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Anni fa, quando ero giovane, venne di moda un'espressione orribile  (per la lingua italiana) "il sociale" che mi risultava poco comprensibile. Ora l'interpreto così: al "sociale" si deve dare più attenzione perché una ferita della vita ha reso qualcuno più fragile per una malattia invalidante o a termine, per la ricerca di un lavoro che non c'è (e diventa fondamentale come proporsi, vedi il libro di Roberto Rasia di cui segue la  recensione, l'ottava), perché si trova con poco aiuto dalla società come nel caso di un padre separato o di un carcerato. Il "sociale" sono gruppi che quotidianamente interagiscono in un piccolo spazio come in un autobus o in uno spazio più grande come le città. Il "sociale" diventa perciò anche   ambiente da migliorare se non vogliamo che figli nipoti bisnipoti stiano sempre peggio. Il "sociale" può essere il disagio di un'adolescente che si sente brutta ma trova la sua utilità a contatto con sofferenze più grandi della sua in un'altra parte del mondo (v. La luce dell'Elleboro), possono essere paure e sogni di un bimbo che cresce nello splendido paesaggio della Liguria (v. Jack e i tubi).

 

La prima recensione riguarda una malattia molto diffusa, il cancro, i problemi suscitati da famigliari che talvolta nelle malattie gravi di un proprio caro si defilano per vigliaccheria, i problemi dell'assistenza quando dipenda dalle badanti spesso con più problemi  psicologici di chi sta male, infine la speranza di cure alternative che possano sconfiggere l'appuntamento finale.

Subito dopo inserisco quanto fa la LILT per aiutare le donne malate...

Yuri dalle scarpe blu di Elvira Magro

Yuri e il mistero dalle scarpe blu (Book Salad Edizioni) di Elvira Magro è libro autobiografico sulla battaglia per fermare un tumore cerebrale: non sarà guarigione, ma è la non-espansione e il ritorno ad una vita normale. Cosa sarebbe successo se la protagonista avesse scelto l’intervento chirugico? Guarigione totale o paralisi totale?

Lei non si è arresa, ha cercato vie alternative alla medicina ufficiale (in due anni 23 cicli di chemioterapia). Ha cercato risposte in sé, nelle ferite dell’io profondo, forse alla base della malattia. Come osserva il professor Veronesi la prima domanda, sbagliata, di molti pazienti è “Perché proprio a me?”, mentre dovrebbero interrogarsi sul “come”.

L’aspetto, affascinante e dolente del libro che ci interessa tutti, sani e malati, è nelle parole a conclusione di questo viaggio nella malattia: “Il miglioramento c’è, ma è stato lacrime e sangue versati nei mesi contro gli assalti veri e potenziali del male e tutte le sue conseguenze di vita, più o meno sola, aggrappata ad una fune interna a rintuzzare gli oblii del resto del mondo impegnato chissà dove, sulle sue strade, non con te. Lacrime e sangue, niente di regalato”.

Il racconto è così intenso, turba così profondamente, per la lucida analisi di ciò che è riservato al malato, incluso, in una fase di semi-paresi, il parcheggio in un reparto lungodegenti, prima di entrare in un ospedale oncologico. Vi conosce, con umiliazione femminile, la superficialità di un medico che le apostrofa: “Come stanno le mie gallinelle?”

E’ la storia di una lunga convivenza e riabilitazione con badanti distratte, pigre, interessate a problemi sindacali sul numero delle levate notturne. E’ la storia di “pannoloni”, imposti senza necessità (come succede nelle case di riposo per evitare risvegli impropri alle infermiere di notte), tanto che la conquista di tornare in autonomia nel bagno della propria casa le fa definire il gabinetto una “postazione regale”.

Molte pagine sono dedicate alle badanti straniere,  indispensabili nel nostro welfare familistico, che a qualche orientale fa dire: “Come potete voi occidentali affidare ciò che è più prezioso, gli anziani e i bimbi, a mani terze?”

Non a caso la protagonista, insegnante di lingua tedesca, ci indica un libro di G.B. Sgritta, Badanti ed anziani in un welfare senza futuro. Non a caso, sintetizza “cosa sia una relazione di cura e perché spesso manchi nel rapporto, datore di lavoro/badante. E definisce così i tre diritti del malato: “Non soffrire, dignità nella sofferenza, non essere cavie”.

Attingendo alle familiarità con la lingua tedesca, che insegnava, trova un rifugio con risposte (pur continuando con le cure della medicina ufficiale cosa da fare sempre) nella controversa “Nuova Medicina Germanica” del dottor Hamer. Con coraggio esplora altre vie di cura e sostegno, come quelle testimoniate dalle autoguarigioni, dalle meditazioni energetiche, da zen e  “filosofia perenne”. Pur permeata di scetticismo razionale, rafforza il suo scudo di difesa.

La protagonista è aiutata da un fratello con cui ha stabilito un forte rapporto durante l’assistenza ad un’altra malata di cancro, la loro mamma. E’ aiutata dal fidanzato Riccardo che sa affiancarla; uomo coraggioso perché dati statistici denunciano come almeno una metà di  mariti e compagni, di fronte alla malattia conclamata della  propria donna, vigliaccamente si defilino.

Questo condensato d’umanità ci affascina con la riscoperta della potenza salvifica della scrittura (oltre che a pratiche  coltivate in progetti per aiutare la donna offesa dal cancro come arterapia, musica, ecc.). Elvira Magro ha scritto come controffensiva al male, senza intento didattico-pedagogico.  Uno dei suoi due prefatori, Domenico Devoti, psicoanalista e psicoterapeuta (l’altro prefatore, altrettanto bravo, è Giorgio Bert, studioso di medicina narrativa) osserva: “La storia di un malato di cancro è la storia di un martirio, per altro non scelto. Una lotta impari come in certe visioni di antichi martiri che prima di essere condotti al supplizio si vedevano in lotta con il demonio”. Parole che ci riportano al libro di 600 pagine, del ricercatore di medicina angloindiano  Siddhartha Mukherjiee, vincitore del Pulitzer 2011: L’imperatore del male, una biografia del cancro (edito Neri Pozza), che narra la battaglia umana lunga 5000 anni per controllare, sconfiggere e comprendere la malattia. Quasi un’enciclopedia sugli aspetti del male, con andamento di thrilling. Ad un giallo fa pensare anche il titolo Yuri e il mistero delle scarpe blu. Al lettore la scoperta del perché “Yuri”, a due terzi della lettura e su conio di una badante.

                              Maria Luisa Bressani

 

 

 

Il mondo di Rosanna Benzi di Saverio Paffumi

“Buffa quella gente per cui, se la domenica non ci si mette in coda per andare a Recco in macchina, non è neanche domenica”, è il pensiero di una ragazza che sta per andare in gita su una carrozzella con “testuggine”:  la protezione a batterie che la farà respirare fuori dal polmone d’acciaio. Arriva a Portofino. “Décollétes su petti di cartapecora, rossetti spalmati come s’imburra il pane... ma non dimentico alcuni mostri umani che mi piantarono gli occhi addosso come fossi Godzilla”, dice quella ragazza. E annota di bambini che chiedono alla mamma perché lei sia nella “testuggine” e cui le madri replicano “taci” chiendo di scusarli perché sono piccoli: “Io scuso loro che sono grandi...”  Ecco Rosanna Benzi – straordinaria – perché non rifiuta il vero ma la pietà. Costretta all’immobilità, ci dice che in gita non sarebbe andata tanto per uscire ma solo per una meta bella  come vedere i Balletti ai Parchi di Nervi: “Musica sotto le stelle, ballo sull’erba, profumo delle cortecce preziose”.

Sulla pietà concessa agli handicappati si esprime così: “Elargita a piene mani come a cuccioli randagi, brutti, spelacchiati e soli che più fanno pena. Ditemi, dobbiamo accontentarci di questo?”

E’ una delle ragioni per  riscoprire Il mondo di Rosanna Benzi in cui Saverio Paffumi a vent’anni dal 1991 -la morte, dopo quasi trenta nel polmone d’acciaio- la ricorda, riproponendo Il vizio di vivere (1984) e Girontondo in una stanza (1987), i due libri nati dalla loro collaborazione.

La prefazione alla prima edizione è di Luigi Santucci di cui segnalo  Poesie alla Madre in cui raccolse i versi che, in Italia e nel mondo, poeti noti dedicarono alla mamma. Cito quel libro di sentimento per la maternità allargata che Rosanna diede ai tanti, ai bambini come ai più grandi.

Santucci nella prefazione  dice del giornalismo che gli vien da pensare “non serva più a niente e sia meglio appendere la cetra al proverbiale fico”. Ma subito si contraddice: “Almeno grazie a te, Rosanna, quell’abiura non la farò mai. Finché tu vorrai e potrai leggermi...e (io potrò) scrivere di te, di questa vostra corte dei miracoli, in barba a tutto il resto”.

La paragona a Santa Marta che doma il drago (il polmone d’acciaio) e con vista lunga di chi ti legge dentro   individua in lei una guerriera. Aspetto che fa risaltare anche la professionalità di Paffumi, giornalista di lungo corso, che ha lavorato all’Europeo, a Tuttoturismo, Il Secolo XIX, il Gambero Rosso; ha diretto RistorArte e fondato con altri la cooperativa editoriale “FreeMedia” di Milano. Nell’introduzione confida che temeva di dover scrivere un libro intriso di lacrime, invece ci ha restituito l’avventura di una donna innamorata della vita.

Ce la presenta ragazzina quando a 14 anni prende la polio e poco prima ha voluto far vaccinare (erano i primi vaccini in Italia) il fratellino di due anni. Quando è ricoverata al San Martino di Genova dove sarà messa nel polmone d’acciaio, alla prima visita del primario con il codazzo dei suoi studentelli in medicina, Rosanna dice: “Fui spogliata da capo a piedi. E’ strano che non pensassero al mio imbarazzo”. Un trauma per chi ha provato quest’esperienza, per ragazze del tempo allevate al pudore (profumo di donna, il più autentico). Ma anche da qui quella voglia di reagire che la porterà a fondare Gli Altri (1974), rivista che ha contribuito ad affermare i diritti degli handicappati. Vi affrontò problemi etici nodali. L’aborto terapeutico: Rosanna non scusa una madre che ha messo al mondo tre figli destinati al polmone d’acciaio, di cui il terzo muore a 15 anni dopo aver visto la sofferenza dei fratelli. L’eutanasia: Elisabeth, americana, chiede le sia staccata la spina, ma Rosanna, invitata al dibattito, osserva che nulla le accomuna. Lei vuole vivere.

Pertinente la domanda di un bimbo: “Se tu fossi stata sempre bene avresti fatto tutte queste cose?”. E il professor Henriquet quando lei rischiò di morire perché mancò la luce facendo arrestare  il polmone d’acciaio: “Se riesci a vincere tu, vinciamo tutti”. Sul nucleare lei dirà: “Istintivamente sono contro, però se un giorno mancasse l’energia sarebbero guai e il mio polmone non riparte accendendo una candela”.

Il secondo libro contiene testimonianze di persone note che la conobbero. Dario Fo la vede “in piedi o seduta (non nel polmone) perché lei si proietta fuori da sé e dai suoi problemi”. “La sua sfida ci chiede di non concedere sconti - osserva Nazareno Fabretti-, né a noi stessi né agli altri quanto a lotta per la qualità della vita di tutti”. Le tante lettere per lei sono una  risposta corale, con le storie di chi da lei attinse forza per vivere. In questo nuovo libro non manca il punto di vista di Giovanna Romanato da cinquant’anni  a Genova,  nel polmone d’acciaio.

Vorrei chiudere con versi di Rosanna quasi sigla della Genova di vento e mare: “Non so dove i gabbiani abbiano il nido/ ove trovino pace./ Io sono come loro,/ in perpetuo volo...”

                        Maria Luisa Bressani

 

 

 

 

 

Ricette di Casa Famiglia di Luciana Morello Lagostena e Cristina Dotto

“Signore invece di vedermi pedalare su una bicicletta, hai preferito donarmi una sedia a rotelle... Quando vado in giro mi sento osservata magari da uno stupido che non sa dirmi poveretta... Non è la pietà altrui che mi facilita il cammino ma un semplice sorriso”. Intensi versi di “Vorrei un sorriso” di Susy una ragazza di Casa Famiglia a Manin.

La Casa, inaugurata nel 1988, è stata il primo esperimento in città per offrire a persone con handicap di vivere la vita come solo si può in una propria abitazione. E’ in affitto e si regge sul contributo dei residenti, la convenzione con il Comune, il sostegno di privati. Per contribuire al mantenimento è nata l’idea di un libro  Ricette di ricordi – Ricordi di Ricette – Piccoli accorgimenti – Piccole ma grandi poesie, scritto da Luciana Morello Lagostena e Cristina Dotto, con copertine acquarellate da Rosita Cavagnaro e con sponsor Andrea Gattorno.

Paola, prima residente della Casa, affetta da sclerosi a placche e appassionata di musica classica e teatro, ha scritto un libro di poesie  di cui alcune sono riportate in questo delle ricette. Con un’immagine solare “nel pugno ho chiuso dell’oro” in “Vittoria la mimosa” ci racconta come è riuscita a prenderne fiori, in altri versi la stanchezza: “sono stanca/ e sogno la morte/ Ma non so quand’ella verrà a prendermi/ così io devo vivere”, e ancora: “la vita è un sogno/ per chi riesce a dormire”.

La singolarità del testo risalta fin dalla prima ricetta “Gamberoni in pastella”, quando Luciana Morello Lagostena,  volontaria ad 82 anni nel turno del sabato pomeriggio, ci dice che per friggere usa l’olio Cuore e aggiunge: “io uso il Cuore in tutti i sensi perché anche per cucinare ci vuole tanto amore e quando un piatto è fatto con amore si sente, non solo l’amore si trasmette con il cibo e crea armonia tra le persone”. Non a caso nel titolo della ricetta “Come li facevo per Nino” ci ricorda suo marito che non è più. Sul prepararli, dice: “Scongelavo i gamberoni  e li sgusciavo per bene e li mettevo nel frigo, nell’attesa di cuocerli perché devono essere belli freddi”. Una saggezza antica, un ritmo lento che fa riassaporare il cucinare come arte, lo stare a tavola insieme come legame indissolubile, non l’ingurgitare di corsa dei nostri giorni, appiattito sul fast food.

Ogni ricetta è personalizzata dalla dedica ad una persona e Luciana ci parla della sua famiglia, dei suoi nipoti. Come  degli ospiti della Casa? A Mapi (Maria Pia), un tesoro biondo, la laureata di Casa Famiglia (una tesi in Storia Medievale ed un’altra prossima laurea in Filosofia),  dedica il “Minestrone alla genovese”. Il nesso è la pazienza che nel minestrone serve ad affettare le verdure ed è dote di Mapi: “non ho visto mai una persona con tanta pazienza e disponibilità verso gli altri, con così tanta voglia di vivere e di mangiare con gusto e con gratitudine”. In un’altra iniziativa di sostegno, il Calendario natalizio del Centro Riabilitativo di Prà, Mapi (affetta da tetraparesi spastica distonica) è “luglio” e ci sorride da un cavallo mentre Marco, ospite saltuario della Casa, è “marzo” e guida un’auto sportiva da corsa.

Tra le ricette, per Fabio, altro residente della Casa, definito un adorabile rompiscatole, c’è la “Quiche di cipolle e speck”; le “Patate alla Floriano” sono per un ospite deceduto, indimenticabile perché “aveva un cervello che correva millle volte più delle gambe, un cuore grande come un gigante”. Una ricetta è dedicata a Paolo, l’unico uomo del turno del sabato, “beato fra le donne” (le compagne sono tutte più che ottantenni). Tra le ricette due curiosità: una “di canestrelli” è dedicata alla donna delle noccioline che è a Staglieno riportandone i versi in genovese, l’altra sullo stufato è per “i politici che ci hanno stufato”.

Cristina Dotto, coautrice del libro, ci dà ricette anche per marmellate e cocktail, non per gli antipasti, a casa sua un tempo sconosciuti. In compenso Cristina ci racconta della nonna Iole che aveva una tripperia, di amici o volontari, anche di altre terre, per cui il libro diventa cosmopolita, con uno sguardo su mondi lontani. Ci commuove quando ripensa alla mamma, quando dice del dottor Palestrini, l’unico uomo che leggendo ha pianto. Ci indica un sito www.lightworker.it per farci sapere di “operatori di luce” nel mondo.

Mi piace ancora ricordare le Frittelle di mele come le faceva la mamma di Cristina, ricetta dedicata alla Esa, “un angelo di Casa Famiglia che ci guarda da lassù”. E riportare, quasi fosse “logo” della straordinaria “Umana Rappresentazione”, un verso di Esa per la nostra terra: “Come amo quest’unghia mal tagliata che si chiama Liguria”

                    Maria Luisa Bressani

 

Conduci la tua vita di Roberto Rasia del Polo

Per far capire l’utilità di Conduci la tua vita! – diario di un conduttore di Roberto Rasia dal Polo (Edito 12punt6.it;    www.ConduciLaTuaVita.it; www.RobertoRasia.it ), tra i tanti aneddoti che rendono lieve la lettura ne basta uno di  trattativa aziendale. Di grande attualità, a seguirne il metodo in altri Gruppi si sarebbero evitate barricate sindacali e sconforto di dirigenti. L’aneddoto: Un’azienda, grazie ad un partner, sta per introdurre nella fabbrica toscana una nuova teconologia di  software con un risparmio di 2milioni di euro l’anno sulla produzione della stessa quantità di prodotto. Fatto fondamentale in un bilancio che l’anno successivo prevedeva “un tutti a casa”. L’azienda può così anche diminuire l’organico di sei unità, risparmiando  sul loro costo di 350mila euro l’anno.

La notizia sfugge all’amministrazione prima di esser comunicata in assemblea, ma nel trambusto che si annuncia, su consiglio di Rasia, dopo l’annuncio del risparmio aziendale è fornita tale precisazione: “L’innovazione permette di ricollocare 6 risorse umane andando incontro alle loro esigenze, già espresse in passato”. Tutti si trovano d’accordo, senza barricate sindacali scatenate in caso contrario sul presupposto che “l’azienda abbia più a cuore il risparmio che la vita di sei famiglie”. L’aneddoto - storia vera - serve a far capire la differenza tra sostanza e forma, che si può anche definire con un “non conta tanto ciò che si dice ma il come lo si dice”.

Ciò è confermato da una statistica: la comunicazione si divide in: “Verbale” (7% - pochissimo quindi in relazione al contenuto che il divulgatore ritiene il 100%, ma l’interlocutore percepisce al 10%); “Para-Verbale” (38% - consiste in tono, volume, ritmo, colore della voce che impattano chi ascolta in modo sorprendente); “Non Verbale” (55% - dovuto al linguaggio del corpo, dal sorriso al modo di presentarsi). A questo punto rinunceresti a parlare per persuadere o convincere, però Rasia ci rassicura: “Comunicatori non si nasce, si può diventare”.

L’autore, prima -e giovanissimo!- attore teatrale diplomato a Genova,  poi conduttore/formatore con presentazione in soli 15 anni di 400 eventi d’importanti aziende, tra cui Porsche, Microsoft, Adobe..., dal 2002 giornalista dopo aver condotto 12 format Tv su Sky, ci insegna: “Vivere è come condurre un evento dal vivo o un format radio-televisivo. Bisogna saper gestire il corpo nello spazio, respirare in maniera corretta, parlare incisivamente e ottenere lo scopo prefissato”.

Proprio in questo senso il libro serve davvero: per una preparazione davanti ad un pubblico come davanti ad un interlocutore cui teniamo: i figli o un datore di lavore. Ci aiuta a capire il perché di un insuccesso, a scoprire l’errore pur se questo è per l’autore grande fonte d’insegnamento come pure c’insegna almeno una cosa ciascuno che abbiamo davanti. Di qui l’importanza fondamentale dell’ascolto: nulla inorgoglisce di più il nostro interlocutore che dimostrargli un’attenzione partecipata. Altra regola base: l’osservare. Non a caso Lalla Romano, capace di dettagli che sono il pregio della scrittura al femminile, fin da bambina era chiamata “osservatora” per questa sua capacità e il linguaggio è fondamentale al comunicare. L’autore cita pure la “capacità di sintesi della poesia”. A parlare, ma ancor più a scrivere bisogna saper essere semplici, non logorroici, capaci d’utilizzare ogni sfumatura della nostra straordinaria lingua. Anzi, per comunicare, Rasia ha messo a punto il metodo delle “7 S”, tra cui Semplicità, Sintesi, Sorriso..., ma ci fornisce anche facili esercizi: come usare la respirazione diaframmatica per raggiungere la miglior tonalità di voce; rileggere, per le pause e l’espressione, fin 30 volte una poesia da recitare. Un’ampia parte del libro riguarda le nuove tecnologie comunicative dalla chiave d’accesso http:// al mondo di Internet, all’utilizzo dei social network Facebook, Twitter e molti altri, inclusa l’enciclopedia Wikipedia con 60milioni di accessi al giorno. Tra i termini, da imparare per non sentirsi animali preistorici: “resilienza” (capacità di resistere allo stress), “roi” (return on investiment)...

Quando poi, all’ultima pagina,  scopriamo che “con l’acquisto abbiamo contribuito al progetto Ancora Donna della LILT, Lega per la Lotta contro i Tumori”, il libro ci appare ancor più utile. Ma com’è nato questo slancio solidale dell’autore? Forse dalla sua amicizia con Andrea Puppo, giovane presidente della sezione genovese LILT, ginecologo all’Ist (Istituto Tumori), anche ottimo pianista  con cui Rasia, anni addietro, ha compiuto una tournée di musiche e recital di poesie (si suppone per una benefica raccolta fondi).

Sempre in tema di attenzione alla donna in questo libro dove appaiono trascinanti le parole “onestà personale, etica della comunicazione, valore del lavoro”, una frase appare d’omaggio  ad ognuna: “noi uomini privati della grande gioia della gravidanza, simbolo della creazione della vita, senza il lavoro siamo persi e completamente inutili”.

 

                            Maria Luisa Bressani

 

 

 

Il delirio e la speranza - Storie di Padri separati a cura di Miriam Pastorino

Un libro coraggioso Il delirio e la speranza – storie di padri separati (Erga edizioni) uscito a ridosso delle festività natalizie e da proporre come dono utile. Su questo tema, molto attuale in Liguria per l’incremento delle separazioni, il libro raccoglie undici racconti di sei autori: storie così verosimili da poterci insegnare.

Tra le cose sui cui mette il focus è la legge 54 del 2006 sull’affido condiviso, che dà a padre e madre gli stessi diritti, ma con l’amara constatazione dei pochi o nulli cambiamenti apportati dalla legge: i giudici sono gli stessi con la loro indifferenza e incapacità di comprensione...

E il lettore viene però informato su quali siano le Associazioni che si adoperano contro questa giustizia carente: “Papà separati Liguria” (nata nel 2008 a Savona), che ha originato “AMALi” per un auto-mutuo-aiuto ed ha contribuito alla fondazione di “Colibrì”, coordinamento di Associazioni nazionali ed europee che condividono i temi dei diritti fondamentali dell’infanzia e della genitorialità post separativa; “Mater Matuta” (nata a Genova nel 1990) che ha dato vita a numerose inziziative; “Voltar Pagina”, nata nel 2002 ad opera di docenti e pubblici funzionari per ribellarsi allo svilimento della funzione educativa nella scuola.

I racconti esplorano ciascuno un aspetto del difficile rapporto tra genitori separati, le famiglie di provenienza, i figli spettatori di un dramma che li coinvolge.

La curatrice del libro, Miriam Pastorino, presidente dell’Associazione “Voltar Pagina” ha scelto per l’immagine di copertina un volto pensoso di bimbo, più efficace di tante parole. Nel suo racconto “Qualcuno fermi questa giostra”, dedicato ad un padre catapultato nel turbine di una separazione conflittuale, pubblica la lettera che la figlia Gaia, ormai alle superiori, gli ha inviato. La ragazzina invita papà a non venire più a vederla all’uscita da scuola perché i compagni, scambiandolo per un maniaco, lo hanno soprannominato “il sozzone delle tredici” e vorrebbero avvertire le forze dell’ordine.

In uno dei tre brevi racconti di Lucina Bovio c’è una frase che potrebbe essere premessa al libro quasi una dolente sigla: “Ci si sposa da adulti, ma si divorzia senza esserlo”.

Né manca, in un racconto di Rosa Elisa Giangoia, il diario di una nonna che registra le sempre più rare occasioni in cui può vedere il nipote ormai di otto anni. Ad un padre infedele è dedicata la storia a firma di Marta Saccomanno Montolivo.

Vengono descritte con realismo famiglie d’origine che s’intromettono nel rapporto coniugale minandolo ancor più. Poiché si tratta di un libro dedicato ai padri, se lui appare ingenuo e troppo succube dell’iniziale attrazione fisica, lei appare avida di casa e soldi del marito, incapace di occuparsi della casa, poco amorevole con i figli, pronta a tornare da mammà per farsi aiutare. Un’impietosa radiografia di ragazze d’oggi, capaci di vestire alla moda, maestre di seduzione, incapaci di affiancare il loro uomo, di  capirlo; nevrotiche ed instabili con alle spalle un vuoto educativo.

Due racconti staccano dagli altri: l’ultimo, “Gli opposti consiglieri” di Dionisio di Francescantonio (anche autore della prima e molto negativa storia del libro). In questo finale racconta di una moglie con un lavoro più importante di quello del marito e che si lascia attrarre da un superiore donnaiolo. Alla fine però si riconcilia con il marito: speranza e ragionevolezza possono imporsi pur nel rapporto più deteriorato. E poi “Aurora” di Emanuele Scotti, padre separato che fa il volontario e forse per questa via di dedizione ha imparato a trovare parole di fede e perdono. Le fa dire ad un amico psicologo: “Vi parlate? Guarda che se volete che vostro figlio soffra il meno possibile...dovete iniziare a parlarvi, a volervi bene sul serio!”. E’ una chiave contro i versi di “Separazione”, scritti da Raffaella Costa e premessi al libro: “L’amore profondo ha spezzato le ali/ i doni del cielo si sono infranti su cocci”.

                         Maria Luisa Bressani

 

Romeo e Giulietta alla Tosse con la regia di Sandro Baldacci.

“Il ridotto del diavolo”, un tempo rubrica di Dario G. Martini per le pagine di Genova de Il Giornale, si vivacizzava con il commento della moglie Maria Luisa sullo spettacolo. Il “maestro” insegna sempre e per recensire una prima anch'io mi mettevo all'ascolto del sentire dello spettatore. Per l’Isola che non c’è (1999, un Peter Pan al Teatro della Corte,  in cui Sandro Baldacci faceva recitare ragazzi con handicap), un pensionato disse:“Son tornato ad uno spettacolo -per innocenza e freschezza- più sorprendente del tanto che si vede a teatro”.

La più recente regia di Baldacci è il Romeo e Giulietta, giovedì alla Tosse (ore 11 e 20.30 fino a sabato 16, con orari diversi e mattinate fino al 20 per le scuole). Lunedì 18 sera assicura la sua presenza Elsa Fornero: le piacerà?

Il dramma di Shakespeare si fa rivisitazione del degrado metropolitano. Poiché i detenuti erano o meridionali o arabi e tunisini, le due famiglie in contesa per il territorio sono: i malvitosi Capone (Capuleti) e i multietnici Montoya (Montecchi), ma tra loro l’amore della punk Giulietta e del gitano Romeo.

Gli allievi prenotati sono 2500 e si dice che i ragazzi non si fanno coinvolgere... Dal D’Oria proviene Romeo, dall’Emiliani Giulietta e un altro ragazzo-attore dal Ruffini. Da questo liceo, alla presentazione alla Tosse dello spettacolo, ha mandato i suoi saluti il preside Benedetto Montanari (figlio del professor Fausto, che è stato un’istituzione per la città e che a fine guerra collaborava a Il Cittadino con articoli di grande profondità). Mirella Cannata, docente di storia dell’arte in questo liceo, da 12 anni insegna alla scuola professionale del carcere ed è specializzata in grafica pubblicitaria. Non a caso i manifesti come pure le T-Shirt serigrafate in vendita sono opera dei detenuti.

Baldacci opera con i laboratori integrati dal 1997 (esordio con adattamento del Congresso degli Uccelli). Da sempre Baldacci è fantasia e cultura, poesia e ritmo scatenato sulle musiche di Bruno Coli (i cui spettacoli sono tutti musical), ma oggi, forgiato anche dall’insegnamento al Dams d’Imperia, è di più. Questo è il suo sesto spettacolo con carcerati ed allievi di liceo. Sembra riproporci parole di don Ciotti: “Esser costruttori di ponti di comunicazione come abito mentale,  atteggiamento etico, opera sociale e corale”. Sembra dire di suo: “Mi trovo qui, mi applico ai problemi di questo luogo del vivere. Le carceri, un problema? Cerco d’insegnare a padroneggiare violenza e rabbia, a proporsi in positivo”.

Sarà ponte con la città il Teatro a Marassi, pronto per la prossima estate, fortemente voluto da Salvatore Mazzeo, direttore a Marassi, e da Mirella Cannata presidente “Teatro Necessario Onlus”. Ha il sostegno delle Fondazioni Carige e San Paolo.

Per la Carige Pierlugi Vinai ha detto: “Nella vita ho imparato che i giudizi vanno dati conoscendo. Quello che si può, bisogna farlo: dare compiutezza agli investimenti di una Fondazione! E l’investimento umano è sempre più importante di quello finanziario”.

                     Maria Luisa Bressani

 

Autobus di Florinda Donelli

“Ah la vita per Dio, al solo pensiero di perderla...”, parole dell’uomo protagonista del racconto di Pirandello L’Uomo dal fiore in bocca, che Vera una studentessa, prossima a morire, ricorda all’insegnante Florinda in visita da lei. “A Vera per ricordarla sempre e alla sua famiglia” così si chiude la paginetta iniziale con “26” dediche del libro Autobus (Albatros-Il Filo) di Florinda Donelli.  Le altre sono alcune per gli Autisti della AMT di Genova, i Vigili, e “tutti i miei studenti” del Vittorio Emanuele II-Ruffini dove l’autrice insegna alle scuole serali.

Il ricordo di Vera è in posizione centrale nel testo spigliato e familiare nel senso di libro di famiglia che ci rappresenta un po’ tutti. Florinda dice che quando sale sul 18 per andare all’Istituto scolastico o per riprenderlo  all’Annunziata (il capolinea è all’Ospedale San Martino) le capita di raccogliere i pensieri della gente che come lei sale, scende, sbuffa nella calca o mugugna. Sente che “il mondo c’è e lei ne fa parte”.

Se il senso della vita (e quindi della morte) è il filo conduttore, il racconto “Vera” è esemplare per lo stile dell’autrice come si rivela nella poetica lezione di anatomia che l’alunna eccezionale “ritorna” all’insegnante: “Nei tuoi occhi hai cento milioni di ricettori visivi... in ogni orecchio 24mila filamenti auditivi... nel corpo più di 500 muscoli... nel cervello - la gran meraviglia - 3milioni di neuroni (che la ragazza sta perdendo)”. “Cos’è mai una vita?”, le chiede “una vita considerata stupida e da buttare come una lattina vuota di birra, ai margini di un fosso”. In una pagina e mezzo (e i racconti sono al massimo di tre) quante riflessioni scattanti, fulminee, senza retorica.

La morte torna in altri racconti come in “Boh” storia di un cane con questo nome. Saliva sul 18 insieme al padrone che portava un cappello alpino, ma tutto sdrucito. Un giorno sale il cane da solo, invitato dall’autista che gli apre le porte, e così ancora per altri tre giorni finché al quarto il cane non si muove dal marciapiede, sembra addormentato mentre non reggendo al dolore è morto come il suo padrone. Di loro i passeggeri continuano a raccontarsi ed un ragazzo che impressionato dai teneri occhi del cane gli aveva scattato una foto chiede all’autista di affiggerla nel Bus.

Non manca l’amore, motore di vita. Ad inizio libro, quasi a confronto, un tenero idillio tra due anziani  e un altro di giovanissimi che naufraga. Un ragazzo lascia, scocciato, la coetanea dopo averla inondata di doni per una settimana, ricevendo solo degli “Uhm!”. Lei  allora sospirando apre la bocca e mostra il motivo che la tratteneva dal rispondere: si suppone un’orribile macchinetta dai ferretti su ogni dente.

Non mancano le truffe, gli atti di solidarietà tra passeggeri. Un racconto mi ha intenerito in particolare quando Florinda si assopisce e sogna la mamma che a Reggio Emilia aveva cucito, a 16 anni, 26 divise militari, ingegnandosi e sbagliando solo i taschini (non era mai stata sarta). Chi le aveva ritirate con intelligenza le pagò comunque. La mamma pensò di concedersi “una banana” ma fece poi l’elemosina ad un soldato mutilato e diede il resto ad un fratello che andava al Fronte. “Oh mamma – conclude il racconto – quanto mi manchi, quanto ti voglio bene!”

Qualche anno fa lessi lo straordinario Il treno per Babylon di Alex Roggero (Feltrinelli-Traveller) che descriveva le stazioni della metropolitana di Londra,  microcosmi,  ognuno di una diverse etnia, ora mi sembra che il “nostro” Autobus, il genovese 18, non abbia niente da invidiargli.

                           Maria Luisa Bressani

 

Uno sguardo sulla città - 33 interviste di Filippo La Porta

Cosa ha tasformato di più il volto delle nostre città? “Attrezzato professionalmente a vedere” ce lo dice meglio lo scrittore. Oggi la “narratività” è riscoperta in discipline specialistiche come sociologia, storiografia, urbanistica, scienze naturali. Su questa tesi Filippo La Porta con Uno sguardo sulla città (Donzelli Editore)- ventitré interviste a scrittori emergenti- ci descrive le città in cui vivono. Per l’interesse sono state divulgate da “Anci Rivista”, mensile dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani.

E’ un Viaggio in Italia  collettivo, “un Piovene disseminato in tanti punti di vista”, ricordando il suo sugggestivo libro del 1957 con questo titolo. Dopo di lui altri ci hanno dato pagine eccellenti: Ceronetti, Pasolini, Moravia, Sciascia, a ridire alcuni nomi citati dall’autore nel brillante saggio introduttivo. Con parole di Gianfranco Contini fin la Divina Commedia è “straordinario repertorio di luoghi e città”.

Per noi è un “must” iniziare da Genova. Fabio Morchio (psicologo, psicoterapeuta e scrittore) pensa si sia trasformata per smantellamento delle industrie, immigrazione, speculazione immobiliare. Genova, città di cantautori, è stata ancor meglio capita dal livornese Giorgio Caproni. Ne ha fotografato l’identità industriale, oggi perduta come le avessero tolto l’anima, nel verso “Genova d’uomini destri,/ Ansaldo, San Giorgio, Sestri”. A Genova l’immigrazione, “l’altro”, non fa paura come avviene in culture contadine, anzi le ha portato ricchezza e benessere. Nel centro storico convivono “pesto e Kebab” e -abbastanza ripulito- segna una tappa imperdibile del Grand Tour degli stranieri. Però un antico proverbio consiglia al genovese di mostrare “o cû non le palanche”. Genova infatti ha sempre ostentato (anche per valorizzare). Caterina Balbi Durazzo ritratta da Van Dyck indossava un abito da 2000 lire, il costo di un veliero da 60 tonnellate. Però è da temer l’invidia: meglio star riservati!

Un altro “must” è Napoli. L’autore ritiene che nelle città “il passato” resista al cambiamento e sia cristallizzato nella tradizione letteraria: Napoli come affermava Domenico Rea è tragica ma con finale da commedia o macchietta? Lo sereotipo di Napoli è dover esser spiritosi, simpatici?

“E’ tragica”,  conferma Valeria Parrella, una delle due donne scrittrici intervistate (l’altra Chiara Marchelli per Aosta). “Per assurdo –dice- dopo Saviano stereotipo è diventata la camorra stessa, ma la camorra è prima di tutto la camorra, cioè primo problema di Napoli. Il secondo è l’atteggiamento camorristico di chi non è della camorra”.

Dopo questi assaggi volo a Trieste, mia città, e a cosa ne racconta Mauro Covacich. Mi tocca però confrontarla con Pordenone: nel libro quattro Regioni -Sicilia, Puglia, Campania, Friuli Venezia Giulia- per gli incontri letterari dell’autore sono rappresentate con interviste a due città. Nel confronto con Pordenone, città giovane come ci descrive Roberto Garlini, Trieste appare abitata da “vecchi”. Però i pensionati non stanno in casa, vanno al mare, al caffè, all’osteria, a conferenze o letture di poesie. “Vivono. Il che è indubbiamente un lascito della civiltà asburgica”.

In un mondo in cui “l’interessante prevale sull’ideale” (pensiero di Garlini), è interessante Pordenone città nuova, di sviluppo “irregolare” al contrario delle rinascimentali di geometrica perfezione. “Pordenonelegge”, festival letterario di settembre e uno dei più importanti, le ha dato una marcia in più. Pordenone è diventata il West letterario d’Italia, libera da consorterie e nel senso che vi convivono due modelli d’uomo tramandati dall’antichità: lo stanziale e il nomade. Nella città moderna si sta fermi ma se l’offerta culturale è vasta si viene proiettati verso una nuova frontiera. Come a New York, dove “sei newyorkese anche se parli italiano o armeno”, così a Pordenone, giovane ma culturalmente viva, puoi metter radici senza confini mentali.

E’ stato così anche per la Trieste commerciale che forgiò Svevo, il più grande romanziere del Novecento, e Saba, la più limpida voce poetica. La letteratura riflette l’anima e fin negli interventi urbanistici Trieste non ostenta: è capace di ritocchi, gli spartitraffico fioriti, il ghiaino sui sentieri del Carso che surclassano le trionfali “rotonde” del Veneto.

Assaggi ma ogni lettore cercherà la sua città, poi vorrà visitare le altre: un moderno, collettivo Viaggio in Italia!

                       Maria Luisa Bressani

 

L'efficienza energetica  (aiutati che il ciel t'aiuta)

di Adriano Piglia

L’Efficienza Energetica come contributo alla Sostenibilità Ambientale ed Economica – ovvero “aiutati che il ciel ti aiuta” di Adriano Piglia è libro non solo interessante, anche necessario per capire. Le energie rinnovabili, nell’opinione dei tanti, restano “patata bollente” da disputa tra guelfi e ghibellini. C’è chi dice: “La nostra economia è in crisi, la disoccupazione alta per il costo proibitivo, e in aumento, dell’elettricità, per il mix sbagliato per produrla rispetto all’Ue, sbilanciato sul costoso gas, poco sul conveniente carbone e con 0% di nucleare, nonché per i generosi incentivi alle inservibili fonti rinnovabili. Non solo: il fotovoltaico non crea ma impedisce la nascita di posti lavoro”.

Questo libro controbatte tali asserzioni. Nella prefazione Raffaele Chiulli, presidente Safe (Sostenibilità ambientale e fonti energetiche), evidenzia: “L’esigenza di fare i conti con alcune risorse energetiche in esaurimento e sempre più costose, le complesse relazioni tra paesi produttori e paesi consumatori, stanno condizionando le politiche energetiche a livello internazionale”. Obiettivo: “Migliorare l’efficienza nel modo di generare, trasportare e consumare energia”. Piglia, già Vice Presidente ExxonMobil, tra i massimi esperti di questioni energetiche internazionali, direttore del Centro Studi Safe(www.safeonline.it), ha pubblicato il libro grazie al sostegno di “EGL Italia - networking energies” che ha un motto: “Ottenere di più consumando di meno”.

Ci dà una prima indicazione: le Fonti di Energia Rinnovabili (FER) sono strumenti complementari da utilizzare associati ad altre forme tradizionali, ma per ridurre l’importazione di energie primarie ed operare una “decarbonizzazione” della società in contrasto al riscaldamento generato da CO2, si dovrebbe introdurre il nucleare. L’emotività del dopo Fukushima ha generato uno stallo: ma, abolito il nucleare e “decarbonizzata” l’economia, restano le FER, tuttora di basso rendimento e che necessitano di sostanziosi incentivi.

L’autore traduce così il concetto degli incentivi: “Si delega alla volpe pubblica la custodia del pollaio privato, cioè dei nostri soldi”. Ci ricorda che sono stati varati ed approvati, ma “mai applicati!” tre Piani Energetici Nazionali, che con la riforma del Titolo V della Costituzione si è data la palla alle Regioni, già con clamorosi fallimenti in passato. Perché spesso gli amministratori locali preferiscono non occuparsi d’assetto del traffico urbano, di logistica dei trasporti, di futuro dell’auto (con tutto ciò che comporta in termini di occupazione a rischio). Hanno l’“atteggiamento da massaia” che non cambia elettrodomestico fin quando non conviene più ripararlo. Pensano a risultati di breve termine, non operano cambiamenti importanti mentre nel campo dell’utilizzo delle energie e degli sprechi si deve agire con coraggio. Necessitano misure coercitive come quelle prese per l’eliminazione di produzione, distribuzione e vendita delle lampade ad incandescenza.

Innesca altri due concetti: falsità del Pil e  spreco.

Per esemplificare, non rientrano nel calcolo del Pil qualità di vita e ambiente, importanza del lavoro domestico, educazione, sanità che non hanno quasi mai un prezzo di mercato. Con un esempio semplice (di quelli a tutti comprensibili, gran pregio del libro!) Piglia ci dice: “Gli ingorghi di traffico cittadino aumentano i consumi di carburante e di conseguenza il Pil, ma non migliorano il nostro tenor di vita”.

Altro concetto di fondo è lo spreco: dalla trasformazione di energie primarie, gas, petrolio, carbone, energia elettrica importata, all’utilizzo in trasporti, servizi, società. Piglia lo evidenzia con Tabelle e Specchietti. Per l’Italia lo Specchietto del 2009 (p. 36) ci indica che il divario tra energia primaria e consumo finale supera il 65%. In altri successivi possiamo sembrare in buona posizione in Europa, pur avendo fatto poco per avere fonti autoctone e molto dovendo importare. Sembriamo più “virtuosi” per una struttura economica energeticamente più leggera e il clima mite.

L’efficienza è altro concetto base, anzi l’obiettivo primario che dà titolo al libro, ma cosa ben diversa dal risparmio energetico. Un esempio semplice: se non lascio la Tv in stand by realizzo risparmio energetico, se tutti facessimo così il risparmio genererebbe efficienza e meno energia da importare.

Un paragrafo è dedicato al “Problema degli incentivi”, confrontandoci con ciò che avviene in Ue, e in Usa (dove sono usati nella riqualificazione edilizia per dar occupazione).

Tra le constatazioni la più cogente sta nell’aumento della popolazione ed espansione economica mondiale (Cina, India, Brasile tra i Paesi emergenti) che farà crescere le necessità energetiche. Molto è da fare nel settore mentre ci fermiamo a pensare che tutti  paghiamo i generosi incentivi in bolletta (10miliardi annui per i prossimi 20 anni) e nonostante il grave problema, avvertito in tutta Ue e denunciato dal ministro dell’ambiente Clini: dover vigilare perché la malavita non si appropri del business delle rinnovabili.

                Maria Luisa Bressani

 

 

Tristanoil di Nanni Balestrini

1966, Tristano "iperomanzo" di Nanni Balestrini,   (Feltrinelli); 2007, 50 anni dopo, la riedizione con sottotitolo "romanzo multiplo", in 2500 copie (editore DeriveApprodi); 2012, Tristanoil, "romanzo multiplo elettronico" (Canneto Editore, www.cannetoeditore.it)che consta di un video di 2400 ore, nel senso di una durata "illimitata" per ricombinazione infinita dei materiali del filmato-base. Dopo 100 giorni di visione a Kassel per dOCUMENTA le proiezioni proseguono ora in gallerie d'arte e musei, in Italia e all'estero. Sono queste tappe importanti  dell'artista-scrittore Balestrini, che da sempre ha voluto cimentarsi con linguaggi moderni: è stato tra gli animatori delle neoavanguardie, tra i poeti "Novissimi", nel "Gruppo 63", autore del ciclo di poesie sulla Signorina Richmond , dei tre romanzi La Grande Rivolta, di Milleuna (collaborazioni con musicisti), di Caosmogonia.

Tristanoil consta di una ventina di pagine introduttive (a cura di Manuela Gandini, Paolo Bertetto, Giacomo Verde, Vittorio Pellegrineschi, Gian Maria Annovi), di 50 immagini e il video "OIL".

L'idea base: "Il petrolio, sangue infetto della civiltà industriale, entra, dal secolo scorso, nell'arte, nella letteratura e nel cinema". Al riguardo vengono citati "Il Gigante" con James Dean, ricordandoci che quel gigante è il Texas, ma ricordando pure "il benzinaio Edward Hopper che sistema la pompa mentre a lato l'erba brucia", o il pittore "Mario Schifano con il logo gocciolante della Esso", o "a Valie Export la recente piscina di olio saturo sormontata da una piramide di Kalashnikov".

E' un concetto affine a chi considera i poli industriali non come fonti di ricchezza, ma d'inquinamento. E' anche la nostra storia dove l'Olivetti (che ha dato gli strumenti alla prima comunicazione di massa) ha chiuso, la Montedison è diventata Edison lasciando perdere la chimica e concentrandosi sull'elettricità, è la storia attuale dell'Ilva, colosso dell'acciaio, che vede lo sgomento dei lavoratori stessi davanti alle ingiunzioni della Todisco. Se queste voci contro "il progresso" come lo avevamo considerato non si coniugheranno con la necessità di non gettare "il bambino" con l'acqua sporca, forse non rivivremo la crisi delle domeniche senza auto, con città immense solo a voler raggiungere i nonni e ritorno ad illuminazione semispenta.

D'altro canto gli artisti come  Balestrini ci suggeriscono d'impare per prima cosa "cos'è arte contemporanea". In Genova basta capitare al Museo di Villa Croce per vedere sedie di plastica trasparente come quelle della nostra cucina o dell'Ikea dove però nel sedile passa in continuazione qualche filmato e, a sedersi, sembra di aver sotto il mondo, o vedere, sempre a Villa Croce quale utilizzazione per performances artistiche o installazioni si faccia della Muraglia cinese. Se ci sintonizziamo su Europa News ci capita di vedere l'Inflatable Art ad Hong Kong (gonfiabili creati da artisti ed ammirati, seppur infantili, come creazione artistica), con anche una gigantesca paperetta gialla a portar via la scena alle grandi navi in porto. Vedere per capire, ma anche capire cos'è la portata del progresso. Capire la voglia di futuro, ricerca, sperimentazione, di Balestrini stesso, sapere però che oggi non esiste ancora un'uscita di sicurezza dal petrolio con pari possibilità d'uso. La decrescita felice a molti sembra voglia di candela al posto della lampadina o tornare ai lavatoi o al carretto.

Se nelle 50 foto di Tristanoil vediamo con sincera pena il pellicano con le ali intrise di nero petrolio, ammiriamo però foto molto suggestive di "Baku" (p.67), di "La Rete" (p. 103). Perfino "Guerra" (p.109) s'impone con la livida fascinazione che ne diceva Oriana Fallaci. E quei colori della macchia di petrolio che si riverberano da una pozzanghera, nei toni del giallo, blu e violetto, li ho ritrovati in un elegante abitino della vetrina di Max Mara. Troviamo accostamenti del tipo "Borsa" e, subito dopo, "Fame": nella prima foto un uomo disperato si copre gli occhi, nell'altra a contraltare dei soldi come idolo, la sequenza di bimbi africani denutriti. Le foto ritornano, riproposte diverse in qualche particolare ma anche uguali nel significato. Le ultime due "Borsa" e "Pozzo" hanno un fascino neutro: un bene? o il male? A tutti il compito di costruire un mondo migliore ma l'artista ci ha invitato a riflettere.

                      Maria Luisa Bressani

      

Segue ora la recensione ad un testo in cui la protagonista come tante ragazze si sente brutta fino al complesso e trova poi la sua dimensione umana dedicandosi a chi è molto più sfortunato di lei in altre parti del mondo. Segnalo - cosa che ignoravo - che in questo libro si racconta come al G8 di Genova dove la città dove vivo fu messa a ferro e fuoco dai molti ragazzi convenuti con danni ingentissimi ci fosse un servizio d'aiuto per i pasti da parte di donne genovesi, un po' come fossero aiutanti dei partigiani in tempo di guerra.

Bisognerebbe chiedere ai tanti negozianti danneggiati e non risarciti, ecc., a tutti gli offesi cosa ne pensano e se quei ragazzi sono stati davvero così bravi dato che poi al processo gli imputati sono stati quasi tutti assolti e il refrain è che chi ha provocato i danni era stato fatto fuggire prima. Da qualunque parte stia la verità non è una bella cosa. E mi piacerebbe che tanti genitori capissero la responsabilità di lasciar partecipare i loro bravi ragazzi a queste manifestazioni che nascono pacifiche e degnerano nella violenza che è una mala azione verso gli altri, i cittadini tranquilli e lavoratori. Ma i magistrati se ne rendono conto che non bisogna vezzeggiare le minoranze rivoltose?

La Luce dell'Elleboro di Stefania Pagliero

La luce dell’Elleboro di Stefania Pagliero (De Ferrari Editore) narra il disagio di un’adolescente. L’autrice ha esperienza approfondita maturata sul campo: mamma di tre figli, insegnante di lettere, scrittrice, sceneggiatrice di spettacoli scolastici, specializzata come docente di sostegno. La storia ripropone il tema del brutto anatroccolo, quando una ragazzina si sente tale e la prefatrice Milena Buzzoni assimila il disagio ad altre celebri narrazioni da Giulio, la protagonista di un romanzo di Milena Milani, alla giovane giainista della “Pastorale americana” di Philip Roth. Ma si può anche vederla questa adolescente in crisi alla GAM nel “Ritratto di fanciulla” di Casorati (1930).

A complicare la storia dell’adolescente Carla sono i suoi maldestri tentativi per non esser lasciata sola. Giunege a manipolare gli altri. Per prima la più cara amica d’infanzia, tormentandola con telefonate quando è insieme al suo ragazzo. In una domenica che si prospetta di solitudine giunge a  simulare una drammatica lite tra i suoi genitori per avere il conforto delle amiche. Eppure non le manca niente, dall’affetto dei genitori all’affettuosa comprensione delle compagne. Non le mancano nemmeno le infinite possibilità di bellezza perché una ragazzina con un rapporto peso/altezza di 54 chili per un metro e settanta ha “le phisique du rôle” da indossatrice. Se ha  capelli castani che lei definisce “color topo”, la mamma la porta a fare le méches, quindi dovrebbe vederseli, lei per prima, in modo diverso. Invece no, perché in fondo la bellezza è un sentirsi bene con se stessi, in un’armonia interiore che gli altri percepiranno all’esterno.

A Carla capita, esperienza sconvolgente, di toccar con mano l’esperienza del “G8” nella vicina scuola dove i ragazzi “sarebbero” stati aggrediti dai poliziotti. La sua personale implicazione deriva dall’aver offerto una torta salata, preparata con le sue mani, ad un ragazzo inglese che la ringrazia e per cui lei sente quasi un trasporto amoroso. E soffrirà nel vederlo in foto sanguinante.

Però: mi mancava questa notizia di ragazze genovesi che con il benestare delle madri per accoglienza ai partecipanti al “G8” hanno preparato loro vivande come a partigiani da accudire in una guerra civile! Quando poi Carla, qualche anno dopo, legge della conclusione del processo e dell’assoluzione dei ragazzi, dice “giustizia è fatta”, cosa che ai genovesi suona d’oltraggio per i danni provocati alla città e mai risarciti. Come altrettanto oltraggiose risuonano a me parole su quei “bravi” ragazzi innocui che avevano nascosto armi nei cassonetti quando le sento ripetere da comprensivi genitori. Questi, i veri responsabili, non li misero in guardia dai rischi che correvano accompagnandosi a cortei dove – si vociferava – si sarebbero potuti intrufolare “i picchiatori”. Questi genitori non hanno posto ai figli almeno la condizione di allontanarsi qualora avessero visto partecipanti a volto coperto. Quel “G8” per i genovesi resta ferita aperta.

Ma al di là di questa parte del testo, un po’ di maniera seppur trattata rapidamente, conta in questo storia veloce, che si legge bene, l’evolversi della personalità dell’adolescente. Viene accompagnata dal nome di  fiori, di cui ognuno con versi di celebri poeti apre alcuni capitoli. Ogni fiore (lavanda, rose, ginestra, elleboro, veronica) sottolinea nuove stagioni o passaggi della sua vita. Il primo, la lavanda, con versi del Pascoli ci riporta la tradizione di case borghesi dai  cassetti profumati. La ginestra con versi del Leopardi indica orgogliosa solitudine. Il fiore più incisivo per il dramma intimo appare l’elleboro che “rifiuta di fiorire in primavera e aspetta l’inverno per dare il meglio di sé”. Carla troverà la sua strada attraverso il dolore, quando sarà più brutta per un incidente che la sfigura. Sarà allora meno concentrata su di sé, anzi proiettata verso il mondo esterno e verso l’aiuto agli altri. Lo farà per ultimare la tesi di laurea sugli Inuit, che vivono in Groenlandia (alto tasso di alcoolismo, tanti suicidi, bimbi  lasciati per ingnavia intorno ai pub).

La conclusione è quella verità che dicevano le prime donne giornaliste di fine Settecento  su un’affermazione femminile da non legare solo all’aspetto fisico. Forti le parole di M.me de l’Espinasse sul “Corriere delle dame” (1804): “La donna che si fa merito di sua bellezza, annuncia da sé medesima di non averne altri maggiori”. Le mamme dovrebbero ricordarla alla figlia adolescente per spingerla non al culto dell’immagine (ne siamo bombardati) ma farle capire che per ogni anattrocolo c’è il tempo di farsi cigno. Se poi tale non diventi, puoi scoprire di non aver tempo per pensare troppo a te: il mondo ha tanto bisogno anche di te e va di fretta.

Maria Luisa Bressani

 

Jack e i tubi di Tiziana Albertini Cassinis

“Harry Potter docet” è un primo pensiero, superficiale, dopo i primi  tre capitoletti dei 36 di Jack e la storia dei tubi (De Ferrari Editore). Ma l’autrice Tiziana Albertini Cassinis non ha scritto per emulare l’icona inglese di successo;  con all’attivo reportage dall’estero, inchieste giornalistiche, un libro-intervista sull’Aids, già la sua dedica al figlio Jacopo, premessa al testo, ci dovrebbe mettere sull’avviso.

Bimbo di quattro anni percorse la “via dei tubi”, l’itinerario n.6 nel Parco del Monte di Portofino, tra tunnel e strapiombi, lungo l’acquedotto ottocentesco che porta l’acqua a Camogli. Un cammino così pericoloso che per farlo ci vuole l’autorizzazione dell’Ente Parco. Ci troviamo forse davanti ad una mamma italiana secondo vulgata, che vuol farci sapere di un figlio eccezionale? No davvero, perché il piccolo protagonista, che nel recarsi in gita con i genitori sfugge al loro controllo proseguendo per il cammino da solo e alla fine li ritrova come non si fossero accorti di niente e pur pieni d’amore per lui, ci entra in cuore con le sue paure. Il cammino impervio, aiutandolo a crescere, diventa l’antidoto più certo. Alla paura si possono trovare “rimedi”, dal cantare e correre che il bimbo mette in atto quando si trova nel primo tunnel, come gli ha insegnato la mamma che da piccola attraversava così i corridoi bui della sua casa. Un secondo stratagemma è inseguire con la mente uno stimolo più forte come, nel secondo tunnel, un buon odore di mangiare, però al capitolo 33, quasi alla fine, nel dover oltrepassare uno strapiombo, Jack ha ancora tanta paura. Dice: “Mi vergogno della mia paura, ma troverò il modo per non essere sopraffatto”. Gli vengono in mente due compagnetti di scuola che gli sembra di sentire ad incitarlo: “Jack, sei un fifone, buttati di sotto. Non hai il coraggio?”

Il cammino dunque è stato un’ottima cura antibranco e non solo: alla fine dell’avventura Jack fronteggia gli “orchi” (nella vita se ne incontrano) che lo vorrebbero pronto a rinunciare ai suoi sogni in quanto “incapace”, mentre invece capisce di voler andare verso “la libertà di essere, di scegliere, di diventare”. Nel libro qualche stilettata al “tutti maestri”. Imparare vuol dire aver voglia di conoscere al di là di costrizioni, di chi vorrebbe farti studiare a memoria cento volte la stessa lezione, di chi, i “so tutto”, vuol sempre consigliarti. Genitori distratti, pur con i loro difetti, basta ci siano quando il figlio torna per fargli sapere tutto il loro amore. Può capitare che un figlio, crescendo, vada “lontano da casa” (con il cuore e con la mente), l’importante è ritrovarlo.

L’altro grande insegnamento del libro, sempre in assoluta leggerezza come tra gioco e avventura, è conoscere la natura. Il libro è un atto d’amore verso il Promontorio di Portofino e nel fuoco d’artificio di sensazioni e sorprese, s’impara camminando: “Camminare aiuta a pensare, pensare aiuta a osservare e il nostro silenzio aiuta l’ascolto della natura”.

                  Maria Luisa Bressani

 

 

 

 

2.INDICE  IL SOCIALE

 

Elvira Magro           - Yuri dalle scarpe blu - 2011

"Ancoradonna"      - Progetto della LILT Il Giornale 20 marzo 2011

Saverio Paffumi        - Il mondo di Rosanna Benzi - 2011

Luciana Morello Lagostena e Cristina Dotto - Ricette di Casa Famiglia - 2010

A Nucci Novi Ceppellini, signora della vela, intitolata la Casa per Disabil del FADIVI che accoglierà 16 disabili Il Giornale 21 febbraio 2009

L'Abbraccio casa per i neonati del don Orione Il Giornale  22 giugno 2008

Indietro nel tempo. Adriano Bausola a Genova per la Giornata della Vita: Settimanale cattolico febbraio 1991

"Amore alla Vita, scelta di Libertà"(1991)

II Cammeo: il valore della Vita

Nostra Signora della Guardia: due cartoline: Altare di Gianna Beretta Molla, mamma eroica e Il Presepe con gusci di noce di Gaetano Noli

Il CAV (Centro Aiuto Vita) di Genova Il Giornale 23 dicembre 2011

Mimma Guelfi Presidente Movimento per la Vita Settimanale cattolico 24 marzo 1998

Roberto Rasìa dal Polo   - Conduci la tua vita - 2011

Miriam Pastorino (curatrice) - Il delirio e la speranza.Storie di Padri separati - Il Giornale 1 gennaio 2013

Sandro Baldacci (regista)    - Romeo e Giulietta alla Tosse - Il Giornale 13 febbraio 2013

Adozione e il colore  della pelle 2011

Florinda Donelli             - Autobus - 2010

Filippo La Porta   - Uno sguardo sulla città. 33 Interviste - 2010

Adriano Piglia - L'efficienza energetica (aiutati che il ciel t'aiuta) - 2011

Nanni Balestrini              - Tristanoil - 2011

Stefania Pagliero             - La luce dell'Elleboro - 2011

Tiziana Albertini Cassinis   - Jack e i tubi - 2009

A Maria Cristina Ferrarazzo che mi fa conoscere "Il  Pedagogista Clinico"  Il Cittadino 28 ottobre 2007

E' nata l'associazione Pedagogisti clinici Il Cittadino 24 settembre 2006

Malati di Parkinson: sofferenza e disagi Settimanale cattolico 26 maggio 1998

Il Villagio solidale (il variegato mondo delle Agenzie di Volontariato)  CSN (Comunicazioni sociali News della Cattolica) dicembre 1994

Abusi su minori. Un problema che non si voleva vedere. Il Cittadino 9 aprile 2006

Conferenza di Massimo Introvigne . Preti pedofili e pedofili istruttori di ginnastica, di calcio, ecc. Anche processi faziosi e falsi:

Don Giorgio Govoni riabilitato ma era morto d'infarto durante l'arringa del Pm. Il Giornale  27 maggio 2010

Alpim presidente Giulio Gavotti, speranza per giovani e artigianato. Settimanale cattolico 24 gennaio 1991

    

L'Abbraccio  casa del don Orione per i neonati

Genova Progetto "Ancoradonna" della LILT

Questo sul CAV è per me un articolo di routine e la prima volta che ne scrissi fui quando nasceva  a Genova (uno dei primi), chiamata a parlarne da Mons. Gaggero, il fondatore, che conobbi in quell'occasione, apprezzandone la fine cultura giuridica oltreché la carica umana, la passione che metteva in questa sua opera. Quando chiesi a Massimo Zamorani caporedattore de Il Giornale se potevo scrivere l'articolo, mi rispose:"Se ne occupa sempre la signora Maria Beatrice Barberis che tiene i contatti anche con la Asl (allora Usl)". Dovetti insistere: "Perché hanno chiamato me e non la signora Barberis?" Ebbi l'ok e da allora imparai molto frequentando il CAV ed ebbi modo di stringere amicizie care con chi ne era presidente o lo supportava. In fondo la scelta pro vita in noi donne non solo è naturale ma spesso nasce da vicende personali come è chiaro anche nelle parole (a fine di questo articolo) di Paola Musso, la presidente per cui nutro grande stima ed ammirazione.

Per me nacque dal fatto che i miei primi due bimbi, da sposina, li persi per aborti spontanei al terzo e al quarto mese, per cui di questo secondo bimbo si seppe che era un maschietto ed ho sempre pensato a quel figlio non nato desiderando a volte avere il suo appoggio quando mi dicevo: "adesso avrebbe tanti anni così, adesso..."

Quando il dottore mi comunicò che lo avevo perso, in pratica rifiutai inconsciamente di vivere, dovettero ricoverarmi d'urgenza perché perdevo coscienza di continuo e venne al mio risveglio un dottorino che mi disse: "Bentornata tra noi, per venti minuti abbiamo temuto di perderla perché ogni cosa che le facevamo ci dava esiti diversi dall'aspettativa". Infatti senza il mio bimbo non volevo più vivere. 

Lo rifiutavo con tutta me stessa pur se, quando il ginecologo  andando io allora in montagna per le vacanze natalizie mi  aveva sconsigliato di sciare, arrabbiatissima per quel divieto, ricordo bene quella passeggiata nella neve alta seguita da mio marito cui dicevo: "Questo bambino non lo voglio, ho tante altre cose da fare dal completare i miei studi all'università, ecc.) Ma quando  iniziai a star male per la prima minaccia d'aborto  e rientrai a Genova in ambulanza allora capii che il mio bambino era più importante di tutto". Bisogna sempre crescere e lo si fa attraverso il dolore come ha scritto bene Minnie Alzona per la bambina che voleva avere un dolore (v. il suo racconto il Pane negato).

La mia bimba nacque dopo tre anni di matrimonio e la gravidanza trascorsa del tutto a letto.

Non solo quando mi trovai ad aspettare il terzo figlio fu il medico di famiglia a consigliarmi d'interromperla "per la mia salute" (ma sono ancora qui e vecchia!, quindi considerate l'insipienza dei consigli medici) e di andare ad abortire in Inghilterra per cui il medico aveva un canale.

Non volli, è chiaro, però io avevo tutta la famiglia ad appoggiarmi mentre certe ragazze o donne sono sole (lo erano prima della nascita dei CAV su cui però specie tante straniere che giungono qui per lavorare e si ritrovano incinte non sono informate) perciò la legge 194/'78 ha avuto, specie allora che esistevano questi canali poco chiari, una sua tragica necessità. Da tutto ciò, dalla mia esperienza, pur consapevole che una gravidanza può rappresentare un grave problema in alcune situazioni, però sono più che certa per quella mamma, se ha rinunciato, di un suo rimpianto o rimorso per tutta la vita.

E l'importante è inculcare a bimbe e bimbi il senso del Sacro che è nella Vita (che non ti appartiene ed è un dono che hai ricevuto da custodire), renderli consapevoli che è forse la cosa più grande della loro esistenza il concepire un figlio e farlo crescere in modo da non doversi pentire di lui ma esserne orgogliosi per come sarà nella comunità dei viventi. Non a caso il cristianesimo si è diffuso tanto perché al centro ha un bimbo appena nato, speranza per tutti.

Inserisco ora parole di Paola Musso ad un Convegno presente il Cardinale Tarcisio Bertone

quindi poiché:

A volte mi reco da buona "genovese" al Santuario della Guardia che domina la città e dove un altare pieno di fiocchi battesimali rosa e azzurri è dedicato ad una mama eroica: Gianna Beretta Molla e lì prego sempre come per i miei 50 di matrimonio (se ci arriviamo alla prossima primavera)  dopo avervi preso Messa penso di andare con figli e nipoti (siamo in 14) a fare pic-nic su tavolacci freddi di pietra da cui si domina la città fuori dal Santuario.

 

 

 

 

 

 

II Cammeo Il valore della Vita

Fa discutere la sentenza (13332)della Sezioni Unite civili della Cassazione sull’inidoneità all’adozione della coppia che opti per quella internazionale (via più breve rispetto a quella nazionale) ma che vuol scegliere l’etnia di provenienza del “suo” bimbo. E doveva darmi un parere su quella sentenza il fine giurista Giulio Gavotti che in Genova si è sempre distinto per opere di vera carità (non solo assistenziale), con ci talvolta ci saimo trovati alla correzione dei temi del Concorso scolastico del MPV ma doveva aspettare che la sentenza fosse pubblicata e questo per i giornali diventa un tempo improponibile. Però mi aveva già anticipato che - a suo avviso - se due genitori del Sud magari obbligati a vivere in un paesino non si sentivano di adottare un bimbo di pelle scura lui li capiva e avrebbe avuto da eccepire sulla sentenza.

Adottare è ricerca di una felicità genitoriale che manca nella propria vita, è amare il bambino non come proprietà ma come persona da aiutare a stare nel mondo, a crescere. Adottare è mettersi in gioco oltre alla propria quiete, contrastare l’indifferenza al “paesaggio del dolore”: la terra non è abitata solo da madri che gioiscono nel crescere i propri bimbi, da ragazzi amati, fortunati, compresi.

Genova: una storia di cugini adottati trent’anni fa. Pietro, indonesiano, adottato a Genova, si è laureato, ha un buon lavoro, ha sposato una milanese e vive a Milano. Ora ha due bambini ma nessuno dei due ha ereditato la pelle ambrata che piacque tanto alla moglie adolescente quando lo vide per la prima volta alla spiaggia al punto da dirsi: “lo voglio, desidero diventi il mio uomo”.  Pietro per i genitori è stato fonte di gioia per il carattere solare; conobbe anche lui la xenofobia a Borgio Verezzi: fu “pestato” da coetanei. I suoi genitori adottarono un altro bimbo, uno sciuscià napoletano che diede qualche problema ai genitori ma non mostrò mai contrasti con il fratello.

Franca,  loro cugina, anche lei bimba adottata, nacque  al Gaslini e la sua pelle denunciava l’origine in parte africana. La mamma adottiva ricorda che la piccola fin dall’inizio venne accolta bene nel quartiere genovese dove abitano. Qualche presa in giro quando la bimba passò dall’asilo nido alla scuola materna ma per il fatto che si ciucciava il dito. Una volta la portò in gita a Parigi e in metrò le si sedette accanto  un’africana, di pelle molto scura e la bimba si spaventò e iniziò a piangere. Più grande voleva sentirsi rassicurare che era genovese, forse una paura di radici ignote. La mamma trova giusta la recente sentenza della Cassazione e pensa che le questioni di pelle siano superate: un problema forse di trent’anni fa, oggi non attuale.

Quindi il colore della pelle da noi, in contesti già multietnici come Genova, Roma e altre città pare non contare però ci possono essere sacche di arretratezza. Un esempio viene dal passato, dal “gossip” che può appuntarsi sull’amor materno e genitoriale pur se sublimato in grande poesia: Gabriela Mistral, la cilena poetessa premio Nobel nel 1945, che è un po’ anche “nostra” perché nel ’48 scelse Rapallo come sede del suo consolato onorario del Governo del Cile, fu sospettata di esser madre di un figlio illegittimo concepito tra gli indios.  “Natale Indio” è tra le sue poesie che accreditarono per così dire i sospetti di certa critica letteraria e lei ne soffrì: “Madre senza dono/ né grande né piccolo/ sognando a mezzanotte/ genero mio figlio nudo/...Non c’è vento della Puna/ che così acuto sibili/ come fischia chiamandoti/ il tuo bimbo nudo”.

                 Maria Luisa Bressani

 

 

 

Adozioni e colore della pelle

Nuove iniziative del CAV (Centro Aiuto alla Vita) di Genova

    

Indietro nel tempo:

Adriano Bausola a Genova

per la Giornata della Vita (14 febbraio 1991):

"Amore alla Vita, scelta di Libertà"

Che gioia ricevere per questo breve articolo il ringraziamento di Bausola, Rettore dell'Università Cattolica, per la mia "efficace sintesi". Poi dimentico, ma guardando nelle vecchie carte, poi ritrovo ed è anche il senso di quando la gente era così educata da pensare di dover ringraziare, mentre ora siamo noi per primi, io per prima, a rimandare "un grazie" come fosse cosa che porta via troppo tempo ad un vivere già di per sé faticoso: è disagio profondo di questo mio tempo di adesso!

Mimma Guelfi Presidente Movimento per la vita

Settimanale cattolico 24 marzo 1998

Per Mimma vedere anche pagina Arte e Tradizione

A Maria Cristina Ferrarazzo che mi fa conoscere "Il pedagogista clinico"

Il Cittadino 28 ottobre 2007

Ferrarrazzo non è donna che si adagia sugli allori conquistati. La prima volta che la vidi partecipavamo insieme ad una televideoconferenza dell'Università cattolica, ma lei giorinalista professionista, era una giovane star. Con noi c'era anche Umberto Bassi ottimo giornalista che voleva presentare un mio libro, credo quello delle Scrittrici, poiché gli era piaciuto molto, però poi non si rifece vivo ed io lo vedevo su TeleGenova e ne seguivo le parole come fonte di saggezza.

Anche Cristina lavorò in campo televisivo: la seguivo spesso. Poi la ritrovai consigliere di circoscrizione per Genova Nuova e Per Liguria Nuova (due liste civiche di cui fu fondatore Castellaneta) nell'VIII MedioLevante. Brava, sempre preparata, sempre combattiva. Di lei so che ha seguito un Corso di sopravvivenza per giornalisti embedded e mi ha spiegato cosa fare quando si è su un elicottero e sparano da sotto: non credo mi troverò mai in una situazione del genere...

E' stata addetto stampa della comunicazione per l'Associazione Pedagogisti Clinici, professionalità che si rivolge a  diminuire la dispersione scolastica, a sconfiggere il bullismo...: insomma un approccio nuovo per problemi nuovi ma anche antichi nella loro radice di disagio giovanile. 

Maria Cristina ha conseguito presso l'Università di Genova la laurea triennale in Servizio sociale ed ha alrre tre lauree: Giurisprudenza, Editoria e Comunciazione, Antropologia culturale ed etnologia (marzo scorso e con lode).E' anche mia gemella astrale in quanto siamo nate entrambe in giugno nello stesso giorno ma lei ha venti anni meno di me.

Vorrei qui ricordare le difficoltà di una giornalista vera quando fa anche politica, difficoltà e minacce che sui giornali non si sanno. La combattiva Cristina in Circoscrizione a volte si scontrava con Pasquale Ottonello e un bravo e giovane giornalista Sculli che allora era al Mercantile ora al Secolo XIX la difese con coraggio in un articolo.

Cristina ha visto questo Sito quando era all'inizio e mi ha subito detto su Facebook che ci voleva un po' più di riflessione: non so se per motivi politici o per le tante sviste del mio digitare in fretta e perché allora era anche molto incompleto. Ora che si è rimpolpato spero non le dispiaccia e mi ricontatti con amicizia.

Metto dopo al seguente l'articolo di un anno prima sulla nascita dell'Associazione forse perché questo mi sembra più snello e adatto a far capire il significato.

Il Parkinson: sofferenza e disagi

Settimanale cattolico 26 maggio 1998

Questo signore Emanuele Riva con moglie malata di Parkinson mi scrisse una lettera che conservo  come una delle più gradite testimonianza del mio giornalismo. Non so se per questo articolo (o forse poi lo intervistai) però nella sua sofferenza mi ero ritrovata e la mia mamma era morta il 10 gennaio precedente, quindi ero ancora emotivamente molto coinvolta. Seguii infatti per alcuni altri anni tutti i convegni sul Parkinson e ogni volta si rinnovava il mio lutto e la mia sofferenza: è stato come percorrere le stazioni di una mia via Crucis, poi un giorno decisi di non farlo più, forse in parte avevo superato o forse non ce la facevo più - impotente in attesa di un traguardo della ricerca- a tormentarmi così.

E' nata l'Associazione Pedagogisti clinici

Il Cittadino  24 settembre 2006

Il Villaggio solidale (Il variegato mondo di agenzie per il Volontariato) CSN  dicembre 1994

Abuso su minori, problema che non si voleva vedere

Il Cittadino 9 aprile 2006

 

Conferenza di Massimo Introvigne.

Preti pedofili e pedofili istruttori di ginnastica, di calcio, ecc.

 Anche processi faziosi e falsi: il parroco Giorgio Govoni riabilitato

ma era morto d'infarto durante l'arringa del PM.

Il Giornale 27 maggio 2010

 

Alpim (Associazione ligure per i minori), presidente 

Giulio Gavotti: speranza inserimento lavoro e artigianato

Il Giornale 24 gennaio 1991

Nostra Signora della Guardia

Altare di Santa Gianna Beretta Molla mamma eroica

e il Presepe fatto con i gusci di noci di Gaetano Noli

Non sembri un fuori tema o un richiamo turistico aver inserito questo Presepe singolare in epsosizione stabile al Santuario: non tutti lo sanno e cosa c'è più di un Presepe a favore della vita? Un Presepe è esaltazione con Gesù di ogni bimbo che nasce e ogni bimbo è speranza del mondo, speranza per tutti noi. Questo è il valore della vita cui educare prima di scelte sbagliate e contrarie

E voglio tornare a sottolineare che questo è appunto un articolo di routine: ce n'è uno dei cui ricordo il titolo: Il Cav di Genova ha aiutato a diventare mamme 300 donne oppure un altro sul Progetto Gemma e sul fatto che delle donne straniere immigrate, spesso le più bisognose di supporto, chi entra in contatto con il Cav poi sceglie per il proprio figlio, pur se è musulmana, un nome della nostra tradizione e il più gettonato è Francesco.

Paola Musso parla (benissimo pur se metto solo la fine del suo intervento) ad un Convegno del 21 gennaio 2005 su "Donna, Madre, Lavoratrice" presente il cardinale Tarcisio Bertone

Articolo riportato solo nella parte finale anche alla pagina successiva Cultura e sociale dopo il testo dedicato a Velia Galati Tessiore e affiancato alla copertina del libro sull'argomento di Renzo Celesti -Marcello Canale - Sergio Bistarini (1978) da noi uno e soprattutto in Genova tra i primi sull'argomento

Dalla minuta del mio articolo sul Settimanale cattolico inserisco ora solo queste parole del cardinale Tarcisio Bertone e poi alla fine dati forniti da Paola Musso presidente del CAV sulle interruzioni di gravidanza alla Asl 3 di Genova però poi metto proprio uno stralcio del discorso di Paola stessa che ho potuto avere in originale e di cui sottolineo la precisione delle parole, pensate e pesate, essenziali per la verità dei concetti e poi anche i dati da lei allora forniti in modo più ampio.

Ecco i dati forniti da Paola Musso presidente del CAV di Genova per il 2003: sono tanti e provocano profonda tristezza anche pensando alle donne trascinate in questa scelta dolorosissima dell'aborto.

Mi ricordo che a quel Convegno organizzato dalla Cisl parteciparono bei nomi e anche due rappresentanti donna di nuovi insegnamenti: una docente di Psicologia di Comunità all'Università di Genova e una docente di Sociologia del Lavoro sempre all'Università di Genova, ma proprio pensando ad un'incauta frase ascoltata allora da parte di una relatrice sulla difficoltà della  madre lavoratrice "quando il padre non cambia il pannolino al bambino" mi sentii confortata solo dalla replica indiretta del cardinal Bertone. Questi ricordò sua madre in tempo di guerra con tanti figli (4 o 5, non ricordo) e i tedeschi cui doveva dar da mangiare nella loro casa e mai un lamento. Perché le conquiste della donna  non possono essere senza una vera assunzione di responsabilità e quella frase sciocca l'ho inserita alla pagina sulle ciciucì-ciciuciò.

 

      
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