche e filosofemi da palcoscenico”. Prima di tale decadenza l’accreditata scuola di cultura fascista, di Arnaldo Mussolini, voleva rifondare la cultura italiana sul pensiero dei grandi autori cristiani del passato (San Tommaso, San Bonaventura, Dante, Petrarca, Vico) e del primo Novecento (Del Vecchio, Papini, Gemelli).

Per la confusione di idee il resto lo fece il ’68, che non stupisce Fini abbia ideologicamente riabilitato: certa destra divenne anticipatrice di una nuova sinistra, entrambe in dissenso nei confronti dei rispettivi partiti di riferimento, “quasi intercambiabili fra Evola e Marcuse, fra Che Guevara e Mishima”. Non  a caso, negli anni dal 1955 al ’68 Rauti aveva convinto una parte del Msi della “necessità di calare la tradizione nel contenitore del fascismo rosso, operaista, socializzatore”. Ecco chiarito il titolo del libro, ma al lettore più distratto serve uno schema della postfazione con la chiarezza di un antico Bignami. Ruggiero, testimone del congresso del Msi a Viareggio nel 1954, scrive: “Si fronteggiavano tre schieramenti, “una destra” di Romualdi e De Marzio; “una sinistra” di Ernesto Massi e Giorgio Almirante, “un centro” composto da De Marsanich, Tripodi, Michelini, Roberti, Galdo, Bacchi e altri di rilievo che costituiva la linea politica pragamnatica e maggioritaria”.

Poiché questi nomi al lettore comune spesso non dicono più nulla, si segnala che a Genova nel 1946 si costituì il primo nucleo del Fronte degli italiani, da cui nello stesso anno sarebbe nato a Roma il Msi, fondato nello studio dell’assicuratore Michelini, cui si affiancarono Romualdi, Baghino, Almirante, il principe Pignatelli, e Roberti (primo federale del Msi genovese). Questi nomi e foto armarcord di giovani dal volto pulito rappresentano la nostalgia di un passato “romantico” che veniva dall’immediato dopoguerra. Il primo Msi si era sentito investito dei valori della tradizione cristiana, rappresentante di esigenze autentiche da proiettare nel futuro. Non pensava ad una restaurazione della Dittatura, ma a superare “la divisione degli animi che oggi proietta un’ombra velenosa e paralizzante sulla vita politica del Paese e che era considerata il peggior dei mali di una Nazione”. Lo sbandamento di Gianfanco Fini “ha portato in scena una squadretta di loquaci professorini sedicenti laico-liberal-risorgimentali, da riapertura della breccia di Porta Pia e scavo di un nuovo fossato tra italiani e italiani”. Ma l’approdo della destra “romantica” è nel giudizio in chiusura di libro: “Ultimamente il successo di Fini si deve alla dichiarazione di voto di Silvio Berlusconi. D’ora in avanti la storia della destra appartiene felicemente (malgrado sussulti velleitari di Fini e  Granata) alla storia di Silvio Berlusconi, interprete di un’Italia che ha congedato i maestri del sospetto, del livore e dalla jettatura per volgersi all’ottimismo della ragione e della benevolenza del cuore”.

Prima, nel libro, tutta l’evoluzione della destra dal dopoguerra (a fine 45 circa 35mila le vittime di una mattanza “pianificata come risulta da documenti del Cnl”), con in Liguria cittadini eroici (Cesare Sangermano, Emanuele Ghersi- fatto sfilare con un cappio al collo e di recente un cappio si è visto nelle mani di una dipendente Alitalia poi eletta nell’Idv-, Ferruccio Lentini), con ritratti dei maestri: Giano Accame e Gianni Baget Bozzo.

Le pagine più intense del libro sono per l’epopea delle Fiamme Bianche, giovani di meno di 18 anni che presero le armi nel settembre ’43 e furono l’unico corpo delle Forze Armate della Rsi che non si arrese; il gruppo di Genova combattè oltre al 29 aprile ‘45. Il loro comandante Alfredo Oppicini-Burzomato diventa poi assistente volontario di Santa Maria delle Grazie nel centro storico.

E’ la Chiesa dove Siri fece riaprire un’antica galleria che portava alle banchine del porto. Siri, pastore di tutti, come  allontanò da Genova don Berto, cappellano della garibaldina Mingo, quando i partigiani comunisti volevano farlo fuori, così alla Grazie diede ai fascisti ricercati quel mezzo di fuga per il Sud America. Le navi a disposizione erano di Bibolini e di Costa. Bella Italia: solidarietà e ideali!

                          Maria Luisa Bressani 

 

Piero Vassallo non ha bisogno di presentazioni: è un cattolico di destra per cui riporterò altre mie recensioni nella sezione "Autori", ma soprattutto è un uomo di coscienza che ha sempre creduto nei valori di onore, eroismo di una destra da lui ancora conosciuta.

Una riflessione: perché i giornalisti che sostengono Berlusconi sono sempre colpiti in questi anni da provvedimenti disciplinari: Sallusti, il direttore di Paorama, Belpietro

A seguire ora la recensione al libro Il Vittorioso che Vittorio Feltri con l'aiuto di Stefano Lorenzetto ha scritto durante i mesi di sospensione da parte dell'Ordine del , Minzolini...? Perché a loro si attribuisce la macchina del fango con svariati pretesti? Siamo in una dittatura e non ce ne rendiamo conto? 

 

IL VITTORIOSO di Feltri-Lorenzetto

Il Vittorioso di Vittorio Feltri con Stefano Lorenzetto, edito quasi strenna natalizia da Marsilio, è una denuncia, sostenuta dai fatti, contro la sospensione dell’Ordine al direttore del Giornale. Una sospensione che i lettori hanno decretato come illiberale, a senso unico, offensiva della libertà di stampa. Il libro narra la storia del direttore di otto giornali importanti, di cui Libero da lui fondato, con una vocazione che nasce in un bambino, orfano di padre a sette anni, fattorino a 14, e di scelte non determinate dallo “spingi spungi” di Santi protettori.   

Sembrerebbe eccentrico recensire un testo non ligure, ma due le ragioni: il Giornale in Liguria conta una compatta famiglia e il libro, pur spaziando a livello nazionale, rappresenta bene anche la nostra regione.  Per questa basta ricordare tre nomi: Anna Maria Ortese, Massimo Donelli, Piero Ottone. La Ortese da Rapallo manda al Giornale un’accorata lettera, quasi suo testamento spirituale, per perorare la causa di Joseph O’ Dell condannato a morte per stupro e assassinio, ma che si dichiarava innocente e quando un altro era ormai reo confesso. Per lui Feltri si batteva con un’appassionata campagna di stampa. Donelli, “compagno di banco” di Feltri al Corriere d’Informazione, è figlio di un pesatore della Culmv, la Compagnia unica lavoratori merci varie del Porto di Genova. A 21 anni offriva al lettore “risposte che nessun altro avrebbe saputo dare, in maniera semplice, chiara, efficace”. Piero Ottone, già direttore del Secolo XIX, quindi del Corriere della sera al primo articolo di Feltri gli dice: “Bene, molto bene, peccato per quel congiuntivo”. Feltri lo ricerca senza venirne a capo; anni dopo ne chiede ad Ottone e questi:“Caspita, così cattivo ero?” Aveva inventato per tenere sulle spine il “pivellino”.

Da questa premessa e a scorrere i 530 nomi di persone citate si capisce che questa Storia del Giornalismo ai giorni nostri, narrata da un protagonista, è per chi aspira a lavorare nel settore da delibare più del Murialdi. Racconta di Giornalismo senza annoiare come si può di Volontariato e Carità, calando le idee in storie di uomini.

Una grande Storia ad iniziare da Le XII tavole della legge dell’Arena il giornale da cui proviene Lorenzetto quando Feltri lo chiama come direttore vicario. Le aveva stilate il cronista Dario Papa e basti la settima a strapparci un sorriso: “Relazioni su banchetti discorsi politici funerali premiazioni, in generale le cose noiose, le manderai agli altri. Se le stamperanno avrai la nostra gratitudine”.

Il libro mette in primo piano il fattore economico, cioè la necessità di un lavoro ben fatto, innovativo anche nella grafica, appetito dalla fascia di lettori cui si rivolge, ma con un obiettivo: l’aumento della tiratura. Il quinto capitolo è dedicato al successo di Feltri in quello che definisce il “Gioco delle copie” per far fruttare l’Azienda-Giornale e quando Lorenzetto gli chiede se si senta “sucessore di Montanelli o erede”, Feltri fa professione di umiltà però ammette che per Indro il Giornale era una Onlus. Ma è figlio vero in quel “solo un giornalista” che Indro diceva di sé.

Molti i giudizi penetranti. Del Cavaliere afferma: “Ci rimasi male quando vidi che Mani Pulite sbaragliava il pentapartito e lasciava i comunisti, senza più avversari, liberi di vincere le elezioni. Fu lì che Berlusconi entrò in azione e salvò la democrazia”. C’è – è ovvio – anche la storia degli scoop da Affittopoli ad una fase amicale con Di Pietro di cui solo poi afferra l’inganno: “Gli storici dovranno domandarsi perché il simbolo di Mani Pulite sia stato eletto senatore nelle liste del partito risparmiato dalle sue inchieste”.

Viene ripercorso lo scoop su Fini e la Casa di Montecarlo e il caso Boffo, in cui rimane vera “la condanna per molestie telefoniche ad una signora”. Si chiede perché Angelo Bagnasco, presidente della Cei che detiene il 75% del pacchetto azionario dell’Avvenire attraverso la Fondazione di religione Santi Francesco e Caterina, abbia tardato a reintegrarlo. Il 18 ottobre 2010 Boffo è stato nominato direttore di Tv2000, l’emittente della Cei. Triste che un direttore faccia giri di valzer solo in ambito della  stampa cattolica, quasi questa fosse un ghetto. Chi dirige un giornale cattolico non deve essere un vetro trasparente come voleva Ernesto Calligari (Μikròs), che guidò (1885/1917) Il Cittadino di Genova?

Il libro è anche una testimonianza del carattere di Feltri: dall’esordio a 19 anni sull’Eco di Bergamo, dove poi tutti venivano sistemati non lui (un corporativismo tanto peggiore in ambito cattolico!), poi assunto alla Notte da Nutrizio per riconoscimento dell’esser in gamba, quindi la bella carriera.

Di Feltri ci colpisce che è un onesto come del resto Lorenzetto: da qui un incontro tra due umanità. L’acqua chiara e sorgiva dell’umanità di Lorenzetto buca la scorza montanara di Feltri e ne sgorga petrolio. Le due ricchezze si sommano e il libro si fa ricco pranzo di Natale per noi!

                   Maria Luisa Bressani

 

LA PICCINERIA UMANA

Avvertenza: le tre recensioni  che seguono si riferiscono solo indirettamente a Berlusconi, diciamo per analogia.

Nella prima la frase di un Papa genovese che conoscendo le donne riteneva qualcuna fosse in grado di "trangugiare un uomo vivo" mi ha fatto pensare alla Daddario, se ben ricordo il nome, la escort che i giornali di sinistra tirarono in ballo per segnalare brutti stili di vita dell'allora nostro premier. E le frasi "ma che brutta figura ci fa fare all'estero" come non avessimo conosciuto un Mitterrand con la figlia nata fuori dal matrimonio e tenuta nascosta o come se la nostra prima presidente della camera, Nilde Jotti, non fosse stata anche un'amante o come se un altro capo del nostro governo in passato a San Rossore imponesse ai carabinieri di far finta di non vedere quando introduceva alternativamente due diverse "amiche" attrici o come  non sia esistito un Clinton (per altro politico assai preparato) o come se il Carlo inglese non avesse ingannato la giovane moglie con l'amante storica o come se per i costumi non irreprensibili dei potenti non avesse risposto a tono una volta per tutta Gladstone che cioè "a casa sua poteva fare ciò che voleva" e gli diedero ragione saggiamente; e ancora altre frasi di refrain i Franceschini "ma voi dareste a Berlusconi i vostri figli da allevare? " o ancora di Ferruccio Sansa"ma voi mandereste la vostra figlia diciassettenne da lui ?" che mi avevano tanto irritato da proseguire qua sotto contrattaccadoli (ognuno ha i suoi talloni di Achille). 

Così ora tolgo tutto salvo esprimere la mia profonda e personale noia per tutto questo incluso il processo Berlusconi ter, atto dovuto che poerò poteva esser messo in cammino un mese fa o fra un mese e non a ridosso della discussione sull'Italicum con il solito tempismo più che sospetto delle toghe rosse.

Ieri la mia svolta personalea conferma del non comportarsi mai da giornalisti "gossipari" è arrivata mettendo su questo Sito alla pagina Terre Sicilia Liguria parte di una lettera del 1998 di un amico iugoslavo sul "vivere civile". Andate a leggerla.

A me ha fatto ricordare che da giornalista non gossipara ho sempre lasciato cadere quegli "scoop" che a volte mi venivano offerti con apparente innocenza ma perché li scrivessi e che potevano riguardare un presidente della Regione sentimentalmente "birichino" o un sindaco che in barba ai condoni si allargava un pezzetto di casa e nessuno dei componenti delle varie commissioni fiatava. Mi sono ricordata di non aver voluto mai scrivere niente di lesivo della dignità della persona o per gettare sospetti e così finisco qui.

Lavorare nella chiarezza non nelle ombre!

Quanto al Lodo Mondadori e al processo Mediaset consiglio di leggere direttamente il libro di Stefano Lorenzetto, gionalista coraggioso, Hic sun Leones che ho recensito e riportato in questa pagina ma sintetizzando in due righe al riguardo quello che il giornalista spiega dettagliatamente in più pagine. Si dice che non è ammessa l'ignoranza della legge, in questo caso dico che non è ammessa l'ignoranza dei fatti al di là di ciò che vocifera la magistratura e che rende indispensabile la riforma della giustizia.

Concludo questa dolente intemerata: "I due, Franceschini e Ferruccio Sansa giornalista, sembrano due 'maestrine' che ci vogliono insegnare la morale ma noi non portiamo più i calzonicini corti e le gonnelline al ginocchio degli scolaretti!"

Quanta ipocrisia! E quanti sono 'i mestatori d'animi' come il cuoiaio Cleone? (v. P. 24 Nervi S.Ilario Quinto, articolo su CL e l'odio contro CL espresso da un consigliere della IX Circoscrizione).

La seconda recensione può riguardare Berlusconi e le persone in cui si è imbattuto per la replica orgogliosa di un cenciaio al Principe di Canosa. Ricordate infatti la "fatina" Noemi, così concupita da Repubblica? Sua madre rassomigliava in peggio alla Magnani di "Bellissima "e del padre mai è arrivato verbo sui giornali. Ma un padre deve prima insegnare dignità alla figlia e in caso questa appaia offesa dovrebbe difenderla. Invece vi pare sia successo? Meglio il cenciaio.

Infine nella terza recensione la definizione "piccineria umana" è stata usata da un grande giornalista Giovanni Ansaldo per stigmatizzare dopo l'assassinio di Umberto  a Monza quel popolino che lo riteneva coraggioso al di fuori della norma perché protetto da un'invincibile maglia d'acciaio che egli invece non aveva.

Alla manifestazione di maggio a Brescia, la seconda dopo la romana cui ho partecipato in vita mia, e mi hanno strappato la bandiera del PDL facendola a brandelli (poi allegherò qui anche il testo che scrissi al ritorno) a Berlusconi come ho poi letto proposero di indossare il giubbotto antiproiettile ma non volle e sul palco al suo fianco c'era solo una guardia del corpo dall'aria veramente molto truce con gli occhi che investigavano dovunque e con la mano che sembrava sistemata sopra una fondina: questa l'impressione non solo mia ma di altri presenti in quella piazza dove il Popolo della Libertà era di 15mila convenuti benché avvertiti solo il giorno prima e 5oo (centri sociali, Sel, cinque Stelle) lasciati entrare nel fondo della piazza gridavano incessantemente e come un boato "vergogna, buffoni, ladri!" Alla fine di questa rassegna quel mio testo di cronaca di quel pomeriggio e con paura dei convenuti, ma prima provate l'emozione dolente del popolo "pentito" al passaggio della salma di un re coraggioso.

Inserirò poi una mia recensione ad un libro sui Proverbi di La Spezia, ma qui potete leggere come a voler tirare l'acqua al mulino delle proprie idee io abbia interpretato la saggezza di proverbi antichi come coniati oggi per Berlusconi

 

Storia della Liguria di Gabriella Airaldi

Gabriella Airaldi  con Storia della Liguria-Dalle origini al 1492 (Marietti, pagine 611) ci dà un gran romanzo sul carattere di un popolo, gli Incontri e una Galleria con fior di protagonisti. Su precise coordinate storiche e con una miriade di notizie riguardo vita e costumi. L’arte di scrivere risalta nei titoli: “Il cigno e l’ambra”, “Vivere con i Liguri. La carne e lo spirito” (cibo, commerci, tasse, religione), “Il caso di Bobbio e le vie marenche”, “L’isola dei monaci bianchi”, “C’è un’altra Liguria sul mar Nero”, “Tra Genova, Savona e Roma” (tre Papi liguri tra Quattro/Cinquecento). Il libro è in due parti: dalle origini al 643 d.C. dell’Editto del longobardo Rotari che coniugò consuetudini germaniche con il diritto romano; il Medioevo, quasi 1000 anni, fino alla scoperta d’America.

Sul mito fondante dei Liguri Esiodo racconta: “Cicno, re della Liguria, parente di Fetonte, mentre lo piangeva fu trasformato in cigno. Anche questo morendo canta con voce sottile”. Cicno era un re cantore, fama anche dei Liguri. Forse i cantautori genovesi avevano il successo nel Dna, ma è pensiero mio perché Airaldi scrive e documenta, non commenta.

Il mito collega i Liguri agli Iperborei e mette in risalto l’ambra, allora tipico prodotto ligure. Quando Fetonte, che aveva incendiato la terra con il carro del padre Sole, per punizione fu fatto precipitare nel Po, le sorelle Eliadi piansero lacrime d’ambra. Dall’ambra derivava “Ambrones”, antico appellativo dei Liguri.

Ad Aquae Sextiae  i Liguri affiancavano i Romani di Mario e si scontrarono con nemici feroci. “Ambrones!” gridavano questi, scandendo il proprio nome al ritmo d’armi battute sugli scudi. “Ambrones!” gridarono di rimando, rivendicando il nome (lo racconta Plutarco). Li sterminarono, pur se le donne nemiche si opposero con le spade.

Un coraggio estremo però il carattere dei Liguri era mal reputato: “Ignoranti, bugiardi”, con “arte della frode”(lo grida Camilla, eroina virgiliana, al figlio del re ligure Auno). Ladroni, per rubare si spalmavano i lombi di grasso per sfuggire alla presa. Gente di montagna, quando diventano protagonisti sul mare (ben prima degli Inglesi), praticano la pirateria. Meglio le donne liguri come narra Posidonio: una ligure lavorava con gli uomini da salariata e partorì dietro un cespuglio. Subito tornò a lavorare, ma il capo impietosito la pagò, facendola andare a casa.

Il libro è contro i luoghi comuni (v. chi discuteva se Quattrocchi fosse un mercenario): i Liguri sono sempre stati mercenari. Come tali affiancavano i Cartaginesi nelle guerre puniche e continuarono dal Medioevo ad oggi. L’usura, in tempi di moneta scarsa, era praticata dai Liguri con più liquidità grazie alla marineria. Il luogo comune più vistoso? Un Medioevo “buio e violento”.

Quanto alla religione i Liguri avevano il “culto delle vette” e santuari sui monti (il Bego, il Beigua dove lasciarono iscrizioni). L’economia ebbe risonanza internazionale già dopo la vittoria di Roma su Annibale. Sotto Roma, nonostante diventino Provincia con il proprio nome e un territorio esteso al Rodano e alla Padania, hanno minor fortuna di quando l’Impero si sgretola e i commerci si accentrano sul mare. L’emporio genovese si giova della posizione centrale tra i regni costituiti dai barbari; si arricchisce come porta sul mare Mediterraneo e nei rapporti con l’Oriente. Poco prima del Medioevo vi circolavano: miele, pelli, pellicce, schiavi, sale, formaggi, olio, vino, vetro, bronzi, ceramiche, legnami, animali da soma. Dopo il X secolo le merci sono ancor più svariate: dalle spezie (rapporti con l’Islam) al ricercatissimo oro del Senegal e crescono gli avamposti genovesi nel Mar Nero fino alla Persia e alla Cina. Dopo il 1200, nella descrizione delle “Arti” (le corporazioni artigiane), troviamo che la carta (bene importante a seguito della conservazione del libro nei monasteri delle Isole e di Bobbio), si produceva nelle cartiere di Varazze. Esistevano i balestieri per la difesa dei Castelli, i camalli provenienti dal bergamasco,i mulattieri con 14mila muli per il trasporto. A Genova si costruivano palazzi con marmi di Carrara e ardesia, con vetrate d’Altare; fiorivano i “maestri d’ascia” per fare imbarcazioni, i “sabedores de mar” (ammiragli ingaggiati dai re). Durante le Crociate per i genovesi Gerusalemme fu “il sogno americano del tempo”.

Attento l’esame sull’originalità del sistema governativo: Genova si afferma come “Repubblica di Famiglie”, con i Clan, l’Albergo, con la tradizione del Capitano del Popolo e dove il Doge è un primus inter pares (dei Dogi nella lotta delle famiglie solo 16 muoiono di morte naturale).

Le donne sono protagoniste di Carità e Assistenza. Fioriscono le Sante e i primi monasteri femminili cistercensi. Molti gli uomini protagonisti: i capi delle grandi famiglie, la dinastia dei Boccanegra (Guglielmo il fondatore, Simon Doge, il blackbeard Egidio terrore degli Ingles). E ancora: Benedetto Zaccaria prototipo del mercante-guerriero come Andalò di Savignone, noto per i rapporti con la Cina.

Colpisce un cambio “di razza”: i Liguri, discendenti degli Iperborei, diventano multietnici dopo il 934/35 quando  Genova è presa dal califfo di Tunisi. Le 1000 donne fatte schiave rientrando partoriscono figli di arabi, senza contare le unioni di genovesi con le schiave, legittimando i figli.

Infine tre Papi liguri: Sisto IV (Francesco della Rovere savonese), Innocenzo VIII (Gianbattista Cybo genovese), Giulio II (Giuliano della Rovere savonese). Il genovese ebbe molti figli e fu nepotista. Forse perché conobbe le donne, è autore di una bolla contro le streghe, di cui Rotari aveva proibito la persecuzione anche perché “impossibile che una donna ‘trangugiasse’ vivo un uomo”. “Barbaro davvero!” Non immaginava le odierne “escort”, così cannibali!

                    Maria Luisa Bressani

 

 

Genova Reazionaria - Una storia culturale della Restaurazione di Stefano Verdino

“Dove non è concordia, ricchezze, valore, libertà nulla sono”, parole dalla Storia ligure del marchese Girolamo Serra. Le cito da un passo più ampio di Stefano Verdino nel suo Genova Reazionaria – Una storia culturale della Restaurazione, (Interlinea, Novara). Verdino mette a confronto, in modo breve ma rilevante, l’opera del Serra (che si ferma a fine Quattrocento) con la Letteraria del barnabita Spotorno. Entrambe nascono dall’“orfanità” della perduta Repubblica annessa ai Savoia, “dal bisogno di allestire, nell’estinzione dello Stato, una memoria dell’identità ligure”. Ho scelto, per il valore d’attualità, questo piccolo spunto per presentare un libro “fittissimo” di personaggi (Mazzini, il fratello di Silvio Pellico, alti prelati, il re Carlo Felice, Carlo Alberto, ecc.), un libro ricco di fatti visti da angolature inedite. Il nostro tempo politico è fazioso ma leggendo scopriamo che  quella Genova “Provincia europea” (tale è definita) non era diversa. Fu incubatrice del Risorgimento e speriamo ne arrivi un altro per noi.

Verdino indaga gli anni genovesi dal 1815 al ’31 in fonti letterarie, storiche, giornali, testi teatrali, melodramma, in tutta una serie di diari, lettere e memorie straniere, inglesi e francesi, ben al di là dei noti Byron e Stendhal.

Genova, malcontenta dell’annessione al Piemonte, deve ben figurare nell’Europa della Restaurazione di cui è artefice il principe Metternich. Ad aprile del ‘15 vi arriva Pio VII, fuggiasco da Roma dopo l’invasione dello Stato da parte di Gioacchino Murat, e vi resta cento giorni. Nel ’25 vi approda don Mastai Ferretti, reduce da un viaggio di due anni in Cile e dopo aver doppiato Capo Horn. Poiché divenne Pio IX, si vede che il futuro Papa viaggiò ai confini del mondo.

Sul palcoscenico del tempo rimbombano dalla Rivoluzione contraccolpi “apocalittici” per la Chiesa. Da Genova parte l’offensiva reazionaria, dagli ambienti ecclesiastici dell’arcivescovo barnabita Lambruschini. In campo gesuiti (defraudati dalla Rivoluzione), giansenisti come il Degola che dialoga con Manzoni (la cui prima moglie era calvinista), entrambi oppositori dell’abate Lammenais, esponente del cattolicesimo liberale. E’ il momento del prestigio internazionale dell’Istituto Sordomuti, fondato dal padre scolopio Ottavio Assarotti, caro ai Savoia, che ebbe da Napoleone I la prima elargizione. “Non v’è straniero che giunto fra noi non accorresse a visitare quest’uomo incomparabile”, annota la “Gazzetta” nel 1829. Lambruschini però considerava l’Istituto troppo “infetto” da giansenismo. Come collaboratore aveva scelto Antonio Maria Gianelli (poi Santo) ed ipotizzava una triangolazione trono-altare-gesuiti.  Il trionfo di “trono e altare” risalta nel summit a Genova presso re Carlo Felice (31 maggio/7 giugno 1825) di principi italiani, allora quanto mai litigiosi fra loro.  All’alleanza “trono e altare” aveva già contribuito nel 1815 lo spettacolo I tre fanciulli nella fornace babilonese, con recitanti i sordomuti dell’Istituto di padre Assarotti, una grande avanguardia educativa.

Del Gianelli Verdini cita uno scritto giovanile in cui aveva definito Dante: “poeta guazzabuglione che profana e stercora tutta la religione cristiana”. E questo  libro ci offre l’impagabile divertimento di pregiudizi d’epoca e di satira accesa. Troviamo spunti spassosi come la definizione di “pollo” per Napoleone dopo Waterloo. Anche un’orgogliosa lettera inviata da un cenciaio al Principe di Canosa, esule da Napoli  e frequentatore del Lambruschini, che diventato suo suocero lo invita a trasferirsi da lui. Il principe si era invaghito della figlia di questo cenciaio, Anna Orselli, “sventurata per disonesta madre che vendeva le proprie vecchie libidini e le sue nuove”. Rimasto poi vedovo, la sposò (ne aveva avuto due figlie), ma il cenciaio gli risponde che “aborriva le antiche disonestà delle sue donne e le recenti nozze con uomo disuguale, tenuto malvagio nel mondo, e la presente miseria gli era onorata e più lauta vita ricorderebbe le sue vergogne”. Analogo orgoglio in recenti scandali italiani ed americani, o non piuttosto il tornaconto di padri e mariti?  Non a caso, nel paragrafo “Libri e librai” si ricordano i Lunari di Martin Piaggio, primo esempio di mugugno. Nel suo Rivolûzion de bestie contro i ommi, alla domanda “quale il guadagno dalla libertà?, la risposta mugugnona è: “Aviemo in cangio d’ûn cento tiranni!” Tutto da centellinare questo  Verdino!

                        Maria Luisa Bressani

Gli anarchici della Belle Epoque di Giovanni Ansaldo

Un piccolo-grande libro Gli anarchici della Belle Époque, di Giovanni Ansaldo, tratto da alcuni suoi articoli su Il Borghese, Il Mattino, e pubblicato da “Le Lettere” (Firenze). Questo volumetto, il ventiquattresimo (per ora ultimo) nella collana della “Piccola Biblioteca di Storia Contemporanea” è in compagnia di “Futurismo e politica” del prefatore Francesco Perfetti, di due testi sul referendum di Luigi Barzini junior e di Paolo Monelli, di  Lupinacci sulla regina Margherita e di Indro Montanelli “Le passioni di un anarco-conservatore”. Me li comprerei: i libri, piccoli di formato e di agile lettura come questo, spesso sono i più intelligenti. 

Perfetti ci fa capire il fascino degli anarchici storici su Ansaldo “inossidabile conservatore e uomo d’ordine”. Mette in risalto come per lui “gli anarchici, delusi da come era finita la fiammata del Risorgimento, portassero lutto per l’altra Italia sognata da Mazzini e Garibaldi”. Nel passaggio tra Otto e Novecento (il secolo degli ideali e quello delle stragi) molti i colpi anarchici contro potere e società. 1894- Carnot, presidente francese, è ucciso dall’italiano Caserio e per ritorsione a Lione si saccheggiano i Caffé, Casati e Maderni, di nome italiano, per poi scoprire che erano di un savoiardo e di uno svizzero. 1897– assassinio del presidente del consiglio spagnolo Canovas del Castillo; 1898- l’imperatrice Elisabetta d’Austria (Sissi) muore per mano di Luccheni; 1900- 25 luglio- re Umberto, 1901- il presidente Usa Mac Kinley. Molti attentati: 1892, di Ravachol in Francia e Spagna; 1921, eccidio di Milano: una bomba al Teatro Diana. Da noi, padri illustri d’anarchismo: Pisacane Malatesta Gori.

Nel libro l’introduzione di Perfetti è un’analisi sulla teorizzazione dell’anarchismo nostrano (attraverso la sintesi di Cafiero sul Capitale di Marx), ma anche sulla  sua distinzione dal socialismo autoritario figlio del marxismo: rivolta morale il primo, il secondo per istanze economiche.

Vengono presentati i rigurgiti del comune sentire contro l’Unità d’Italia ipotizzando che Bresci, assassino di Umberto I, venuto da Paterson in Usa, nella sua sosta a Parigi  si incontrasse con Maria Sofia, regina spodestata di Napoli. Appaiono intrecci internazionali, ma viene da lontano la genesi dell’anarchismo in Lunigiana e a Carrara: filiazione dell’Italia degli Apuani e dei Frigniati di Livio, oppositori di Roma. Questo in base a ciò che ne scrisse Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, amico e compagno d’arme di Ansaldo.

Nel libro raffronti con l’anarchismo francese  e l’escalation della tecnologia di morte apportata dall’anarchico criminale  Bonnot, passando dal pugnale all’auto: prime applicazioni nella guerra civile in Russia e con i paracadutisti tedeschi a bordo di camion e moto. Raffronti con l’anarchismo spagnolo che fu contro il predominio dei preti e connotato dal macabro. L’osservazione intelligente ci riporta al gusto drammatico della pittura spagnola tra 5/600, inclusi i grandi nomi di El Greco, Velázquez. Epica appare la storia degli anarchici, quasi arcangeli contro una realtà lontana dall’ideale. Ne è simbolo Caserio, assassino di Carnot, che bimbo, a Motta Visconti, andava in processione vestito da San Giovannino. Storia epica perché per Ansaldo gli individui buoni o malvagi, ma di forte personalità, hanno fatto la storia.

Grandeggiano due vittime: Giuseppe Bandi, eroe garibaldino a Calatafimi e prima di Ansaldo direttore del Telegrafo. Ferito a morte dal pugnale di un anarchico, grida al cocchiere: “Sono ferito, acchiappalo”. Re Umberto, il re buono di cui si favoleggiava che sfuggisse agli attentati protetto di cotta d’acciaio come da un giubbotto antiproiettile. Di lui il ricordo di Ansaldo bambino, quando alla stazione di Ronco nell’Appennino ligure, dove la sua famiglia era venuta a “frescheggiare”, aspetta il treno con la salma del re. “Inginocchiato tra i miei inginocchiati pur essi; e l’arrivo del treno reale; e il vagone col feretro, con i corazzieri, le sciabole nude in pugno”. Capisce allora che la storia della “maglia d’acciaio” (titolo dell’ultimo capitolo) viene dal “pozzo inesauribile della piccineria umana che non può vedere un uomo, specie un re, animoso al di là della comune misura, senza immaginare subito il trucco”. E la pietà della gente minuta, ricordandone “il giovanile valore, la prontezza cavalleresca ad accorrere dovunque s’abbattesse la sventura”.

                        Maria Luisa Bressani

 

 

LA POLITICA di Alessandro Ballerini

Piacenza A tocc e boccon di Alessandro Ballerini

Uno spunto per leggere Piacenza – Racconti A tocc e böccon di Alessandro Ballerini, con allegria e partecipazione (a Genova abbiamo il Teatro Carlo Felice - o Infelice -), ci viene da un aneddoto sul Municipale di Piacenza. In una rappresentazione di Cavalleria Rusticana al grido “Hanno ammazzato compare Turiddu”, una voce dal loggione rimandò contro il tenore un po’ “canino”: “I ‘hann fatt bein, atzè un’ätra volta l’impära”.

Per sorridere ancora, un aneddoto che Ballerini, affermato cantautore, narra di sé. Una delegazione di sordomuti gli chiese di fare uno spettacolo per loro in piazza Cavalli. Obiettò all’interprete: “Come mi capiranno?” e fu rassicurato che ci sarebbero stati 1500 loro familiari da tutta Italia. Dopo il concerto la Libertà titolò: “Piazza Cavalli – Ballerini canta e suona per i sordomuti, grande successo!”

Delle sue canzoni scelgo “Com’era verde la mia valle”, che è in apertura di libro, dove una bimba correva, capelli al vento, in giardino e l’autore, bambino, dice: “Inseguendola pian piano mi accorgevo... che m’innamoravo./ Come era bella la mia valle come era bella lei/ com’era verde primavera e intanto si fa sera./ Ecco il grano pronto per la mietitura, biondo come i suoi capelli”.

Nostalgia è sigla smagata di questi versi,  e Nustalgia è il titolo del primo libro dell’autore che all’attivo ne ha dieci. Uno sui Comuni del piacentino, tra cui Bobbio e Ottone in Val Trebbia, via del pane e del sale per Genova, è stato sponsorizzato dalla Banca di Piacenza, radicata in sette Province, tra cui Genova. Non solo, i versi della canzone citata, forse perché il colore biondo dei capelli, tinture a parte, è carattere recessivo, mi ricordano Sbarbaro per la bambina bionda che salta alla corda: “E non sa che mai bene più grande non  avrà che quel po’ d’oro vivo sulle spalle”.

Nella pagina a fronte della canzone, il ricordo di una piacentina dalla capigliatura “color miele, donna bella e colta che rappresentò i conterranei a livello mondiale per un decennio”: Calpurnia, la terza moglie di Giulio Cesare.

Però nella parte finale del libro, quando l’autore si concede il lusso dei ricordi, tra le foto di famiglia la moglie Anna, piacentina e cui dedica un’intensa poesia, è una bella bruna!

In generale, questo è un “livre de chevet”, cioè da tenere sul comodino per riflessioni. Nella Storia, raccontata per episodi sfolgoranti come la battaglia sul Trebbia del 1799 con 16mila morti, spazia dall’antichità a Napoleone che “si dedica” la chiesa di San Francesco intitolandola a “San Napoleone martire”, ai montanari che gli si ribellano, a Maria Luigia “bella, religiosa e colta sposa diciottenne del tiranno” che governerà Parma, Piacenza, Guastalla. Divagando nella Storia, racconta di come si estinse la dinastia Farnese causa un’indigestione del duca Antonio durante un Carnevale con 10mila maschere. Per inciso, il fascino della cucina piacentina è in una poesia-elogio ai tortelli, del 1736.

Ballerini ricorda l’evoluzione moderna della città e nel valzer sontuoso di personaggi, da Giulio Alberoni, Primo Ministro di Spagna, a Verdi consigliere provinciale, a don Miraglia, Martin Lutero piacentino, inserisce  un cammeo-ritratto di Wilma Solenghi, sua maestra di chitarra, icona di Piacenza popolare che ebbe fama in America. Tra le curiosità cito la raccolta di sagge iscrizioni delle Meridiane, 95 in italiano, 20 in latino, 10 in inglese e francese.

L’autore, nato a Bobbio, ci ripropone un detto: “Vedi chi canta e chi suona? A ièn tütt savatin e barbè” (son tutti ciabattini e barbieri). Genova famosa per la sua scuola di cantautori si offenderebbe, se non aggiungesse di sé: “Se fossi nato in una famiglia di musicisti, lo sarei diventato”. Anzi Ballerini, commercialista e dirigente aziendale, che a Piacenza è stato assessore al Bilancio, al Commercio e alla Cultura, dice: “Voglio morir cantando e non contando”.

Gran sportivo vinse nel getto del peso l’olimpionico Adolfo Consolini, è stato pugile e, praticando canoa, si salvò su un albero da una piena del Trebbia in un febbraio di neve.

Ricorda la bobbiese via IV Novembre, dove abita d’estate, la mitica “Ra conträ di Matt” (nome dovuto ad un antico manicomio). Tra gli amici della via (dove abitavano anche i miei nonni materni) il regista Marco Bellocchio, dotato fino ai 15/16 anni di una splendida voce bianca e già allora per lui “persona speciale, di umile saggezza e bontà”. “Non nascondo che volevo assimilare tutto da lui –racconta-, componente di una famiglia colta e intellettuale, mentre Marco era attratto dal mondo popolare cui appartenevo”.

(Piacenza – Racconti A tocc e böccon, Tipolitografia Maserati di San Nicolò di Rottofreno)                         

                      Maria Luisa Bressani

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo le due giornate a Roma e a Brescia pro Berlusconi che in vent'anni ha difeso la nostra libertà, ha dato voce ai moderati, per questi  la sentenza Mediaset sarà un vulnus?  E lo è stata, su certi colpettini di stato ha ragione Grillo.

Concludo la rassegna di queste recensioni scritte nel tempo ed ora dedicate a Berlusconi per riferimenti epsliciti o riflessioni o analogie con la recensione per il giornalista maestro di pensiero liberale: Mario Pannunzio  e poi farò seguire la cronaca delle mie prime due manifestazioni di piazza con i "moderati" (non gli estremisti come ora vorrebbero chiamarli i falsi!), quel popolo disperso che deve imparare a rialzare la testa come insegnano il coro dell'Adelchi o il Nabucco. Ma sono poi sempre e solo i moderati a far corpo e a sapersi trarre fuori dalla crisi per difendere la libertà e la pace.

  

Mario Pannunzio: Da Longanesi al "Mondo" a cura di Pier Franco Quaglieni

“Per i liberali alla Pannunzio un forte simbolo di identità fu lo Stato nazionale costruito dai “padri del Risorgimento” ed assai meno il mito di una Resistenza che finì quasi subito di essere egemonizzata dai comunisti”. Se questo commento di  Dino Cofrancesco, uno dei massimi storici del pensiero politico, si coniuga con quanto afferma Massimo Gramellini, firma molto amata della “Stampa”, su “Il Mondo” che  “cambiò la cultura e il giornalismo italiano del secondo dopoguerra”, abbiamo una sintesi alta di chi fu Pannunzio e del giornale da lui fondato nel 1949. “Il Mondo”, foglio liberale, durò diciotto anni. Le due attestazioni di stima senza paraocchi per Pannunzio e il suo settimanale sono nell’introduzione a Mario Pannunzio – Da Longanesi al “Mondo”, curato da Pier Franco Quaglieni per Rubbettino nel centenario della nascita dell’autore lucchese. Il testo si compone di sette saggi di storici emergenti (uno di Quaglieni) e le testimonianze di Angiolo Bandinelli, che lavorò al “Mondo”, e di Mario Soldati, con titolo “Il mio amico Mario”.

L’osservazione di Cofrancesco mette in risalto uno dei nodi del dopoguerra: un comunismo italiano che volle accapparrarsi la Resistenza, che si applicò ad “una propaganda capillare e ad un’azione pertinace con una politica di quotidiano sgretolamento dell’opera del CLN” (vedi il saggio di Mirella Serri). Ne conseguì che gli intellettuali fascisti passati al PCI furono “perdonati”, “respinti” gli antifascisti come Leo Longanesi. Pannunzio stigmatizzò come spettro culturale da combattere quella sinistra ultraconservatrice che egemonizzò il dopoguerra, che espunse dal suo consesso tutto quelli che non si riconoscevano nella sua etichetta.

Splendido il ricordo su Pannunzio di Soldati, sui loro colloqui al “Mondo” con intorno solo libri, ma dove sentiva che “cultura e libertà, coerenza e rigore, non sono chimere, ma ideali profondi per cui val la pena  battersi”.

La formazione “sentimentale” di Pannunzio, cioè politico-ideale, si delinea nei saggi. I suoi compagni di viaggio nel Novecento furono antifascisti coerentemente antitotalitari: Orwell, Camus, Nicola Chiaromonte, Hannah Arendt. Ebbe un maestro, Benedetto Croce, capace di “ribadire le proprie idee sulla rivoluzione sovietica e il conseguente totalitarismo ideologico che ne è derivato” (vedi saggio di Guglielmo Gallino), capace -quando Pannunzio lo cooptò al Mondo-  di insistere con intenzione etico-politica sulla connessione tra verità e storia.

Da una sua ricerca personale “Le passioni di Tocqueville”, (ripubblicata su “Il Mulino” nel 1968 da Nicola Matteucci) assimilò da questo maestro che non conobbe di persona un concetto: “Passioni non sono rancori, rabbie che distruggono, ma la forza con cui si riesce a dar testimonianza delle proprie idee perché solo queste creano la storia”.

Nel retroterra culturale di Pannunzio ha parte l’esperienza di vita, di figlio di un comunista (in relazione con i capi della Rivoluzione bolscevica, ma che subì il carcere della polizia sovietica e si salvò a stento). Suo padre con la famiglia, a seguito di questo passato, dovette abbandonare Lucca per le intimidazioni fasciste. Pannunzio si forgia così d’animo libero, anzi liberale come il giornale “Risorgimento liberale” che fondò in clandestinità, per cui venne rinchiuso a Regina Coeli.  Diventò il quotidiano del PLI da lui fondato nel  1943 e nel ‘55  fondò con Ernesto Rossi e Leo Valiani il Partito Radicale. Propugnava una “terza forza” rispetto alle due chiese dominanti per entrare in una prospettiva europea.

Tra le sue battaglie giornalistiche la pubblicazione su “Risorgimento Liberale” di “Ho scelto la libertà” di Kravchenko, testimonianza dei processi di collettivizzazione e dei campi di prigionia in Urss.  Mettevano in difficoltà il PCI anche le inchieste su Pola e Trieste, sui prigionieri di guerra in Urss. Il motivo dell’esodo dei giuliano-dalmati restò un cavallo di battaglia al “Mondo”, che fondò dopo aver imparato nella fucina di alto giornalismo che fu “Omnibus” di Longanesi dove era stato assunto con Arrigo Benedetti.

Altre battaglie al “Mondo”:la difesa d’Ungheria nel 1956, (immarcescibili comunisti ancora presenti sul piano politico non sentirono quel sogno di libertà!), ma anche la denuncia del potere immobiliare (compravendita di aree fabbricabili alla periferia di Roma) con un manifesto firmato da 650 intellettuali. Un’altra battaglia fu contro il “saccheggio urbanistico” con gli articoli di Antonio Cederna. Soprattutto il tentativo di educare la Provincia (quella per cui coniò il detto “Italia alle vongole”): “Pronta ad insorgere per una strada, un nuovo ponte, a mobilitarsi, a volte pericolosa e violenta, contro ogni innovazione, ma indifferente ai drammi della provincia vicina”. Nella battaglia per il Sud, inserì il meridionalismo in una tradizione di giornalismo politico di respiro europeo. Battaglia di cultura fu la mancanza di scandalismo: nel caso Montesi  altri s’inzupparono.

Non solo, diede spazio agli scrittori, per gli italiani con la pubblicazione di Bell’Antonio di Brancati e altri; degli stranieri con L’Inganno di Mann, 1984 di Orwell, Il caro estinto di Waugh. Tra i collaboratori la compresenza di Croce, Salvemini, Einaudi; come primo caporedattore Flaiano.

“Il Mondo” fu un esempio europeo di giornalismo. Insegnò che “il giornalista può e deve esercitare una funzione morale, culturale, politica”. Ad un anno dalla morte Arrigo Benedetti lo ricordò sul “Corriere della Sera”: “Restiamo con l’obbligo di vivere gli anni gaiamente e seriamente, di giudicarli al di là dei pregiudizi, com’egli seppe finché visse”.

                           Maria Luisa Bressani

ROMA 23 Marzo

  

A me non  va giù che la manifestazione del PDL con Silvio Berlusconi sia stata definita solo un si “torna al voto se non siamo coinvolti al governo”, quasi un ricatto. Non è stata capita nella sua portata dirompente: dei 300mila, venuti da dovunque, Nord e Sud, nell’emozione e il calore. I media ne hanno avuto quasi paura,  quasi han messo sordina.

Se siamo tutti italiani, lì alcune caratteristiche d’italianità sono apparse più evidenti. Non a caso, domenica 24 l’Annunziata, incapace di dire soltanto “scusate” per l’errore sugli “impresentabili”, ha stilato una graduatoria delle tre manifestazioni di sabato. Per lei la prima in classifica i No TAV in Val Susa, seconda dei pidiellini però avanti al “flop” romano dei democratici alla Micromega.

Annunziata non ha capito la gioia dei trecentomila in quella piazza romana con Berlusconi, né l’esortazione a lasciarci alle spalle “l’Italia del rancore, della rabbia e della violenza” per le cose importanti: “Non essere tartassati di tasse, dare crescita a imprese e lavoro”. Non ha sentito il boato di “no” alla domanda “Prodi presidente?”.

C’erano i cartelli a testimoniare, tanti: “Berlusconi Presidente Subito”, “Tutti con Silvio contro l’oppressione fiscale, burocratica, giudiziaria”, “Basta Toghe rosse”, “I comunisti di Gulag e Foibe, i cattocomunisti come l’anticristo”. Perfino due cartelli più salaci, da satira politica del Settecento o Risorgimentale o quella del Porta e del Belli, perché anche la satira ha avuto fulgidi apici: “Bocassini occupati della giustizia non della politica” (qui il disegno conta anche di più con la PM ad ispezionare con lente d’ingrandimento i pantaloni di Berlusconi). E l’altro cartello affiancato: “A Berluscò...” (un grido di battaglia contro il dileggio da sempre risuonante di “Berlusca o Berluscones”. Di recente un elegante giornalista, Valentini di Repubblica, ospite da Lilli Gruber, pontificava: “Non scriverò più ‘grillini’ ma quelli del Movimento 5 Stelle perché se no è riduttivo”. Ora non descrivo il cartello del “A Berluscò” in cui la Bocassini è vendicativa perché amorosamente respinta dal Presidente, ma lo assimilo ad un altro con la scritta: “A Firenze la Martinella è tornata a suonare”. Era la campana che annunciava la guerra invitando ai preparativi e poi, issata sul Carroccio, diede il nome ad altre nei comuni medievali.  “A Berluscò”  suona la squilla.

A Roma, era la piazza di un Popolo che sa “ridere e sorridere” come ha detto Berlusconi, invitato su una coinvolgente musica meridionale a fare la mossa quasi da rock star di un cartoon.  Prima del suo arrivo su schermo gigante si era vista la madre, gran signora di modi e pur del tutto semplice, definirlo “bimbo eccezionale”. Non come una saputa vecchia insegnante che a proposito della seria laurea con lode (altra cosa che i tanti ignoranti eletti non perdonano a Berluscò) disse: “Quando la scuola prende delle cantonate”.

Nell’amarcord su schermo compariva il caro volto di Bruno Lauzi, liberale convinto, anche insignito del Premio cultura Dante Alighieri (una delle ultime esibizioni in musica da italiano vero che si diletta con voce e note come accadeva con le canzoni a ballo anche ad Anton Giulio Brignole Sale che ne scrisse alcune, una lunga tradizione dunque).

E ancora tanti cartelli, paesi, città, province: come  pellegrini medievali affluiti per un Giubileo. C’erano Trieste alabardata, Udine, Reggio Emilia e Piacenza, la Lega Nord Romagna che innalzava un ombrellino tempestato di lampeggianti strass verdi a dire “noi ci siamo, con voi”. C’era una giovane mamma di un paesino vicino a Lecce con i suoi bimbi in passeggino doppio e un mazzo di bandiere in mano. Sì, perché non sventolavano solo le bandiere del PDL (più azzurra quella dei napoletani di quella genovese), ma anche una di “Capitani Coraggiosi” (e sfilavano i cartelli pro Marò, contro la debolezza di Monti) e stendardi con lo stemma sabaudo perché con Berlusconi (e Ciampi) Vittorio Emanuele è rientrato in Italia. Come ha scritto un monarchico a queste pagine: “Berlusconi mantiene le promesse”. Anche il ritorno dei reali un atto contro l’Italia del rancore.

Nel pullman, uno dei tre da Genova, su cui viaggiavo, c’era un ragazzo, Daniele Di Cristina, occhi puliti. Viaggiava con la sua bella ragazza e con amici giovani. E’ del PDL, un dissidente nel porto della Compagnia Unica dove lavora. Diceva: “Andiamo a Roma per difendere ciò in cui crediamo”. Ricordava la sua insegnante che gli diceva: “Non importa che idea hai, ma la tua onestà nel sostenerla”. Quando gli ho detto dell’Atene del V secolo dove Efialte (che affiancava Pericle) “eliminava gli avversari con i processi politici” (infatti fu poi ucciso, l’azione scorretta se ne tira altre), e gli ho detto di Socrate, il giusto, che, in quella culla della democrazia con devianze, dovette bere la cicuta, Daniele ha risposto: “Ho chiamato Socrate il mio gatto perché da studente il filosofo era il mio mito”. Ricordate voi il “quaresimale” Franceschini che ci chiedeva: “Ma voi dareste i vostri figli da educare a Berlusconi?” Lo assimilava ad un corruttore, la colpa che s’imputò a Socrate.

Sul pullman la trascinante Enza Marangio, avvezza, per lunga consuetudine di donna che lavora, a dire pane al pane vino al vino. Diceva di Berlusconi: “Ha il cuore buono come il mio. So di persone che disinteressatamente ha aiutato in Genova”. Avvicinandoci a Roma, con il tempo dato per incerto, Enza, poetessa improvvisata, cantava: “Piove o c’è sole, non c’importano i tuoni perché noi siamo con Berlusconi”.

Oggi domenica delle Palme ho risentito il canto: “Ti ringrazio, o mio Signore, perché non ho più paura e con la mano nella mano degli amici miei cammino tra la gente della mia città”. A Roma ho trovato quella mia città di amici nel gioioso sbandieramento, nel corale “Fratelli d’Italia” pur se avrei preferito “Va’ Pensiero” perché troppe volte mi sono sentita oppressa e sola nell’Italia del rancore.

Un saluto agli amici del pullman. A Paolo Aimé (Consigliere IV Municipio, Media Val Bisagno con nonna che a Bobbio vendeva la più buona coppa della valle e autore in Municipio di due recenti interventi: uno sulle problematiche della sicurezza stradale in val Bisagno a seguito di diversi incidenti, l’altro sulle deiezioni canine sui marciapiedi, una brutta cosa che si vive anche sulla passeggiata di Nervi e, penso, un po’ dovunque). A Fabio Orengo che deplora l’attuale immobilismo del Municipio Medio Levante, a Lilli Lauro dell’opposizione in Comune, venuta con il figlio, e che non si è  addentrata nelle rogne comunali ma si è goduta la festa, a Roberto Dotta con la bandiera degli arancioni (i biasottiani). Biasotti in persona ci è venuto a salutare come pure il maresciallo Carleo. Tra i professori: sul pullman Maria Clotilde Giuliani, in piazza il professor Costa del Colombo di Sanremo, rappresentanti della nostra borghesia colta e illuminata, con tanta tradizione alle spalle.

                   Maria Luisa Bressani

BRESCIA 11 maggio

A Brescia, nella piazza del PDL per Silvio Berlusconi, c'ero: per difendere la sua libertà di perseguitato da  vent'anni dai processi, da quando scese in campo  per difendere la nostra libertà dalla gioiosa macchina da guerra della sinistra. Si vuole eliminarlo per via giudiziara  in quanto "il politico che si è interposto tra potere e comunisti".

Quando nella piazza con 15mila persone (avvertite e resisi disponibili in soli due giorni dalla condanna Mediaset) in molti si misero a saltellare al "salti chi comunista non è", Berlusconi ammonì: "Siamo al governo con i comunisti, sosterremo con lealtà il governo". In questa emergenza di lavoro e vite rinunciate da chi non ne può più, ora è di nuovo come con Efialte nella Grecia di Pericle, culla della democrazia: eliminava gli avversari politici con i processi giudiziari. E un cartello denunciava: "Bocassini Basta Balle. Basta Processi Infondati".

Un altro diceva: "Silvio non pensare ai processi, la tua vita è tutta di successi". Avrei voluto lo vedesse un compagno di liceo che invitai ad accompagnarmi a questa manifestazione per toccar con mano la piazza della "voglia di cambiar pagina contro l'Italia della rabbia, della violenza, dell'odio", come aveva detto Berlusconi a Roma, 23 marzo prima manifestazione della mia vita. Il compagno in quanto Dc mi aveva dato i contatti in Regione per il mio primo articolo sul Giornale (gennaio 1983) sull'equo canone. La moglie, sua compagna di partito, mi aveva allora redarguito: "Montanelli invita a votare Dc turandosi il naso e tu vuoi scrivere per quel Giornale da turarsi il naso?" Ora il compagno di liceo è passato al Pd, cosa che gli sembra naturale (dalla Dc al Pd, stessi valori?). Ad ogni elezione non manca d'ammaestrarci, noi compagni di liceo, per chi votare: "Vota Doria sindaco, vota il Pd". Mi ha risposto: "A Brescia, dal vecchio mal vissuto? Mai". In piazza qualcuno tra la gente ricordava che Berlusconi dà il pane a 54mila famiglie, perché il lavoro gli imprenditori lo creano, non come i politici, nuovi Santi che distribuiscono posti statali (a loro nulla costarono), per averne ritorno di voto. Un altro cartello diceva: "Qua qua qua, Annunziata vieni qua, al Paese delle Meraviglie", (la piazza del PDL, non quella dello scurrile Crozza).

La cronaca. Dall'arrivo a Brescia con il pullman dalla Provincia. Sull'altro da Genova c'erano: Enea Petretto, cui ho manifestato la stima per le sue lettere alla redazione, la signora Valle, i Biasizzo che avevano figli negli scout di Nervi-Quinto con i miei. All'uscita dal metrò, stazione Vittoria, vicina a piazza Duomo della manifestazione, un cronista con telecamera chiede alla signora Merlo di Chiavari, bandiera PDL in mano: "Vi hanno pagato?" Lei: "Sei matto?" "Da dove venite?" "Da Genova". "Non è rossa?" "Per far cambiare, siamo qui".

Da giornalista sono qui per registrare gli umori secondo l'insegnamento del primo caporedattore: "Non scrivere con 'i sederi di pietra' sulle sedie di redazione, andare di persona, ascoltare, vedere". Ricordo un bravo critico di cinema al Giorno che  raccontò come da giovane si recasse, a spese proprie, ad ogni Festival di cinema o a seguire grandi registi.

A Brescia, mangiai un panino alle tre del pomeriggio (all'arrivo dopo esser partiti alle 11) con una signora Mandelli, di Nervi, vedova, madre di cinque figli, di cui uno carabiniere. Eravamo in piazza della Loggia (contigua a quella del Duomo), dove sotto i portici una lapide ricorda la strage del 28 maggio 1974. Vi era in corso la contromanifestazione dei Centri sociali, Sel, Movimento Cinque Stelle. Lei andò a cercarsi un ombrellino anche se le avevo suggerito di aspettare il "miracolo del sole" di Berlusconi, che poi non ce l'ha fatto mancare. Avvicinata da un energumeno che disse: "Non ti vergogni?", rispose: "Vergognati tu, non ho paura". Quando passammo nella piazza della nostra manifestazione, due ragazzi dell'Eco di Bergamo la intervistarono su cosa pensasse del Processo Ruby. Rispose: "Che strano un processo con il colpevole dove manca la vittima che tale non si dichiara".

E che male c'è nella riforma della giustizia come l'ha detta Berlusconi? "Responsabilità civile dei magistrati (devono pagare di tasca se hanno rovinato una vita come ha chiesto il Referendum popolare disatteso ma il Popolo è sovrano), separazione delle carriere, parità tra Pm e Difesa, riforma  intercettazioni, ripristino vero segreto istruttorio".

E su Tortora? Le figlie, giornaliste una a La7, l'altra a Repubblica, soffrono con evidenza della sindrome di Stoccolma (fascinazione della vittima per il carnefice), ma Berlusconi lo ha chiamto in causa solo perché capofila più noto delle vittime distrutte da errori giudiziari, solo per far sue le parole che disse ai giudici: "Sono innocente e spero, dal profondo del cuore, anche voi siate innocenti".

Dopo le 19 sfolliamo dalla piazza, tutto il discorso di Berlusconi e la nostra concentrazione sono stati disturbati da grida e fischi  dei contro-manifestanti, esondati a fondo piazza. Nella via dritta al palco, prima dell'arrivo di Berlusconi, era già stata bruciata una bandiera del PDL. La risposta dei pidiellini è stata cantare Fratelli d'Italia (fischiato dagli altri), gridare "Silvio, Silvio" per sovrastare la caciara. Lui si fermava sorridendo: "Avete capito che per l'età ho bisogno di qualche pausa", però era commosso.

Sfollare significò passare davanti al cordone di polizia con i manifestanti che li superavano con le braccia tese a pugno e insultavano: "Ladri, Vergogna, Buffoni!" Qualcuno aveva maschere in volto, tanti i piercing e pitture. Molti giovanissimi.

Mi rinacque uno spirito da vecchia professoressa anche se non diedi mai meno di quattro perché umiliante. Mi dicevo: "Bisogna rimandarli a scuola per imparar rispetto". Ad alta voce ripetevo il mio voto per loro: "Quattro? No, due. No, zero. Anzi, zero assoluto", ora ne capivo il sigificato. Nel girare l'angolo dei rivoltosi (mi era stata data una bandiera da una compagna di viaggio), un ragazzo smilzo, ma atletico, e riccioluto, me la sfilò dall'asta e, con un salto due metri in là, ne fece brandelli. Alzai l'asticella per dargliela in testa come in piazza mi aveva detto d'aver fatto un'insegnante al lancio del calco del Duomo contro Berlusconi. In testa ad uno dei compagni di Tartaglia aveva sbattuto un ombrellino di quelli flessibili, da due euro. Un pidiellino sconosciuto mi fermò: "Andiamo. C'è rischio scatti il panico con fughe e gente calpestata". Pensai alla responsabilità del questore. Dissi: "Ignoranti e intolleranti!"

A Genova, al ritorno dopo mezzanotte,  ho  cercato il significato per "intollerante" sul grande Battaglia (Utet) seguendo il consiglio di Cesare Marchi d'Impariamo l'Italiano che consigliava di leggere il Dizionario. Ho trovato di Guido Piovene: "Un impulsivo, con qualche irriducibile fissazione, che non ha leggi e perciò s'opprime di regole; gretto, ristretto, finto, intollerante". E la dizione generale: "Chi non sa o non vuol esser contraddetto, chi non ammette in altri errori, chi è negato a longanimità, indulgenza, comprensione." Amara Italia!

                Maria Luisa Bressani                  

La pioggia di fuoco di Emilio e Maria Antonietta Biagini

Si sbaglia assai chi pensa di leggere La pioggia di fuoco di Emilio e Maria Antonietta Biagini (Edizioni Fede & Cultura) come anticipazione visionaria d’apocalisse prossima ventura. E’ libro politico, divertente ma angosciante sull’attualità, è storico, religioso, d’arte e letteratura che instilla voglia di apprezzare da sé i riferimenti, vedendo, leggendo.

Gli autori - coppia inedita nella scrittura, ma ben collaudata nella vita coniugale- rappresentano un XXV secolo dell’Apocalisse (non sappiamo quando sarà, se vicina o più lontana), che  però deriva come conseguenza dal nostro oggi.

Tra i protagonisti di questa società del futuro spicca Sunerazan. Ha simpatie per l’Oriente (si dice sia d’origine armena, con un padre d’ascendenza ebraica); ha studiato in Inghilterra ma ha selto di vivere a Gerusalemme, città della Pace. Anzi proprio lui ha avuto il Nobel della Pace, ed è arcivescovo di Westminster, Canterbury, cardinale e primate di un’Inghilterra, governata dalla maggioranza islamica (e ormai le religioni sono tutte alla pari). Lo incontriamo quando Papa Gregorio XXV lo chiama a rappresentare il Vaticano presso il parlamento dell’UE.

A Strasburgo ha sede centrale la BUBU (Banca Unitaria della Bontà Universale) che presta ai paesi poveri il “mund”, moneta mondiale. Kefa, amministratore unico della banca, professore dalla Sassopnia-Anhalt di luterana memoria, è uomo “sobrio”, con una “sterminata collezione di cappotti loden”. In questo scenario è appena stato estromesso Simon Brown primo ministro della Nuova Zelanda, terra orgogliosamente isolata nel mondo dipendente dalla BUBU. “SB” era chiamato con affetto questo abile imprenditore che ha dovuto soccombere alla pressione concentrica di alcune procure e ormai la comunicazione mediatica è asservita ai poteri forti. “SB” ha avuto il torto di difendere le classi medie tartassate, d’organizzare feste in villa, con giovani e qualche ragazza.

E qui bisogna capirsi: la società, pronta all’Apocalisse,  senza nucleare, povera d’energia, quindi con poco da mangiare e che non guadagnando moneta è tornata allo scambio in natura, ha tre “Kit” di pronto uso: uno per il “suicidio indolore” quando droghe e tranquillanti (molto diffusi) non bastano più al mal di vivere di un’esistenza imbestiata e senza Dio, uno per “l’eutanasia” (praticata per arrivare prima all’eredità), uno per la donna perché “l’utero è suo”e lo usi in libertà. Gli islamici, dominanti il mondo e che grazie a Sunerazan conquistano San Pietro cacciando il Papa, se trovano la propria donna con questo kit, l’ammazzano. Tutto però nasce a monte: dal divorzio che doveva por rimedio a pochi matrimoni compromessi, ma ha dilagato tanto che i giovani si sposano senza cautela di scelta, dall’aborto ormai “strage degli innocenti”, da una comprensione per pedofilia e pederastia fino ad  ammettere l’incesto. Erano crimini contro cui era stato il cammino di progresso e civiltà fino al 1900.

I danni e il castigo dell’Apocalisse sono stati profetizzati dalla veggente Maria Valtorta, non canonizzata per “pervicace rifiuto di un clero progressista” (vedi anche le difficoltà d’accettazione per il suo contemporaneo Padre Pio). A questo clero di professorini razionalisti è dedicata nel libro una frase: “I sacerdoti politicanti sono i nuovi sinedriti”.

Chi legge potrà farlo come fosse un divertimento con forti allusioni all’oggi, ma troverà anche la Storia con il ricordo che l’Habeas corpus (1679), fiore all’occhiello del diritto anglosassone, fu preceduto nel 1548 da una costituzione pontificia di Paolo III; troverà le differenze tra rivoluzione definita “mostro diabolico dell’anticristo” e le “insorgenze” in cui il popolo difende i propri diritti: come nel Seicento i cristiani perseguitati in Giappone, come le insorgenze in Vandea (regione francese), in Spagna, Italia e Tirolo contro la bestialità giacobina.

Un libro affascinate. Emilio Biagini, già ordinario di Geografia all’Università di Cagliari, parla cinque lingue (anche il nederlandese e l’afrikaans), ha vinto all’estero sei borse di studio (in USA la Fulbright), è autore di altri libri tutti interessanti. E per questo è stato ben affiancato dalla moglie, che ha esordito con L’albero secco, anche  appassionato ricordo di Monterosso e della tradizione ligure.

Non a caso, il libro sarà presentato, oltre ché da Rino Camilleri esperto della storia dei Santi, da Claudio Eva, che sa emozionare il pubblico quando, il 10 febbraio, parla della sua famiglia coinvolta nell’esodo dei giuliano-dalmati. Con orgoglio, riferendosi a quella fuga, misconosciuta per anni dalle autorità, ripete: “La nostra memoria siamo noi”. Deve aver dato fastidio (ai “sinistri” negazionisti delle foibe), pagando con la “barzelletta” della condanna all’Aquila dove, pur se scritta con altre parole, la sentenza dice che “i terremoti si devono prevedere”. Nel libro, da centellinare alcuni “mot d’esprit” su nostri magistrati di tal fatta.

Alla presentazione, venerdì 11 gennaio, all’Hotel Bristol ore 17.30, presiederà Massimiliano Lussana.

                           Maria Luisa Bressani

 

Le mie prime due manifestazioni di piazza: Roma 23 marzo, Brescia 11 maggio

      

1. INDICE  DIFESA DELLA LIBERTA'

Francesco d'Agostino all'UGCI, 26 novembre 1993 su "Verità (=Diritto) e Tolleranza": "La giustizia brilla come la stella del mattino..."

Tommaso Gazzolo-Remo Viazzi (prefazione Dino Cofrancesco)

     - Contro la Democrazia. La Costituzione degli Ateniesi - 2012

Dionisio di Francescantonio - Specchio Oscuro - Il Giornale 14 novembre 2010

Maria Clotilde Giuliani     - Dolce Amara Terra -

Stefano Lorenzetto          - Hic sunt Leones -

Giglio Reduzzi ancora in tema de Gli impresentabili del PDL da Il buio in fondo al tunnel (youcanprint Tricase di Lecce, novembre 2013)

Giglio Reduzzi              - Giustizia all'italiana - marzo 2011

   "       "             - La modernizzazione può attendere - febbraio 2012

Piero Vassallo            - Nero su Rosso -

Vittorio Feltri (e Stefano Lorenzetto) - Il Vittorioso - Il Giornale 19 dicembre 2010

Ancora Lucia Annuziata, il sampietrino, gli impresentabili del PDL, il suo odio contro Berlusconi.

   LA PICCINERIA UMANA (titolo che accomuna alcune osservazioni dalle seguenti tre recensioni

e - secondo me - da leggere in parallelo per la vicenda Berlusconi, includendo "La Politica" di Ballerini

che insegna "come bisognerebbe fare politica" ed è in stile Berlusconi):

I Cammeo : su Berlusconi scagli la prima pietra chi è senza peccato...

1)Gabriella Airaldi         - Storia della Liguria -

2)Stefano Verdino  - Genova Reazionaria. Una storia culturale

                             della Restaurazione -

3)Giovanni Ansaldo         - Gli anarchici della Belle Epoque - Il Giornale 12 matzo 2010

4) Proverbi Sprugolini   (La Spezia ) da me interpretati pro Berlusconi da libro "Senta Ànca ‘Sta Chì - Proverbi sprugolini"

di Salvatore Amedeo Zagone    Il Giornale 19 dicembre 2012

5) Alessandro Ballerini     - La Politica - da Canta il cuore - Canzoni popolari in dialetto e in lingua , marzo 2007

                         -Piacenza. A tocc e boccon - presentazione di Corrado Sforza Fogliani - marzo 2010

Pier Francesco Quaglieni - Mario Pannunzio: Da Longanesi al  "Mondo" -

Emilio e Maria Antonietta Biagini - La pioggia di fuoco -Il Giornale 9 gennaio 2013

M.L. Bressani            - Roma 23 Marzo -

Indro Montanelli  - Stanza sul Giornale: Battetevi sempre per ciò in cui credete. Il Giornale  19 febbraio 1996 - Stanza che dedico a Daniele Di Cristina

  "    "                 - Brescia 11 maggio -

 

 

Ripesco questa Stanza di Montanelli da carte sempre conservate e la dedico a Daniele di Cristina, il ragazzo dagli occhi puliti icontrato sul pullman da Genova a Roma. Montanelli dice quello che ha detto Daniele in quel viaggio. E ai tanti detrattori odierni di Berluscono faccio notare le parole di stima e affetto di Montanelli per lui al di là di ciò che i detrattori hanno in seguito voluto montare su un insanabile dissidio. Mi spiace che il mio foglio di Giornale sia privo di un angolo.

I Cammeo: Su Berlusconi scagli la prima pietra

chi è senza peccato

A Genova, in Provincia, il 26 novembre 1993 Francesco D'Agostino, ordinario di filosofia del diritto all'Università Torvergata di Roma e vicepresidente del consiglio centrale UGCI (Unione Giuristi Cattolici) parlò su "Verità e Tolleranza".

"La giustizia è la più bella delle virtù - esordì - brilla più della stella del mattino e della stella della sera" con una citazione da Arisotele, "un filosofo tecnico" (così lo definì) che non offre il piacere della lettura: scriveva per i suoi studenti e i suoi scritti erano appunti per le lezioni. Stupisce perciò di più questo suo "slancio lirico", ma la giusizia, che si fonda sul diritto, è via nuova per tentare il superamento dei limiti del giusnaturalismo (pensiero antico) e del giuspositivismo (pensiero moderno). "La giustizia impone il primato dell'altro, il superamento del proprio interesse per dare a ciascuno il suo" e questo tema D'Agostino l'ha svolto servendosi di una doppia formula sequenziale, che resta valida anche se si scambiano i termini estremi perché al centro sta sempre il diritto.

La sequenza più antica, il giusnaturalismo, si esprime nella formula "lex facit regem": la verità fonda il diritto che leggittima l'autorità. Tale paradigma antico è stato travolto dalla crisi del pensiero scolastico e dall'unità religiosa d'Europa con l'avvento del protestantesimo.

La nuova formula "rex facit legem" portò al patibolo il santo più affascinante dell'era moderna: Tomaso Moro che rifiutò la superemazia del re d'Inghilterra sulla Chiesa in quanto pretesa del potere di diventare fonte d'autorità.

Ma il primato moderno dell'autorità mostra la corda da quando ha rivelato il pericolo del potere carismatico: dal monarca assoluto alle dittarure del novecento, al popolo (o soggettività collettiva), depositario d'autorità e quindi fondatore di diritti (v. giacobinismo). D'altra parte riconoscere il primato d'autorità al soggetto individuale porta ad una strada incompatibile con il comandamento d'amore. Se si fa della propria coscienza un oracolo, si ama o no, se si smette damare non si sente obbligo verso chi si amava.

Non meno discutibile la tesi contrattualistica o convenzionalistica, in cui ci si accorda su chi deve avere lautorità. Ne consegue il carattere procedurale della democrazia (concordare le regole del gioco), modello non esente da problemi come "chi ha diritto a giocare? Cioè: chi ha diritto al voto? Tutti?" Si pensi al caso di nove votanti più un handicappato. Lo favoriranno per altruismo, ne disconosceranno i diritti? Quando cessa l'interesse individuale, perché mantenere l'impegno?

Solo se si riconosce il primato della giustizia, si riconoscono ad ogni uomo spettanze che non possono essergli tolte. Nel nostro tempo tormentato si afferma una stella polare: il riconoscimento dei diritti umani.

Con essi si realizza quell'unità e molteplicità dei diritti che un apologo del Talmud fa risalre a Dio-Verità. Dice il racconto: "ecco l'uomo che crea le monete da un unico stampo, tutte uguali, ma ecco il re dei re che crea gli uomini da un unico stampo: Adamo." "Nessun uomo però è uguale all'altro ed ognuno deve poter dire: il mondo è creato anche per me!"

 

   

 

Francesco D'Agostino all'UGCI su Verità e Tolleranza":

"La giustizia brilla più della stella del mattino...", 26 novembre 1993

Giglio Reduzzi sempre in tema di Impresentabili del PDL...

da Il buio in fondo al tunnel (Youcanprint - Tricase di Lecce)

Reduzzi con cui nel recensire molti dei suoi libri (troverete l'Epopea dei Caravana alla pagina Storia e Le domande impossibli alla pagina Religione) ho provato identità di visione politica riporto ora uno stralcio dalle sue ultime riflessioni politiche (infatti nel periodo in cui dal giugno 2013 mi sono pensionata decidendo di non scrivere più è riuscito a mandarmi - per stima - altre due sue pubblicazioni). Sottolineo che le due recensioni successive non hanno trovato spazio sul Giornale epperò ritengo che tra i testi del Reduzzi Giustizia all'italiana e La missione impossibile di Monti siano tra i migliori ma anche tra i più pungenti ed è questa una ragione per cui talvolta il testo non viene pubblicato.

Cina, Via della Seta:

i figli del fornaio

Stanza di Montanelli Il Giornale 19 febbraio 1996

che dedico a Daniele Di Cristina

Quando impareremo ad isolare l’Annunziata che nel ’77, ragazzotta di 27 anni, tirò un sampietrino contro “l’odiato” Luciano Lama?

Da allora quanti i suoi odi e tuttora, in primis, Berlusconi! Per imparare ad isolare gli estremisti ricordo un preside di un liceo di Chiavari che per due anni salutò, fingendo di scambiarla da donna delle pulizie, un’insegnante di greco, sindacalista della CGIL, mestatrice di anime giovani, poi passata al Liceo D'Oria dove continuava a far politica in classe e voleva bocciare un ragazzo perché "fascista". Non a caso quando nella redazione di un giornale, forse L'Espresso, non ricordo bene (e da Internet ora pare che tutto ciò sia scomparso), una rossa signora  della penna Rossana Rossanda  l'aveva vista accarezzae il sampietrino in borsa cerccando di esibirlo all'atenzione degli altri, e con orgoglio, le disse con rimprovero: "Rimettilo via!"

Oggi, 3 febbraio 2014, dopo la bagarre in aula dei grillini ho sentito un professore di Micromega ad Agorà dichiarare che Grillo è fascista dato che un suo fratello apparteneva al Fuan e quindi il brodo di cultura è quello. E allora cosa c'entrano i No Tav ben presenti tra i grillini, anche loro i No Tav accarezzati dall'Annuziata ? Perché non si ricordano mai la rivoluzione d'ottobre russa e gli omicidi infiniti del Comunismo e da noi se qualcosa sembra non girare per il verso giusto s'invoca sempre il fascimo? Non è ora di finirla e di pensare modenamente al passo con i tempi e di relegare nel passato ciò che è passato e di guardare al futuro convinti che il cammino della Storia abbia una provvedenzialità e che la Storia mostri con le sue migrazioni quanto siano insopportabili certi regimi e come la gente fugga sempre verso la libertà: del vivere ma anche delle idee.

Come quel preside o come la signora rossa della penna impariamo ad isolare gli estremisti senza carità del cuore! E senza inteligenza che non sia faziosità.

Entrando in una stanza se incontrassi Anunziata,  da comune cittadina, più che chiederle onor d'intervista o di conversazione con lei, le darei il cappotto da appendere perché a me sembra una zotica anche dell'informazione.

Ancora Lucia Annunziata, il sampietrino, gli impresentabili del PDL

e il suo odio per Berlusconi

Adesso cosa significa Politica secondo un pidiellino che è stato anche assessore in Piacenza e poi la recensione che riguarda uno dei tanti suoi libri di ricerca storica sul territorio piacentino e infine due foto: Berlusconi e Ballerini, un gruppo di ragazzi bobbiesi dove è attestata anche l'amicizia fin da giovani con il regista Marco Bellocchio (nella foto il secondo in piedi da destra) : questo perché Ballerini come tanti esponenti del PDL è di animo liberale.

L'ultimo libro di Ballerini è Mosaico Popolare (Edizioni LIR) uscito a fine primavera scorsa.

 

Senta Ànca ‘Sta Chì - Proverbi sprugolini di Salvatore Amedeo Zagone festeggia il Decennale del Circolo La Sprugola. In ideale continuazione con la precedente raccolta dell’autore A Speza la se disa, consta di tre parti: Proverbi e filosofemi spezzini, Effemeridi proverbiali, Toponimi e nomi geografici.Proprio quest’ultima, di sole dieci pagine, appare un atto di devozione filiale verso la città nel darci l’origine toponomastica di località dei dintorni e di tanti quartieri spezzini. Tra questi: Marcantone, località del quartiere di Migliarina, apprezzabile in una foto d’epoca quando non vi arrivava la tramvia elettrica (tutte inusuali e splendide le foto nel testo!), quindi Canpigia (Campiglia, in zona panoramica), Gàgiola in collina e ancora Sprügoa, per Sprugola, che indica una sorgiva sotterranea. Anche chi non è nato a La Spezia capisce così cosa significa il nome del Circolo ed è interessante notare come la sorgiva citata sia all’incrocio delle vie Colombo, Rosselli, Amendola, che evocano in modo “profetico” il modo di far cultura del Circolo, a tutto campo ma con salde radici nella tradizione.Nella “Prolusione” Zagone con un excursus storico ci ridà la prima menzione di Spezia (scritta ancora senza articolo) quando il 24 marzo 1273 fu data alle fiamme dal capitano genovese Oberto D’Oria. Ricorda la successiva del 1276 quando il Comune di Genova acquista la città da Nicolao Fiesco. Rievoca, tra i momenti salienti per la comunità, la festa patronale di San Giuseppe che dura da 357 anni e come la città sia passata dagli 11.556 abitanti di fine Ottocento ai 100.000 d’inizio Novecento con l’apporto linguistico di un’alluvione d’immigrati e “foresti”.La seconda parte del libro, Effemeridi proverbiali, ci serve più del “meteo sul Tg” che a volte ci fa chiedere perché l’annunciatore non abbia guardato dalla finestra. Spazia dai detti antichi “Frevao, frevaeto, cürto e maledeto” (ogni proverbio è sempre accompagnato dalla traduzione italiana) alle olive che se germogliano di marzo fanno credere d’averne a bizzeffe mentre se ne avrà “en scandagio”, mezzo barile, ma se spuntano ad aprile ce ne daranno uno intero. Avvertimento simile per il vino se il maggio sarà asciutto o bagnato.Per trovare una sapienza di costume, non solo metereologica o stagionale, bisogna gustare la prima parte: ben 52 pagine di motti, ascoltati e tramandati da due donne di famiglia dell’autore, la bisnonna Elisa Colombo Melada e la nonna Ida Melada Vanni. Tra i proverbi sapienziali ecco il “Pan e noze mangiae da spose; noze e pan mangiae da vilan” che ci ammonisce al non abbuffarsi o “Er porco i da der Pòrco ai àotri perché i l’è lü”. L’autore non dice, ma un proverbio come questo calza al nostro tempo di acceso antiberlusconismo e ci fa venire in mente il D’Avanzo di Repubblica, la Concitina sussiegosa dell’Unità, la Trimurti dei triumviri Santoro-Di Pietro-Travaglio. Per restare in politica il motto “A fae polìtega i te prego come ‘n santo anca se ne te l’èi”, tra i “Santi” elargitori di posti di lavoro ci ricorda il Taviani della vecchia Dc, ma anche Fioroni per la scuola e per i precari della sanità il Burlando preeletterale.E cosa più moderno di “Legno de pünta e dòna de ciato (donna piallata) i han ciü forsa che tüto ‘n Stato (di tutto uno Stato)”? Un elogio a Julia Robert o a filiformi politiche d’oggi, Carfagna, Gelmini, così diverse dalle maggiorate?A concludere, (ma il lettore si goda pagina dopo pagina!), cosa cucinare per le Feste? “Er menestron ‘na vota o rè de tòa (della tavola)”, altroché cibi esotici!Senta Ànca ‘Sta Chì, edito Circolo La Sprugola, via Amendola 172, 19121 La Spezia (info@circololasprugola.it).

                                                                                                       Maria Luisa Bressani

Proverbi sprugolini (La Spezia) interpretati da me anche pro Berlusconi Il Giornale  19 dicembre 2010

 

      
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