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12. INDICE   AUTORI

Giorgio Cavallini    - La magia della Letteratura - Il Giornale 4 aprile 2013

Sara Ciampi nell'Agenda Helicon - Il Giornale 16 febbraio 2012

Sara Ciampi nel Saggio di Francesco Grillo e Poesia alla Mamma - Il Giornale 4 aprile 2013

Emy Pigureddu  - Di Nuvole e Granito - Il Giornale 26 ottobre 2012

Bernardo Pianetti Dellla Stufa: -  1) L'anima nello Scaffale - Il Cittadino 21 gennaio 2007

          "                 "                            2) Il Ritorno - Colloqui con il mio Angelo custode- Il Giornale 5 settembre 2010

Piero Vassallo  -  Biobiliografia - Il Giornale 30 settembre 2010

Sergio Pessot e Piero Vassallo  - Proscritti . Eroi e martiri che non sono nei libri di scuola. il Giornale 12 giugno 2011 (anche Pagina: "Politica: Sinistra, Destra")

Silvio Ferrari   -  Cento Camogliesi  Microstorie del XX Secolo - Il Giornale 20 gennaio 2011

Silvio Ferrari  - Non ci sono più nemici Il Giornale 30 agosto 2009

Il bene culturale operato da Silvio Ferrari: Genova e la Festa di San Biagio (anno sociale Dante Alighieri)

Claudio Papini    - Ben ritrovato Ernst Ingmar! Il Giornale 17 luglio 2011( anche nella Pagina "Cinema" e lì con foto Cattedrale di Chartres: Ange girouette du chevet e Vetrate con la Leggenda di S. Julien L'Hospitalier)

Giglio Reduzzi   - Viaggi - Il Giornale  31 dicembre 2010

Gilberto Salmoni    - Una Storia nella Storia - III Quaderno di Fossoli Sesttimanale cattolico 30 aprile 2006

Massimo Minella La Formula Lorenzelli Il Gionale 31 dicembre 2011

XXIV Cammeo: Giuseppe Benelli un "grande affabulatore" che fa diventare "oro" ciò di cui parla

Benelli ricorda Renzo Tolozzi: Lyceum - Settimanale cattolico 19 febbraio 2002 e Premio Bancarella: Lyceum  - Settimanale cattolico 28 novembre 2004

Renzo Tolozzi in prima persona su "Fatiche e gioie di un libraio" Il Giornale 28 settembre 1985

Emilio Biagini        - La nuova Terra - Il Giornale 4 gennaio 2012

Gian Paolo   Ivaldi  - Lessico dell'Alba - Romanzo Alchemico Il Giornale 27 dicembre 2009

XXV Cammeo:  1)  Giulio Cesare Giacobbe presenta le Lettere all'Istituto della Resistenza a La Spezia- 27 settembre 2009

2) Lettera all'ing. Ferdinando Carrozzi (accademico): Contro l'intolleranza!!!

E di Giulio Cesare Giacobbe da Come diventare un buddha in cinque settimane, la pagina 89 su "Il mondo della mente; il mondo della realtà".

Il gesuita Nazareno Taddei e il suo Papa Giovanni Paolo II e la cultura massmediale Il Cittadino 29 gennaio 2006 

Giuseppe Egidio Maniscalco   -Tre Stagioni- Il Giornale 3 settembre 2009

Tramonto a Carignano di Aurora Bafico: omaggio a Franco Bovio, amico di sempre che abita a Carignano.

Franco Bovio     -Equilibrio- Il Giornale 24 luglio 2009

    "            "           - Impegno- Il Giornale  4 febbraio 2012

Bruno Roatta    Dissertazioni sulla Poesia Il Giornale aprile 2010

Roberto Marzano   - Extracomunicante- dov'è finita la Poesia? -2011-

Gianni Romolotti Campanile. Tanto per dire - scopiazzando il mio amico Achille - racconti Recensione  M.L Bressani maggio 2014

La magia della Letteratura 

di Giorgio Cavallini

“La letteratura è lo strumento magico per eccellenza al fine di tramandare la memoria”, incipit della “Premessa” di Giorgio Cavallini al suo La magia della letteratura e i suoi autori (Stefano Termanini Editore).

Cavallini, un ottantacinequenne ancora così attivo che ci dà un libro all’anno, ci rammenta: “Se Omero non avesse scritto l’Iliade e l’Odissea oggi nessuno ricorderebbe i nomi di personaggi leggendari come Achille ed Ettore o come Ulisse; altrettanto vale per Virgilio, autore dell’Eneide, o per Catullo, il cantore immortale di Lesbia”. La sapienza del suo insegnamento si coglie già nell’aver inserito in questa triade di padri antichi proprio quel Catullo del “lepidum libellum” (come lui stesso aveva definito con modestia la sua opera) che però canta le contraddizioni d’amore come nessun altro ha saputo fare.

Del nostro “maestro” in questo viaggio letterario bisogna anche considerare un tratto del carattere che Raffaele Giglio mette in luce nella sensibile “Prefazione”. Di lui, Giglio, sottolinea come sia alle sue “Lecturae Dantis” a Cava dei Tirreni sia a Pienza, a Genova, a Napoli, a Bocca di Magra, in tutti i luoghi dove, di recente,  ha trasmesso la sua indagine stilistica su autori di ogni tempo, prima abbia  sempre dato una stretta di mano a tutti i presenti.

Giglio mette ancora in risalto come nel capitolo del libro dedicato alle Avventure di Pinocchio Cavallini entri in prima persona (e se ne scusi) per ricordarci che “la storia del burattino di legno trascende i liniti della letteratura rivolta all’infanzia; anzi, ci offre un quadro della situazione sociale in un’Italia povera e contadina”. Quanto allo stile di Collodi, Cavallini annota la “ripetizione espressiva di alcune parole”, “il parlato” perché “sotto la spinta dell’elemento fonosimbolico ed evocatore” ai nostri occhi si materializzano “sequenze di movimento”, fin “scorci cinematici di movimento”.

Ecco la dimostrazione che il libro nasce dall’incontro di due stili, dello studioso e comunicatore professor Cavallini e gli stili da lui individuati sia nella fiaba popolare di Collodi come in Dante, Leopardi, Alfonso Gatto, Raffaele La Capria, Elio Andriuoli, Clara Rubbi (gli autori di questa sua indagine critica).

Ecco dunque che ci fa comprendere come la magia della Letteratura consista nell’uso del linguaggio che si fa “stile” dell’autore. Ci rende vera la frase “non è tanto importante ciò che si dice (da non intendersi come diminuzione del contenuto)  quanto come lo si dice”, e ciò è appunto lo “stile” (che dà risalto al contenuto).

In questa lettura il primo esempio che  Cavallini ci offre  viene dal celeberrimo episodio di Paolo e Francesca in Dante. Si riferisce all’uso del verbo ricorrente tre volte: “leggiamo” (v. 127) riferito al libro in cui è raccontato l’amore di Lancillotto e Ginevra, “leggemmo” (v. 133) per il momento decisivo del bacio, “più non vi leggemmo avante” (v.138)  per il peccato (tecnica allusiva del non detto) su cui Francesca interrompe il racconto stendendo un velo di riserbo e pudicizia. Un alto insegnamento in questo nostro tempo di panni sporchi lavati in pubblico con la cloaca delle intercettazioni che non ci risparmiano alcun “non detto”.

I saggi critici del libro ci fanno apprezzare la profondità di Cavallini, ma voglio ricordare per motivi di spazio solo l’ultimo saggio dedicato ad Alzare le vele – Viaggio della mente oltre il confine (Type & Editing) di Clara Rubbi, presidente del Lyceum genovese. Il libro ci proietta alle apparenze allusive di Shakespeare in Amleto (parafrasando a memoria) del “c’è molto più in cielo e terra ...”  A molti di noi capita  di toccarlo con mano attraverso suggestioni, specie dal mondo dei nostri cari che più non sono. In questo libro il legame tra nonna Ida e la nipote Clara Rubbi si precisa in un sogno profetico di Clara sulla di lei morte (9 luglio 1944) e, con esattezza di data, cinquant’anni dopo, un altro avvenimento inaspettato: il rifiorire miracoloso di quelle ortensie, tutte tagliate per ricoprire la nonna morta.

Nel libro Cavallini individua “una pluralità di registri” (narrativo, fiabesco, fantascientifico, profetico) pur nella semplicità del limpido dettato dell’autrice. Lo definisce: “Un libro classico e moderno, ricco di fascino a leggersi e ancor più a rileggersi”.

                    Maria Luisa Bressani

 

 

  Sara Ciampi nell'Agenda Helicon

Sara Ciampi nel saggio di Francesco Grillo

e Poesia per la Mamma

In attesa della prossima raccolta di poesie che uscirà dopo l’estate Sara Ciampi (di nuovo candidata al Nobel per la poesia e dal lontano Ohio) ha ricevuto uno splendido saggio critico da Francesco Grillo (Ediemme – Cronache italiane). Nel 2011 Neuro Bonifazi le dedicò una monografia, di sensibile introspezione,  e su di lei hanno scritto  - perle che stanno formando una collana - Rodolfo Tommasi, Giovanni Nocentini, Giorgio Luti, Lia Bronzi, Marco Delpino e altri, ma questo saggio sembra di più ancora. Nasce dall’incontro di due poeti. Grillo, che insegna a Napoli all’Università Parthenope, si è distinto nella critica e nell’insegnamento di scrittura creativa. E’ giovane come Sara, giovani tra i nostri giovani. Con parole sue, ciò che ha sentito per lei: “Un incontro folgorante, come scoprire una fonte d’acqua sorgiva nel deserto di pubblicazioni che quotidianamente invadono le librerie”. Ne ha scovato “Gocce di tristezza” in una Libreria “La baia di Napoli”, forse l’ultima in quella  città a proporre non pensando solo alla commercialità. Per Sara, le cui liriche sono inserite nel Centro Mondiale di Poesia a Recanati e che il Biographical Centre e l’American Biographical Institute più volte hanno incluso nelle pubblicazioni, ritenendola tra gli esponenti letterari più eminenti,  conia la definizione: “Scrittura ciampiana”.

Ne enuclea peculiarità: “Flusso di coscienza in cui l’anima si mette e nudo su un foglio”, assumendo sempre “il punto di vista dei protagonisti” delle storie narrate. Sara, solitaria come tutti coloro che volano alto, vuole aprirsi al prossimo. Punto focale della sua poesia, individuato da Grillo, è la “sofferenza tra sogno e abisso, fragilità dell’essere, incendio lirico che con il suo calore vuol superare la negatività della vita”. Scrive Sara: “Si rinasce ogni giorno, amando, soffrendo, lottando”, rincorrendo “il profumo della vita in un labirinto di vetro”. L’immagine ci riporta al suo “Lacrime – Tränen”, (Carello Editore, 2012), lacrime sue  ma anche nostre, che brillano con una moderna luce di Svarowski. La poesia di Sara è “sacra rappresentazione della vita scandita dalle sue stagioni” con un messaggio finale di speranza. E’ medicina dell’anima e in questo senso vanno lette  sue liriche civili: “11 settembre 2001” (distruzione delle Twin Towers), “Unità d’Italia”, imperniata sulla memoria storica dello Stato che si chiama Patria e che nel Risorgimento costruì l’identità nazionale oltre i particolarismi campanilistici. Resistono tuttora intolleranze come quella, da lei condannata, del “G8” a Genova, su cui Sara ha scritto nel 2006 un libro di saggistica: “I giorni dei cristalli”. Un richiamo storico non a caso se, quando su queste pagine il 27 febbraio scorso è comparsa la sua poesia “Olocausto”, le  è arrivata una minacciosa telefonata: “Zio Adolfo è ancora vivo”. Ma la nostra tradizione di tolleranza, come ci ricorda Grillo, risale a Dante, che pur esiliato, ci ha detto: “Amor e cor gentile sono una cosa”, ricordandoci la nostra nobiltà d’animo oltre ai settarismi.

Grillo ricorda versi di Pascoli a spiegare perché la si definisca poetessa tradizionale: “Veder nuovo e veder da antico, e dire ciò che non s’è mai detto e dirlo come sempre si è detto”. Ci ricorda per lei una riflessione di Virginia Woolf: “La bellezza del mondo ha due tagli, uno di gioia, l’altro di angoscia, e taglia in due il cuore”.

Ebbene, Sara per i 65 anni della mamma, Lilia Capozzi (che a sua volta ha dedicato alla madre un libro Alba Valech Capozzi A.24029, numero con cui  fu marchiata all’arrivo nel lager di Birkenau), le ha dedicato quest’anno una poesia per i  75 anni. Ne trascrivo versi perché il lettore li apprezzi: “Mamma, fonte di fede e forza inesauribile/ anche quando perle di pianto/ solcano il tuo bellissimo volto”, e questi che la rappresentano nella sua vivacità moderna: “Nei tuoi occhi brillanti risplende gioiosa/ una luce di gioventù mai spenta,/ o mamma, donna orgogliosa, intelligente e ribelle/ avvenente, vanitosa e ridente”.

Sono versi per tutte le mamme che hanno saputo esserlo facendosi amare dai figli (e presto sarà la Giornata della Mamma). Penso che se li avesse conosciuti Luigi Santucci li avrebbe inclusi nell’antologia “Poesie alla Madre”, curata nel 1969 per Mursia con parole d’amore di poeti da tutto il mondo. Me la regalò la mia quando aspettavo un figlio. A memoria  ricordo dal “Kaddish per Naomi Ginsberg”: “Non più sofferenza per te. So dove sei andata, si sta bene. / Non più fiori nei campi estivi di New York, non più gioia adesso”. E Allen, ricordandola viva, in una primavera (come resta ogni mamma nei cuori): “O tu dal viso Russo, donna sull’erba, i tuoi lunghi capelli neri sono incoronati di fiori”.

                     Maria Luisa Bressani Ferrero

 

Molti critici di vaglia hanno scritto su Sara Ciampi, giovane poetessa, più volte nella Rosa Nobel per la poesia (anche quest'anno).Mi è capitato di leggerla più volte sempre con interesse e in testi mai ripetitivi. Qui riporto della critica voci che sembrano nate per lei e per meglio presentarla.

Di nuvole e granito di Emy Pigureddu

La lirica “Sarda Tellus”, vincendo il Concorso Letterario “Le stagioni del cuore”, ha avuto come premio la pubblicazione del libro in versi Di nuvole e granito della sua autrice, Emy Pigureddu. La raccolta, edita da  Print Me (Taranto), è divisa in gruppi di dieci poesie per ciascuno dei quattro elementi: Acqua, Aria, Fuoco e Terra, metaforicamente intesi in corrispondenza alle stagioni. L’Acqua, il primo, s’identifica con l’autunno, movimento e trasformazione da cui scaturirà un raccolto; l’Aria, corrispondente alla primavera stagione di nuvole e sogni, ha in seno germogli di crescita... “Ognuna delle liriche è come un ‘biglietto obliterato’ alle stazioni della vita” ci spiega nella prefazione Virginia Murru, giornalista e scrittrice dell’Olgiastra. L’impeto dei versi è cadenzato da foto di Mario Piga, il marito (sito: PiccoloMondoAntico.info). Sono immagini marine di albe e tramonti infuocati, sono fiori di campo gialli e viola, sono farfalle, api e libellule viste attraverso la lente di un botanico,  sono rappresentazione di un mondo rurale sardo con vecchiette che filano con il fuso o la fiera donna in costume, tanto somigliante all’autrice. Il risultato è un libro originale, raffinato.

Per capire l’amore di Emy per la Sardegna alla lirica premiata si affianchino i versi: “Fiera... la mia gente che mangia orgoglio come pane quotidiano e dignità sofferta porta stretta nella mano”. Versi inseriti nella sezione “Fuoco” che indica azione, passione, rabbia, perché l’autrice come racconta nella lirica premiata fu portata a Genova a quattro anni. Piccola bimba, impaurita del cambiamento, si sentì sradicata. “L’esilio di città matrigna, ingoiato per diventare grande lascia in bocca il gusto dolce-amaro di mandorle schiacciate sotto il grande ulivo”.

Da Genova, dove aveva intrapreso gli studi classici, diplomandosi poi da segretaria d’azienda per occuparsi dell’industria paterna, ripartì nel ’91. In quel momento capì quanto la nostra città le fosse entrata in sangue. “Ora sei mia” è il titolo delle parole che le dedica: “Mia Genova, che hai cresciuto un po’ del mio cuore”.

Pigureddu, fin da ragazzina e per quarant’anni, ha coltivato la poesia, ottenendo importanti riconoscimenti, sempre incoraggiata dal marito anche nei momenti di secca creativa. A lui ha dedicato quest’opera matura e i versi: “Tramontana nei capelli, la domenica in riva al mare, una canzone nelle orecchie, per aver la tua ombra tre passi dietro di me”. Omaggio riconoscente a lui che ha saputo accompagnarla.

La forza del libro è in due fattori. L’impeto dei sentimenti, come in “Figlia che vai” o nel saluto al “Padre” che chiude la raccolta, paragonato, in modo non agiografico, al corvo appollaiato a sera controvento, su un filo. E il secondo fattore è l’armonia di colori e sensazioni profumate, fin dall’apertura con “Immagini” dove troviamo “la porpora delle foglie di ciliegio, il grano fragrante, il vento odoroso”.

I sentimenti racchiudono anche la tentazione di un amore che poteva essere ma la donna, pur conquistata, non ha voluto per non tradirsi. Mentre lui parte lo saluta con “Una rosa rossa”. Riguardano un amico sleale in “Randagio”: “A galla rimane un cuore di latta mentre randagio riprendi la via!” Sottolineano l’attimo di paura, l“Eterno secondo”, di fronte ad un capovolgimento inaspettato, la morte possibile, in cui “è leone il coraggio...ma graffia e fa male”.

La lirica più anticonformista, moderna, tra tutte  mi sembra “Un’altra donna” con poche righe  illuminanti di premessa: “Quando si ama una persona di lui si ama anche il suo passato dove sono presenti le orme di un’altra donna”. “Una donna speciale,- dice -, se ancor oggi all’interno della nostra famiglia, esistono tracce del bene che ha saputo lasciare”.  Conclude: “E nel silenzio di notti di luna quando insieme si muore di vita mi par quasi d’averla vissuta tutta la terra dei campi di grano di un’altra donna di vento e di sole”.

Un libro trascinante, da far scorrere dentro di sé.

                         Maria Luisa Bressani

 

Ho voluto proporre con Emy Pigureddu (nella scelta degli Autori per questa pagina) un'altra poetessa oltre a Sara Ciampi che è in predicato per il Nobel, ma i versi di Emy hanno davvero una gran forza e coinvolgono: la poesia è dono di pochi e come diceva Holderlin se Poesia e Filosofia sono due vette della conoscenza la Poesia sta delle due più in alto per una maggior capacità di verità e penetrazione nel mistero di noi e dell'universo.

Di Pigureddu ho scritto cosa mi è piaciuto ed in particolare mi sembra significativa la lirica prima riportata (con foto di fiori del marito Mario Piga) dedicata ad "Un'altra donna". Oggi assistiamo spesso nelle case, nelle famiglie allargate o in quelle funestate da un lutto precoce, all'inserirsi di un'altra figura femminile e al risorgere di quel conflitto che investiva due donne nella stessa casa e caratterizzava l'antico rappporto, ad es., di suocera/nuora.

Questa poesia, benché non mi azzardi ad ipotesi su chi sia "un'altra donna", invece presenta quell'apertura del cuore tipica di Emy Pigureddu, soprattutto dà il riconoscimento al bene che un'altra donna può aver fatto in una famiglia:  mi sembra una gran conquista di civiltà.

Biobibliografia di Piero Vassallo

Per il libri del Peralto  è uscita Biobibliografia di Piero Vassallo: da non perdere, per suggestioni e testimonianza.

Mi spiego: le suggestioni iniziano dalla copertina. Vi campeggia una penna stilo con la sua ombra sul bianco che fa pensare al detto “ne ferisce più la lingua che la spada”. La penna infatti è estensione della lingua, ma con effetto più duraturo e nella foto sembra la canna di una pistola puntata.

Se scorrendo le 90 pagine, per curiosità si va alla fine incontriamo in una decina di facciate qualificati giudizi critici sull’autore. Illustri i nomi perché Vassallo scrivendo ha stimolato persone di cultura. Ne seleziono due indicativi. Del direttore Lussana, nel maggio scorso alla presentazione di Itinerari della destra cattolica, con il suo consueto fiuto per le persone di valore: “Vassallo è uno dei pochi uomini di cultura genovesi che quando parla dice”. Di Emilio Artiglieri in “Le radici della destra” (in “Riscossa cristiana”) assai ben dettagliato: “Le posizioni sono chiare: o a destra, ossia con il diritto naturale, il principio di realtà, la cultura della vita e della ragione, di una ragione che sa allargarsi verso la trascendenza o a sinistra con gli avversari del diritto naturale, della dignità razionale della persona, con gli sconvolti, con gli insofferenti dell’ordine, gli infatuati dell’utopia, dallo sciagurato mito del mondo nuovo, che poi sarebbe anzi è stato nient’altro che l’inferno sulla terra”.

Un’altra suggestione,  se si torna all’inizio per una lettura più metodica: nella “Nota Biografica” l’autore racconta come prima d’andare a scuola abbia imparato a scrivere in stampatello e diventato scolaretto si sia scontrato con “implacabili maestre amanti del corsivo”. Acquisì da allora il “conflitto con la pedanteria”.

E ancora un’altra forte suggestione sul carattere dello scrittore: per un’infanzia tribolata dalla guerra e un deficit nozionistico accumulato nelle scuole di montagna, nell’adolescenza ha ripercussioni sulla salute  che gli fanno cercare gratificazioni e compensazioni nello sport. Ottiene risultati molto promettenti nella corsa veloce. Con questa notazione ci dà una chiave del suo carattere. E’ rimasto uno scattista che brucia l’energia in un fiato, che getta il cuore oltre il traguardo”. Nel tempo la sua scrittura si è forgiata in battute fulminanti, introspezioni  politiche e filosofiche: sono un fendente, uno sparo a bruciapelo.

Tra l’inizio e la fine della Biobibliografia un lungo elenco di “Opere, opuscoli e saggi in volumi di autori vari” -68 titoli-, poi “Articoli pubblicati su quotidiani, riviste e siti internet” (più di 300 titoli), quindi altri su riviste e settimanali, 1000 o più perché ho smesso di contare. Non solo numeri, ma prestigio di pubblicazioni ospitanti, soprattutto un’alta coscienza del nostro vivere che si fa testimonianza. Pietre miliari alcuni autori esplorati, storici come Vico, moderni come Cornelio Fabro, Giano Accame, “capace di trasmettere il fascino delle idee ad una destra giovane e ignorante”, Gianni Baget Bozzo (“La taciuta eredità”), Sciacca che operò “la rinascita spirituale d’Italia”, Adriano Bausola “lucido testimone del fallimento della modernità”.

E Vassallo scrive sulla “demistificazione del gramscismo” di Noventa, il veneto che si unì agli “intellettuali” polarizzati ad Ivrea da Adriano Olivetti. Non solo, indaga Papi, Cardinali, Politici e Riviste. Racconta della solitudine di Wojtyla, di Taviani “rovinoso interprete dell’opportunismo democristiano”, di “Micromega pungiglione della sinistra mortuaria”, del “cesarismo di Berlusconi”, dell’“incresciosa verità su Fini”. Anche di “Mammine sessantottine” e della “Monroe di Miller”. Da giovane alla rappresentazioe di Dopo la caduta che il drammaturgo e ex marito le dedicò rimasi scioccata.

Vassallo (italiano vero!) ci rammenta l’“Olocausto dei pugliesi di Crimea”. Mi sembra sia doveroso un “Grazie!” per ciò che -con tanta intelligenza- ha scritto.

(Biobibliografia, supplemento Rivista Tradizione, diretta da Angelo Ruggiero, via Pianell 47, 20125 Milano, o si può richiedere a Piero Vassallo, corso Magenta 23/35)

 

                           Maria Luisa Bressani

 

Proscritti

di Sergio Pessot e  Piero Vassallo

“Si è puniti soprattutto per le proprie virtù”, riflessione di Nietzsche che apre la prefazione a Proscritti di Sergio Pessot e  Piero Vassallo (NovAntico Editrice in Pinerolo). In termini di vulgata del concetto viene in mente una canzone  sanremese: “Se sei bravo ti tirano le pietre”, ma la differenza tra oggi e ieri, ben più profonda, è evidenziata da Fabio De Felice, il prefatore: “Mai fu tanto vero come nel regime democratico nato dal tradimento e dall’asservimento allo straniero”. La differenza, con parole del prefatore, va al cuore di ciò che non si scrive nei libri di testo scolastici: “La parte nobile della popolazione italiana, quella che ormai per quasi un secolo (dall’interventismo e dal futurismo) ha rappresentato l’anima della Nazione, il suo eroismo e la sua luce intellettuale, è stata massacrata, calunniata, irrisa dai peggiori elementi partoriti da un’epoca di dissoluzione”.

Il libro è una galleria di ritratti psicologici: undici protagonisti “della cultura vietata” e, nella seconda parte quattordici “eroi proibiti” a rappresentare in Liguria la bell’Italia d’idee e onestà.  Protagonisti però  “massacrati” causa il diverso clima politico, come ben espresso da Adriana Orrigone, ausiliaria della Rsi: “Quale crimine abbiamo commesso per subire quanto abbiamo subito?”

Troveremo da parte di uno dei protagonisti dei ritratti, Giuseppe Delpino, questa definizione sui democristiani: “camaleonti e cleptomani”. In breve,  scorrendo le pagine c’è da sorridere seppur amaramente e molto da riflettere. Il merito di Pessot e Vassallo è che nella nostra città “rossa” ci hanno ricordato questa belle persone “angheriate” del “famigerato” fascismo d’antan non di quello “sdoganato” per i “Fini” e da Fini tradito. Resto convinta  siano da ascoltare i “testimonia temporum” prima di storici ideologizzati, a ognuno poi il giudizio personale.

C’è una grande pagina, penso scritta da Vassallo (avendone recensito altri libri), la 79, dove dalla premessa “la storia la scrivono i vincitori” si addentra nel triangolo di tre potenze antiche: i persiani, vinti dai greci a loro volta vinti dai romani; i persiani mostrarono ai greci le vie dell’universalismo che, attraverso i greci, conquistò le menti dei romani. Alla lunga vince la verità delle idee.

Un’altra riflessione qualche pagina dopo: “La storia non sopporta il peso delle negazioni perdenti, ma non riesce a tacitare le verità infiltrate e nascoste negli errori dei vinti”. Queste parole riguardano un drappello di fascisti “messi lestamente al muro e fucilati” dai partigiani nel marzo 1945. Tra loro Piero Sassara. Un proiettile gli passò da zigomo a zigomo, mentre gridava “Viva l’Italia, viva il Duce”, ma si salvò. Conclusione: “La pietà del pensiero è il motore clandestino degli storici a futura memoria”. Ecco nella storia  è bene non fare il conto senza l’oste perché arriva il momento del riscatto grazie a chi, preparato e sincero, sa leggere più limpidamente fatti antichi.

I ritratti di questi “vinti” iniziano con il cappuccino Fra’ Ginepro, “il legionario con il saio”; ripropongono personaggi come Giano Accame che interrogato sulla sua “fede”, rispose: “Credo nell’eroismo”, e come un altro Accame, il poeta “scorretto” Franco, definito in un titolo che ce ne ridà il carattere “la sapiente radice dell’anticonformismo”. Colpisce nei ritratti un nobile individualismo (incociliabile quindi con il collettivismo comunista) di persone venute da storie diverse, molte di famiglie non abbienti (a sfatare un luogo comune). Troviamo Arillo che salvò il Porto di Genova, minato dai tedeschi, e che grazie a lui il 25 aprile fu consegnato, salvo dalla distruzione, alla Xa Mas. Anche il pensoso Marcello Frusci. Il sottotitolo del suo ritratto  “Il destino e le foglie” allude alla sua casa, con vista su Portofino, dove il vento aveva accumulato sul pavimento foglie d’autunno secche (lui era troppo malato per pulirle) e dove si ritrovarono tanti fascisti: belle persone, tutti con interessi diversi. Troviamo Roberto Garufi, in carcere a Regina Coeli con Giorgio Albertazzi, che anni dopo lo ricorda con commozione. Troviamo Giovanni Battista Bibolini, uomo di “generosità illimitata”.

Non mancano due storie drammatiche di ausiliarie della Rsi e un giudizio di Pierfrancesco Catanoso sulla battaglia persa per la donna della legittimazione dell’aborto (non la depenalizzazione, si badi bene): “Il popolo ha votato l’aborto, l’aborto rimane un triste delitto”. Pensando alla donna il libro si chiude con la storia di Noemi Serra, vedova Castagnone, “un’Antigone moderna”. Fondò l’Associazione delle Famiglie dei Caduti della Rsi. A Staglieno ne difese più volte le tombe (campi 43 e 44) su cui si scagliavano i “rossi” (la teppaglia di questi, certo) devastandoli a calci e orinandovi sopra.

                        Maria Luisa Bressani

 

 

Politica: sempre in primo piano perché condiziona la vita di tutti. Perciò ora inserisco alcuni autori politici pur se non hanno le stesse idee ma tutti così importanti che ne metto due testi.

Bernardo Pianetti della Stufa con due testi L'anima nello scaffale e Colloqui con l'Angelo custode,

Piero Vassallo  con la sua Biobibliografia  che lo comprova come autore non solo di spicco anche di lavoro indefesso. Scelgo poi tra i suoi molti testi la dolente epopea Proscritti che mi ha fatto conoscere un mondo cancellato e dimenticato proprio a causa della politica ad esso successiva.

Silvio Ferarri anche lui con due testi (ed è l'autore le cui idee divergono dai precedenti e com i quali io stessa mi sento più in sintonia)

Cento Camogliesi - Microstorie del XX Secolo

di Silvio Ferrari

La marchesa Adelia De Ferrari, proprietaria del Cenobio dei Dogi, è stata il primo datore di lavoro di Silvio Ferrari, cui “ordina” (1966) di dar lezioni al nipote: “La conosco, non le chiedo che d’insegnargli l’educazione e qualche valore come la serietà dell’impegno quotidiano, non solo nello studio”. Diede così credito al giovane segretario della sezione del PCI di Camogli. E ricordandola ora in Cento Camogliesi – microstorie del XX Secolo (Ancora) Ferrari ammette di aver avuto da lei un contributo a sbarazzarsi di pregiudizi ideologici sulle “ritorsioni” verso chi sta dall’altra parte.

Un altro contributo lo ebbe da Paolo Arata (un piccolo impresario detto Gambino), quando gli raccontò come Riccobaldi, padrone del retificio di Camogli, avesse incominciato “a menargliela sulle idee comuniste” e Arata avesse chiamato i due muratori con lui per andarsene. Riccobaldi lo rincorse con un “stavo scherzando”. Un altro esempio, “dall’altra parte”, di rispetto per le idee.

Nel libro ai ritratti di 99 camogliesi che riposano “a Genovesi”, il cimitero che prende il nome dalla spiaggia sottostante, si affianca quello di Ferrari stesso. Il lettore è contento di questa sintesi di opere e studi dell’autore che -con rigore e serietà- ha contribuito alla vita pubblica di Camogli e Genova. Nell’augurargli lunga vita, il lettore apprezza l’estendersi dell’umanità che cresce con gli anni.

Tra i “flash” autobiografici alcuni sono dedicati alla famiglia Ferrari che contò in 500 anni di storia di Camogli, alcuni dedicati a suo padre, Bai Ferrari, fulminato da una meningite a Città Sant’Angelo (in provincia di Pescara) dove era in visita al cognato, internato civile in un campo per antifasciti croati.

Bai Ferrari, che il figlio nato a Zara nel ’42 quando questi era già morto, definisce una “simpatica leggera”, era andato in Dalmazia per dare una svolta alla sua vita e là in pochi mesi si era fidanzato e aveva sposato nel 1941 Milka Radulić. Silvio definisce la madre “negazione di ogni stravaganza, di ogni trasporto, di ogni trasgressione erotica o anche solo sentimentale”, quindi non si capacita della scintilla che scoccò tra lei e l’estroverso padre. Penserebbe diversamente se avesse letto parole di Guido Miglia sulle donne slave di allora (in Istria i sentieri della memoria, raccolta di suoi elzeviri sul Piccolo, 1970): “Donne che non si riposano mai, preparano tavola per gli altri e stanno in piedi, in silenzio, pronte al servizio...” Deve dar atto al padre di vista lunga su una compagna di carattere, che nel ’48 optò per l’Italia e Camogli per allevarvi lui bambino e dove per sostentarsi si adattò a fare la domestica. La ricorda quando una volta l’anno tornava da una visita nella sua terra, “carica” per gli amici di olio, fichi secchi, mandorle, sardine, tonno in scatola.

Nel libro si sente anche vibrare la passione di Ferrari  per quella terra dell’infanzia, quando ricorda slavi divenuti camogliesi come Vittorio Favretto (Pocekaj) o ricorda luoghi incantati come Umago. Ferrari ha tradotto scrittori e poeti serbi, croati, bosniaci. Dopo essersi laureato in lettere mantenendosi agli studi con supplenze al Nautico di Camogli, dal 99 al 2006 è stato docente di lingue e letteratura della ex Jugoslavia all’Università e da assessore alla cultura quando gli capitò di far rappresentare una sua “pièce”, l’ingresso era gratuito a differenza di altri che profittarono della fama politica.

Tra i camogliesi da lui ricordati: Ferrando Caffarena, nella cui casa andava a vedere la Tv, che definisce con affetto “uno scampolo” d’immagine paterna. Cresciuto con la fede nel PCI ricorda avversari o compagni politici, soprattutto la responsabilità sociale, in quanto segretario, verso i vecchi del partito, ormai isolati. Grazie ad Eraldo Olivari (sepolto a Ruta) ha conosciuto il fiore dell’antifascimo europeo: Teodorakis, la Mercuri, Panagulis protagonista di Un Uomo di Oriana Fallaci che un giorno le telefona felice e scherzoso per essere eletto e quindi poter realizzare “idee che sono più potenti delle bombe”: “Sono deputato, sono disonorevole”.

Ferrari ci commuove con la storia di “Tino” Viacava dai piedi congelati nella campagna di Russia che non poggiava più a dovere, di Ruggero Chiesa risanato dal dono paterno di una chitarra, e -con orgoglio- di Gianni Maggio, decano dei tassisti, quando gli disse “mia madre vota per te!”

Ci riferisce un lapsus del Rettore del Santuario del Boschetto quando voleva dire “pregate per la conservazione” dell’Arcivescovo e gli scappò un “per la conversione” alla presenza di Siri.

C’era chi avrebbe voluto che Siri abdicasse alla sua austerità di fede, idee e personale. Nell’82 gli chiesi se di ciò che gli attribuivano sentisse più suo il rigore o la paternità. Con un sorriso lieve mi rispose: “E’ irrilevante, so solo che ho una faccia sola, mai due”.

                  Maria Luisa Bressani

 

  

Non ci sono più nemici - 15 scritti degli ultimi quattro anni

di Silvio Ferrari

“Esser uomo fra gli umani/io non so più dolce cosa” versi dalle Fughe di Saba, cui Silvio Ferrari, intellettuale impegnato, politico e scrittore, ha attribuito “un impegnativo proposito di vita”. Li scoprì seguendo un consiglio di Franco Croce: “Legga più avanti, anche oltre le raccolte di cui si vuole occupare” e si era infatti laureato sulle Poesie giovanili del poeta triestino. A Franco Croce in Non ci sono più nemici  (De Ferrari), per un Incontro-ricordo proposto dal gesuita Padre Millefiorini, è dedicato il primo dei “15 scritti degli ultimi 4 anni”, che è il sottotitolo dell’opera. Di Croce, del cui pensiero offre “flash” attraverso pubblici impegni o conversazioni, Ferrari dà una connotazione: “un’attraente superiorità motivata dalla conoscenza e dalle convinzioni ideali laiche e moderate”.

Lontana dai versi di Saba, pur se in tempi meno difficili, la frase dell’amico V.T., ricordato quasi a fine libro per il minuto di commemorazione nel Consiglio della Fondazione Carige, di cui ha fatto parte come ne fa parte Ferrari: “Il mondo che lascio alle mie figlie mi fa paura”. E’ l’unico segnale al suicidio di V.T. che quel giorno gli viene in mente dopo la consueta passeggiata nel centro storico fino a Santa Sabina. Vi si era recato per sbaraccare il suo ufficio presso l’Istituto di slavistica e gli rimane il rimpianto di lasciare il Dizionario in lingua serba fermo alla lettera “p”. Quella passeggiata gronda amore per Genova: dalla descrizione dei bei visi ammiccanti alle finestre delle latino-americane (quasi apparizioni femminili nelle quinte del San Sebastiano di Antonello da Messina) a Vico Untoria dove si potrebbero girare un film di guerra o uno d’attualità sul nuovo meticciato genovese: genovesità storica più l’istintiva aggressività dei nuovi arrivati.

Il libro è percorso da un altro amore: per Zara, dov’è nato. Sospeso tra due culture ha maturato la coscienza che nella Repubblica Federale Jugoslava, fondata nel 1943 e cancellata dalle seconde guerre balcaniche (1991-95), la Croazia abbia costituito un tessuto sociale di cui fanno testo i Giochi  sportivi ed europei di Dubrovnik (Ragusa) utilizzati per reperire fondi per il sistema scolastico. Di qui la critica ad Enzo Bettiza, definito “gran signore borghese” (quindi incapace di capire), per il libro Dalmazia – Il Paradiso perduto, che ritiene sia una terra usurpata dagli slavi.

Come “parte migliore dell’immagine del suo Paese nel mondo” nel libro campeggia il generale serbo, Jovan Divyak, che andò contro la sua serbità per difendere i più deboli, assediati in Serajevo (Bosnia), e continua l’opera per i bimbi bosniaci. Nel libro tante cose importanti: l’Arte, il Mediterraneo, il Teatro. Politicamente riflessioni sul terrorismo, sulla mafia, fin la critica al Pd, sua parte storica per le radici. Nelle stilettate alla maggioranza di oggi  “scapriccia” come all’impatto con l’Italia, quando nell’esodo (14 luglio 1948) a Trieste, alla stazione dei pullman la madre croata lo invitava a parlare in italiano, lingua del padre di cui era da poco orfano. Il bimbo gridò in croato: neću - non voglio!

                               Maria Luisa Bressani

 

 

 

Ben ritrovato Ernst Ingmar!

di Claudio Papini

“Si racconta che in altri tempi la cattedrale di Chartres colpita da un fulmine bruciasse da cima a fondo. Allora, dicono, migliaia di persone accorsero da tutti gli angoli del mondo, persone di tutte le condizioni. Attraversarono l’Europa come uccelli migratori, tutti insieme ricostruirono la cattedrale ma il loro nome rimase sconosciuto.” L’episodio è in una nota (la n.176 a p. 86/87) dell’affascinante saggio di Claudio Papini Ben ritrovato Ernst Ingmar! (De Ferrari).  Chi vuole quest’estate far qualcosa per sé, per pensare, sognare e capire, lo legga.

Bergman con la “favola vera” di Chartres raccontava come l’arte avesse perduto significato da quando si era separata dal culto, ci ricordava una “collettività creatrice capace di salvare le gioie della comunità”. Il suo è stato anche un credo scandinavo nella forza di valori condivisi che innervavano una relativa sicurezza dei rapporti sociali. “Finché lo sviluppo più intenso di forme d’immigrazione, costituite da popoli di culture del tutto differenti non la verrano scuotendo (o per più tratti revocando in dubbio)” è in proposito la riflessione dell’autore. Anzi, a fine saggio, Papini ci ricorda come “l’eternità umana di Bergman continui a sorprenderci” per la densità di significati di fondo della sua opera e come “quell’area culturale che fu un tempo periferica sia riuscita a rendersi centrale, perché un tempo fu più vicina al centro di quanto allora lo fossimo noi”.

Nelle sue opere, per lo più filosofiche (ma al tempo stesso letterarie per uno spaziare nella cultura di un’epoca), Papini connota il protagonista attraverso fatti nodali della sua vita.  Nel ‘68 Bergman,  sotto gli occhi del figlio, fu cacciato dalla scuola statale d’arte drammatica. Aveva dichiarato che i giovani allievi avrebbero comunque dovuto impadronirsi della tecnica di recitazione e questi lo fischiarono sventolando il libretto rosso. Il regista, pur consapevole che il suo lavoro non ne ebbe gran danno perché il suo pubblico era altrove,  ebbe a dolersi che solo in Cina e in Svezia i maestri fossero stati umiliati e irrisi.  Sentì il “risorgere di un fanatismo conosciuto nell’infanzia quando le idee sono burocratizzate e corrotte, quando s’instaura disinformazione, settarismo, intolleranza”. “Ben ritrovato – scrive nel titolo Papini e dà la sua interpretazione di queste parole che valgono per noi tutti nel senso del “quanto è attuale quest’uomo” (che ha girato film dal tempo di guerra con “Spasimo” nel 1944 al 2003 di “Sarabanda”),  o anche per come ci sembra simile, oggi, quel clima intollerante.

Come tutti quelli di Papini questo è un alto libro politico. Ad esempio, citando il film “Ciò non accadrebbe qui”, osserva: “E’ impensabile che in un paese d’Europa non controllato dall’URSS si dovessero fare solo film antifascisti”. Osserva: “Si possono fare film di destra o di sinistra del tutto riusciti e così altrettanto film antifascisti e anticomunisti di valore”. In questa serenità, un motivo in più per leggere.

L’analisi si svolge su due piani: sui grandi temi, scandagliando i film in sette capitoli, e su Bergman, uomo ed artista nella sua solitudine, aristocraticità e fantasia.

Sul primo versante ecco il teatro come arte politica, un equilibrio tra atteggiamento cristiano e pagano, il paradosso del male nella creazione divina, il perché arte e filosofia non trascinino le masse al contrario di religione e politica. L’indagine sul rito (risalendo al teatro greco), su fiaba, su esoterismo e sull’esoterismo nella cultura ebraica, sulla psicoanalisi che si affermò dal dopoguerra al 1968 (anni del suo grande cinema); sui sogni degli uomini che riflettono lo spirito del tempo. Tutti questi non come temi slegati ma per far emergere una comune attinenza al mondo del perturbante.

Per Bergman uomo vale una sorta d’identificazione con il “buffone” che ride e deride ma è anche “colui che cerca Dio”,  e l’analisi su “amore dell’artista” che è sacrificio di sé ed egoismo verso altri della famiglia. E ancora Bergman, figlio di una Svezia neutrale dal tempo del Congresso di Vienna (1814/15), che sa vedere la guerra per le sue conseguenze come nel film “La Vergogna”. Bergman, il primo a darci una vera psicologia femminile:“le donne custodi di vita (nel riprodurla) avvertono il lato misterioso di ciò che è prima e oltre la vita”. E ancora Bergman che nel 1966 incontra a Roma Fellini e sogna di realizzare un film come i suoi. Il segreto d’artista forse in queste sue parole: “Quando si è artisti bisogna non essere logici ma incoerenti. Se si è logici la bellezza scompare dalle tue opere. Dal punto di vista delle emozioni bisogna essere illogici, è proibito non esserlo”.

                              Maria Luisa Bressani

 

 

Il libro del professor Papini avrebbe dovuto esser messo nella pagina "Cinema" (dove infatti l'ho poi inserito di nuovo) però anch'esso ha una valenza politica come è per gli autori già presentati: le sue sono riflessioni serene di un grande maestro, di un filosofo ed educatore di giovani.
Dopo metterò un libro di un bravo saggista,
Giglio Reduzzi, non strettamente politico (e molti sono i suoi saggi "molto politici"). Anche questo testo dimostra come se si ha visione serena della vita si possa far politica parlando di moltri argomenti, dando dimostrazione di essere cittadini del mondo, il mondo della gente civile.

Quindi con Gilberto Salmoni è la storia che si fa politica dandoci indicazioni per evitare tragici errori.

Viaggi di Giglio Reduzzi

Viaggi e personaggi di Giglio Reduzzi (uscito a novembre per le Edizioni Youcanprint.it)  ci ricorda dell’autore Italia, i mali che tuttora affliggono il Bel Paese. Quello un libro molto politico, questo di vita vissuta con la stessa capacità di sintesi, humour, rispetto per l’umanità delle persone.

Anche qui non manca la politica, passione dell’autore: soprattutto l’anticomunismo di chi ne ha visto i guasti. E’ il caso della Cina dove Reduzzi partecipò ad una mostra con stand della società per cui lavorava. Quando invitò l’interprete, un giovane studente, a vedere il suo albergo e lo rese edotto del costo della sua camera, l’equivalente dello stipendio mensile del ragazzo, con tutta probabilità lo spinse a protestare qualche mese dopo sulla piazza di Tienanmen. In odio al comunismo l’ingegner Agoston nei primi anni ottanta fuggì con la fidanzata dall’Ungheria, con un visto d’ingresso per la Yugoslavia, l’unico Paese per cui si otteneva. Giunti a Fiume, di lì raggiunsero a nuoto Trieste.

Però l’autore in questi racconti di viaggio non è interessato che incidentalmente a riferirci di politica come pure di religione, altro campo che da fervido credente lo appassiona. Suo obiettivo è darci ritratti di personaggi e di luoghi di rara bellezza come Tahiti dove le donne sembrano belle perché ridono sempre con i candidi denti dipinti da Gauguin, come Apia nelle Isole Samoa, anche come la nostrana Sordevolo dove si celebra una “Passione” con centinaia di figuranti e dove su quelle montagne del biellese si attrezzò una sua baita.

Per la religione è suggestivo un ricordo del ’44.  Sfollato con la famiglia a Bonate Sopra (BG) assiste all’apparizione della Madonna alla giovane Adelaide. Il sole rotea come a Fatima e a Medjugorie, un sole più grande che si avventa contro gli astanti e il fenomeno dura un minuto lunghissimo.

In riferimento al senso religioso anche la frequentazione dei Roncalli, grande famiglia di Giovanni XXIII. Vi si alimentò il carattere di un Papa, per nulla nepotista né amante di pubblicità per cui sui suoi familiari poco si scrisse.

Tra i personaggi, un assaggio in tre foto di copertina: Moitessier, il navigatore in solitaria,  Abdullah Re d’Arabia Saudita, Gambino, tra vecchia e nuova mafia Usa, paragonato ad un Papa e proprio con un serafico aspetto. Dei personaggi i più incisivi sono forse Ciata, l’unica donna cui dedica un racconto, e due suoi capi: Barnato direttore della Piaggio Aeronautica e Necchi fondatore dell’omonima  fabbrica.

Ciata, diminutivo d’Annunziata, sorella del papà dell’autore, non essendo sposata viveva con loro mentre la mamma l’avrebbe preferita altrove. Era sempre in ritardo, anche nel mettersi a tavola e, per educazione, in tempi in cui c’era fame mamma le metteva da parte una porzione più abbondante. Un ritardo ad arte? Divenne provvidenziale tata in casa Reduzzi e con l’ok del parroco per cambiare il pannolino del maschietto.

Umberto Barnato, artefice del successo della Vespa, parlava ligure, italiano, inglese e swahili. Trasformò il fondo materno a San Damiano di Stellanello in un oliveto produttore di ottimo olio e impiantò una farm in Kenia. Eccezionale anche Vittorio Necchi con una fabbrica di 6mila dipendenti. Nella tenuta sul Ticino allevava fagiani (con battute di caccia cui partecipava Filippo d’Inghilterra) e coltivava orchidee. Nel salone di rappresentanza un tavolo di cristallo enorme. Reduzzi vi partecipò ad un pranzo con cinque bicchieri a commensale e piatti grandi ma – per raffinatezza - porzioni piccole. Si alzò con la fame.

Uno dei tratti più accattivanti del testo sono i “flash” sul carattere dell’autore con una sofferenza, tutta italiana, per il ricordo dei nostri cibi quando desinava altrove nel mondo. Se in Libano apprezza l’“Homoz Tahina”, a cena con lo Sceicco di Ajman mentre tutti staccano con le mani pezzi del capretto dal piatto centrale, lui si mette solo qualche dattero nel piatto. E risalta una sua sana fifa: nello Yemen infestato dal terrorismo; su un volo per la consegna di un velivolo appena inaugurato e poco collaudato, scavalcano la giungla africana senza aeroporti di appoggio; nel terremoto del ‘70 in California dove poi apprende che il distributore locale aveva già telefonato “sul come far rientrare la sua salma”.

Divertente, umano, gentile il Reduzzi, secondo il civilissimo detto dell’antica Grecia: da “cittadino del mondo”.

                Maria Luisa Bressani

   

 

 

Spazio ora ad alcuni grandi romanzi!

La Nuova Terra di Emilio Biagini

Emilio Biagini pubblica con “Fede & Cultura” un’altra delle sue opere sempre spiazzanti anche per un lettore accanito: La Nuova Terra. Un romanzo che nella postfazione Luciano Cau dell’Università di Cagliari accosta a “I promessi sposi, il più grande romanzo della letteratura italiana”. Giudizio acuto perché il romanzo di Biagini s’incentra su una grande storia d’amore con una forte difesa dei principi cristiani e il linguaggio rispecchia l’immediatezza dei sentimenti come in questa frase del ritrovarsi dopo un distacco: “Si abbracciarono come due redivivi appena sopravvissuti a un disastro minerario”.

Il don Rodrigo di turno  è l’Apartheid in Sud Africa, anni settanta del ‘900. Il grande amore sboccia tra un giovane bianco e una meticcia. Jan, da ragazzo per una banale malattia al fegato che gli ha causato un colorito  più scuro, ha rischiato la riclassificazione a “sangue misto”. Da allora ha concepito per loro una diversa comprensione. Maria, l’innamorata, si sbianca la pelle con pomate. Ricordate la stessa ossessione di Mikael Jackson? Per lei non è un’aspirazione estetica, ma necessità: le leggi impedivano i matrimoni misti e l’immoralità, cioè la trasgressione con persone di sangue diverso. Nel loro viaggio di nozze scopriranno lo Swaziland terra di peccato con prostitute nere da parte di seri sostenitori dell’Apartheited.

Il romanzo, gran libro di storia, descrive l’emarginazione dei sangue misti ed inizia con una drammatica pagina in cui una serva negra è stata ingravidata dal padrone e il bastardo ne porterà il nome: “Nessuno schiavo aveva un cognome di sua scelta, e del resto a che serve un nome se si è schiavi? “Ehi tu” o “cane” o “lurido hotnot” sono più che sufficienti”.

Nel 1834 il governo britannico avrebbe abolito la schiavitù causando le ire dei coloni Afrikaner che in molti emigrarono all’interno fondando le repubbliche boere, ma poiché “le leggi non possono cambiare il colore della pelle” nelle generazioni successive ci sarebbero stati van der Ross bianchi come Jan e van der Ross meticci come Maria, senza contare che tra i presunti bianchi per genetica poteva rispuntare un figlio di colore. La separatezza tra bianchi e neri si avvale anche della religione. Tra i neri aveva avuto larga diffusione la religione islamica incoraggiata dai proprietari di schiavi per poterne continuare il commercio dopo che nel 1770 una legge proibí la vendita di schiavi cristiani, scoraggiando il proselitismo e le conversioni.

Non a caso, “il matrimonio che non s’aveva da fare” viene celebrato con rito islamico, grazie ad un’amicizia di Jan. Contro i nostri attuali pregiudizi conosciamo nel Sud Africa  di allora un Islam diverso, non terrorista o assetato di potere anche a costo di versar sangue, ma aperto a pacifiche convivenze con le altre religioni. Alla festa di nozze si beve vino perché quegli islamici nell’intimità della casa non prendevano troppo sul serio le noiose prescrizioni del Corano che vieta di berlo.

In questo affascinante romanzo, che per modernità a me sembra idoneo accostare ad Hemingway, rivoluzionatore della scrittura in senso giornalistico,  risalta una lettura agguerrita della storia. Come puntualizza bene Cau è il “percorso verso un progetto di inesorabile conquista d’Europa da parte dell’Islam”. Non manca la critica a quella nostra Chiesa del dialogo ben rappresentata dalle parole  del parroco cattolico Wilson a Città del Capo. Da sacerdote progressista sostiene: “Adulterio, controllo delle nascite, aborto, aberrazioni sessuali? Dialogo! Rapina e assassinio? Dialogo! Caino ha ammazzato Abele? Dialogo! E Abele? Peggio per lui. Si trovò al posto sbagliato nel momento sbagliato”.

Nel libro anche una sorgiva poesia come nella pagina in cui Jan sogna di cercar conchiglie con il padre (medico che nel diario lasciato al figlio si arrovella di aver curato i ricchi e non aver portato sollievo ai più bisognosi). Il padre gliele accosta all’orecchio e ci sembra di sentirle. Ci parlano d’infinito, del “mare che non ha archivi”, che è stata prima “identità d’amore” tra Jan e Maria.

Ci affascinano i paesaggi africani. Biagini, ordinario di Geografia all’Università di Cagliari, ha tre lauree, conosce cinque lingue tra cui “Afrikaans” perché negli anni settanta ha soggiornato in quell’Africa descritta con tanta sapienza. Sul sito www.itrigotti.it (che tiene con la moglie Maria Antonietta) ha pubblicato  Is God een Moloch? Antologia della Poesia Nederlandese e Afrikaans. Un suo recente testo universitario Ambiente, conflitto e sviluppo ha suscitato reazione isteriche nella “palude universitaria”. Nella postfazione (che cito ancora perché illuminata ed illuminante) è definito: “Una vita spesa per affermare la Verità” e  “uomo di esperienze letterarie e culturali letteralmente sconfinate”.

                       Maria Luisa Bressani

 

Lessico dell'Alba - Romanzo alchemico 

di  Gian Paolo Ivaldi

Ci spiazza il libro Lessico dell´Alba - Romanzo alchemico, di Gian Paolo Ivaldi, costruito su due piani: una storia attuale, l’innamoramento di due giovani in visita a Villa Pallavicini di Pegli, con inizio all’equinozio di primavera il 21 marzo 2009, l’altra storia nello stesso giorno, ma del 1840, a Montpellier. Effetto più straniante le vicende, narrate in parallelo, sono introdotte da un estratto storico del Rituale d’istruzione per l’Apprendista Libero Muratore, adottato nelle Logge operanti nel 1802. Non solo, l’autore premette al racconto due parole secondo definizione da vocabolario: Lessico, linguaggio particolare, Alba, passaggio dalla notte al giorno quando il cielo inizia a biancheggiare verso Oriente. E ancora, il libro, senza indice, si ripartisce come le antiche rappresentazioni greche o latine, in un Prologo, una Parodo come si dicevano i due accessi alla scena, in tre Atti e un Esodo. Alla fine, speculare alla pagina massonica, una poesia dal Tarjumân Al-Ashwâq con per cuore il verso “Io seguo la Religione dell’amore/ quale mai sia la strada/ che prende la sua carovana”.

Questa opera prima ha come editore Italian University Press che offre saggistica e testi accademici per approfondire discipline di carattere scientifico, sociale e culturale. E’ scritta in modo magistrale e sul retro di copertina porta un giudizio di Alberto Rosselli: “una storia nella Storia, filologicamente salda”, impiantata sulla “ricerca di sé, la tensione al mistero, il fascino della passione”. Perciò l’autore Ivaldi c’incuriosisce pur se di lui, forse perché ogni libro deve parlare da sé, non è fornita alcuna notizia.

Non resta che rintracciarlo nel libro: la storia d’amore che inizia a Villa Pallavicini ha come protagonista Ludovica Denuajer, giovane architetto che sta facendo una tesi di specialità di Architettura dei Giardini sui Parchi romantici della Liguria. Parla da ragazza moderna e ci fa pensare ad un autore Ivaldi giovane, ma il libro porta la dedica “a mia figlia”, quindi potrebbe essere immedesimazione riuscita nel linguaggio giovane. L’altra storia ha protagonista il nobile genovese Luigi Crosa di Tornaforte, medico, che a Montpellier s’innamora ma deve tornarsene a Genova quando diventa sgradito al Console per aver “assistito” il conte Oddero durante un duello. Questi prima di morire lo invita a entrare nella Nostra Fratellanza, la sua Loggia massonica. Il 23 marzo 1849 con  appoggio dalla Carboneria, filiazione della Massoneria, Genova insorge contro i Savoia. Ivaldi potrebbe essere uno storico, ma quando il suo Luigi, il 7 ottobre 1844, cura un operaio ferito in un tranello austriaco mostra sapienza  medica.

Internet risponde agli interrogativi. Il genovese Ivaldi, laureato in Pneumologia ed Oncologia, ha lavorato come medico missionario in India Capo Verde Bosnia e Kenya in collaborazione con Smile Mission e ha una figlia ventenne, Ludovica.

Al lettore il piacere del finale di gran suspense.

                      Maria Luisa Bressani

 

Una Storia nella Storia di Gilberto Salmoni

Gilberto Salmoni, UNA STORIA NELLA STORIA, Ricordi e riflessioni di un testimone di Fossoli e di Buchenwald, EGA, Euro 10.

Questo terzo Quaderno di Fossoli propone la testimonianza di Gilberto Salmoni. Aveva 15 anni quando nel maggio ’44 fu deportato con la famiglia nel Campo di Fossoli di Carpi (Modena), il 1° agosto di quell’anno fu trasferito con il fratello Roberto a Buchenwald e i suoi genitori e la sorella Dora avviati ad Auschwitz dove morirono poco dopo l’arrivo. L’ingegner Salmoni, presidente provinciale ANED (Ass. Naz. Ex Deportati), laureato in psicologia e past president Associazione Alzheimer Liguria, utilizza la competenza professionale per riflettere sui campi di concentramento.

“Da psicologo ho capito che lassù, a Buchenwald, era come si fosse prodotta una situazione sperimentale che consentiva di valutarti come persona: tutti senza soldi, con gli stessi vestiti, si mangiava la stessa roba..., il privilegio non esisteva. Abituarsi ad un modello artificiale comporta che dopo non accetti di tornare al mondo delle differenze, delle ambizioni, dei soldi, dell’egoismo”. E ancora: “Da psicologo ho appreso che la relazione tra causa ed effetto è spesso fuorviante, le relazioni umane sono di natura ecologica, contraddistinte da una miriade di relazioni intercomunicanti che si sviluppano nel tempo con risposte, controrisposte e aggiustamenti (Psicologia Sistemica)”. Perciò chi tornò fu afflitto da incubi, chi volle impegnarsi politicamente per quel “mondo più giusto sognato durante la deportazione” constatò il fallimento del risultato e giunse perfino al suicidio.  Anche di sé dice che al ritorno aveva incubi ma racconta come riuscì a disinnescarli, spiega anche come abbia voluto testimoniare nelle scuole dopo le commemorazioni del 50° anniversario della deportazione di ebrei italiani per il dovere di una memoria che serva da antidoto. “Invito i ragazzi a non lasciare che altri decidano del loro futuro – scrive -, a difendere natura e ambiente, a guardare le diversità fisiche e mentali, i conflitti d’opinione come un’opportunità per allargare i propri orizzonti, per allontanare il rischio di un definitivo conflitto”.

Ripercorre l’immediato dopoguerra quando cercò di capire e studiare per scegliere un partito in sintonia con le sue aspettative (scelse lo PSIUP) ma si accorse che era come iscriversi all’anagrafe e fu una delusione.

Della deportazione ripercorre fatti tragici o anche episodi umoristici, piccole “resistenze” individuali, soprattutto i momenti d’amicizia. Definisce Fossoli “una villeggiatura” in confronto al dopo: lì però per un bombardamento aereo alleato la sorella viene ferita e perde il bambino che aspettava, lì 70 internati politici l’11 luglio vengono avvertiti di preparare i  bagagli, ma alla sera torna solo con le valige la corriera che li aveva portati via: quegli uomini erano stati fucilati e tra loro Cesare Pompilio della nota argenteria.

Colpisce l’insensatezza della vicenda che coinvolge la sua famiglia “mista”: la mamma cattolica e ariana, il padre ebreo vicedirettore dell’Ispettorato Provinciale di Agricoltura, licenziato nel ’38 a seguito delle leggi razziali, il fratello medico che al momento della deportazione aveva concluso il servizio militare come sottotenente degli alpini e in passato aveva vinto una gara a Sestriere per i Littoriali Universitari: una tranquilla famiglia italiana d’improvviso nella bufera...

                              Maria Luisa Bressani

 

 

 

 

 

 

  

Tre Stagioni di Giuseppe Egidio Maniscalco

La formula Lorenzelli

di Massimo Minella

Nella collana “Portraits” (De Ferrari Editore) è appena uscito La Formula Lorenzelli di Massimo Minella. Il libro è un romanzo-verità che racconta dall’infanzia la vita di Vincenzo Lorenzelli, scienziato e manager, attraverso studi, conquiste faticose, una fede combattiva. Il suo voler “andare avanti se la meta è buona, mai fermandosi davanti alla frase giustificativa e che denota modestia culturale: non ci sono soldi”, come sottolinea Mario Paternostro, direttore dei “Portraits”. Lo definisce un coraggioso innovatore per tre fatti: aver fondato il Campus Bio-Medico di Roma, università all’avanguardia nel panorama internazionale; la presidenza della Fondazione Carige senza farla “cadere nella modestia di elargitrice di oboli”; l’esperienza al vertice del Gaslini.

L’avvincente libro porta altre due brevi introduzioni, di Joaquín Navarro-Valls e di Massimo Minella, concordanti su un elemento fondamentale nella vita di Lorenzelli: gli incontri. Scrive Navarro: “Se si tiene l’attenzione sempre viva e si lascia il cuore aperto, le occasioni arrivano” e sintetizza il titolo del libro con “il tradurre in positivo le cose negative”. A suo volta Minella sottolinea: “Ciò che più ha contato è stata la qualità degli incontri e delle persone che si sono presentate davanti a lui”.

Il senso però è il saper ricordare e apprezzare  amicizie e famiglia. Lorenzelli ama ricordare i compagni di scuola come Paolo Fresco, poi direttore della Fiat, i compagni della squadra sportiva di nuoto (è stato campione nel farfalla), tra cui Bud Spencer. Non dimentica straordinarie conoscenze, presso la zia Rina, sorella paterna, a San Severino Marche. Madre di Giorgio Zampa (docente di lingua e letteratura tedesca, poi direttore delle pagine culturali del Giornale di Montanelli) nella sua casa convenivano Montale, Pea, Bigongiari, gli artisti Viani e Tommasi. Non a caso, questo rispetto per la cultura e per le origini di famiglia (a Pontremoli fin dal ‘600) lo farà legare d’amicizia a Giuseppe Benelli, presidente della Fondazione Città del Libro che organizza il Premio Bancarella. A frequentare con l’editore Tolozzi (fiore all’occhiello per Genova) un’associazione di pontremolesi, fortissima fra i librai. Anzi, l’affetto per Benelli è espresso nelle prime pagine del libro ma,  allo stesso modo, ricorderà maestri come Giovanni Battista Bonino all’Università di Bologna, dove si iscrive a Chimica.

Se tanta parte ha il suo amore per le radici, in terra di Lunigiana e Versilia, altrettanto ne dimostra alla Francia dove va da giovane sposo. Il matrimonio è con Gioia, una compagna del liceo Berchet che riconosce “superiore a sé dal punto di vista umanistico”- gran dichiarazione detta da un marito!-. L’affetto per la Francia, quando a Genova chiude il francese Centro Galliera, risalta nel fondare con il past-director Barrère un’associazione figlia d’Alliance Française.

Sembrerebbe una strada aurea votata al successo, ma risaltano difficoltà e sacrifici. Quattro, per esemplificare. Alle elementari, perché mancino, la maestra gli legava il braccio sinistro dietro la schiena e lui commenta: “Così, diventando ambidestro, ho imparato a far lavorare i due emisferi del cervello”. Ricorda la fame del tempo di guerra. Si ricorda  professore all’Università di Genova, ancora in preda al ’68, quando lo chiamano “servo dei padroni” e replica: “Sono un proletario, mantengo la famiglia con il mio lavoro”. Si conquista gli studenti che lo chiameranno  “Magic Lorenz”. Da presidente della Datasiel, qualcuno gli incendia la Fiat Croma sotto casa in Albaro.  A chi chiede se sia preoccupato, risponde: “Mi preoccupa di non poter permettermene un’altra”.

Nel libro, tante le sfaccettature e le intraprese al di là della sua ricerca di scienziato nel campo della spettrometria molecolare: anche l’avventura politica per l’Udc, sollecitato da Casini. Lascia quando questi, comsumato lo strappo con Berlusconi, non corre da solo –opportunità unica!-, mettendosi  un po’ con la sinistra, un po’ con la destra: “Un tatticismo solo per prender voti”.

Altri tratti di personalità? Il senso di solitudine quando lascia la presidenza della Fondazione Carige, la volontà di trasformare il Gaslini non in ospedale territoriale com’è considerato, ma poiché offre un servizio molto più ampio, in ospedale nazionale o internazionale. Infine, in questo libro esaltante, da leggere come mi succedeva da bambina quando cercavo gli exempla, storie di uomini che hanno tenuta alta l’umanità, ho scoperto una cosa che ignoravo: il Canpus Bio-Medico di Roma sorge su terreno della Fondazione Alberto Sordi e oggi ha una superficie disponibile su altri otto ettari, già occupati dal Centro geriatrico voluto da Sordi. Il grande attore ha saputo trasformare la risata liberatoria in qualcosa di duraturo per l’utilità degli altri. Un’avvertenza: nel libro anche il cammino di fede, ma Lorenzelli sceglie con chi stare, nel variegato mondo della Chiesa, fatto di tante Chiese.

                            Maria Luisa Bressani

 

 

           

XXIII Cammeo: Giuseppe Benelli

un "grande affabulatore" 

che fa diventare "oro" ciò che racconta

Giuseppe Benelli:

docente di Filosofia Tetoretica e di Filosofia del liguaggio a Scienze della Formazione,

ma ciò che lo caratterizza di più oltre alle tante coltissime e affascinanti pubblicazioni ( tra cui Voltaire metafisico, Marzorati, Milano, 1983, importante volume) è il suo amore per la Lunigiana. Vive a Pontremoli in provincia di Massa.

Quanto all’amore per la Lunigiana, in passato in veste di assessore alla cultura, ha dato il via alla riapertura della via degli Abati, percorso più breve – sono 105 km.- di quello della Francigena che dal VII all’XI era percorso dai pellegrini che convenivano a Bobbio in Valtrebbia e per questa via arrivavano a Pontremoli. Chiamata Via degli Abati perché questi la percorrevano per raggiungere i possedimenti del Monastero di Bobbio in Valtaro, Valceno ed in Toscana. E fu abate di Bobbio Gerberto d’Aurillac, papa dell’anno mille con il nome di Silvestro II.

Non solo, resta indimenticabile di Giuseppe Benelli, il commosso ricordo che fece nel febbraio 2002 al Lyceum per l’amico e libraio Renzo Tolozzi, cofondatore del Premio Bancarella (oggi al sessantesimo anniversario).

Ricordò i pastori-venditori di libri della Lunigiana che dopo aver cantato “il maggio” a Montereggio si riunivano al passo della Cisa per dividersi le zone di vendita e seguendo la Francigena andavano a piazzare la merce. Nel dopoguerra al primo grande incontro dei librai a Mulazzo si riunirono “cugini” di quegli antichi librai: i Trantola di Belluno e Venezia, i Giovannacci di Casale Monferrato e di Enna, i Lorenzelli di Bergamo, Fogola e altri animatori delle più vivaci librerie. L’idea del Bancarella era dell’amico Salvator Gotta: un Premio gestito dai librai in base al risultato delle vendite.

Su Benelli che vuol fare di Luni la città della bellezza come era la sua fama antica Vittorio Sgarbi ha scritto due splendidi articoli sul Giornale.

Non solo cito sempre dal Giornale,  l'articolo di Massimiliano Lussana  del 25 aprile 2012 ,quando Benelli si candidò a sindaco di Ortonovo-Luni:

"Non solo i moderati di Ortonovo lo appoggiano convintamente; non solo insieme a lui ci sono persone che leggono e scrivono libri senza limitarsi a guardare le copertine come Gaincarlo Perazzini; ma soprattutto il centro del programma di Benelli è la valorizzazione del territorio, la cultura, la trasformazione di Luni da sito dimenticato, per raggiungere il quale nonc'è nemmeno la segnaletica a cuore del paese e della ricchezza della Lunigiana, praticamente una Pompei della Liguria e della Lunezia".

 

Io non ho mai letto libri del prof. Benelli. Lo considero un grande "affabulatore", come un cantastorie dell'antichità per come sa presentare bene, incantando il pubblico. L'ho invitato a presentare il libro delle Lettere dei miei genitori alla Wolfsoniana di Nervi dove ero stata a mia volta invitata per quel collegamento Museo/Territorio/Abitanti che il team dei bravi curatori delle Collezioni Wolfson, Gianni Franzone, Matteo Fochessati e allora anche  Silvia Barisione (che ora è a Miami al Museo che custodisce l'altra parte delle collezioni) hanno saputo instaurare.

Benelli accettò e gli sono rimasta indelebilmente grata con in più una sorpresa: mi disse in quell'occasione di aver conosciuto mio padre quando era direttore all'Ufficio finanziario e di aver trovato in lui comprensione per la sua Associazione riguardante la Lunigiana. Le regole infatti vanno applicate con giusta umanità, altroché Equitalia (quella dei suicidi). E così la Legge va applicata tenendo conto dei casi diversi, altroché la "legge uguale per tutti".

Non solo in quel momento di Festa per me alla Wolfsoniana il posteggio (che non c'è mentre poco ci vorrebbe per farne uno come per fare una passerella di collegamento tra la GAM e La Wolfosoniana) fu trovato per Benelli da Bepi Criaco, già consigliere di Rifondazione comunista e che abita a Capolungo.

Il Bepi che quando stava per essere lanciata la Genova sotterranea (e collaborava con il maestro Mario Porcile) mi invitò a scrivere un articolo sulle "fogne di Genova" dove voleva accompagnarmi. Un invito originale ma vi immaginate proporre al Giornale un articolo sulle fogne suggerito da un consigliere di Rifondazione?

Poi Benelli tornò a ripresentare le Lettere dei miei genitori alla Biblioteca Universitaria di Genova dove avevo orgnaizzato la presentazione di tre Epistolari di guerra. Benelli parlò delle Lettere di mio padre (guerra in Africa e prigionia a Saida in Algeria), Laura Dedone Bisio parlò delle Immagini dall'esilio  Antonio Mor (prigionia in India) ,  mentre a mia volta io presentai Il testamento del capitano del papà di Piero Gheddo missionario. Questi non potè venire e al suo posto presenziò Achille Boccia, direttore del PIME di Capolungo a Nervi, però un anno Padre Gheddo mi ricordò nell'8 marzo giornata della donna. E, in quell'occasione, mi disse sorridendo che aveva anche acquistato diversi mazzetti di mimosa per le Suore di cui era ospite al che il fioraio aveva commentato: "Ma, Padre, quante donne!"

Al prof. Benelli con gratitudine ho mandato la foto dei 50 anni di matrimonio dei miei genitori e avendolo ritrovato inserisco qui l'articolo della prima volta in cui lo sentii parlare in ricordo di Renzo Tolozzi al Lyceum (articolo del Settimanale cattolico il 19 febbraio 2002) e poi per quella presentazione sui tre Epistolari di guerra cui partecipò su mio invito, l'articolo scritto dal giornalista piacentino Gianfranco Scognamiglio su Immagini dall'esilio di Antonio Mor.

Inserisco anche l'articolo del 28 novembre 2004 sempre al Lyceum dove spesso era Benelli ad inaugurare le Conversazioni per attestare come sullo stesso tema il professore sappia ritrovare altri spunti e notizie interessanti per il pubblico: insomma per la sua grande e profonda  cultura è capace di non essere ripetitivo ma sa aggiungere sempre nuovi particolari.

    

Equilibrio di Franco Bovio

Equilibrio è il nuovo libro, misto di versi e prose, di Franco Bovio. In un brano, racconta con  umorismo i Corsi di  Marketing che teneva in Carige, proprio nell’Auditorium della sede di via Chiossone, dove il 29 giugno scorso è stata la presentazione. Ad introdurre, in una sala strapiena (250 i posti, ma tanti in piedi) Alfredo Sanguinetto, il direttore generale, che dal libro ha citato una frase “Il superfluo si misura dal bisogno degli altri” di Papa Giovanni XXIII, per spiegare che gli operatori del mondo del lavoro, specie le Banche, hanno il dovere -per creare un futuro migliore per la nuova generazione- di indirizzarsi a risultati di medio termine. Il solo profitto, anche veloce, non basta, occorre solidità patrimoniale, remunerare gli azionisti, prendersi cura dei dipendenti”.

“Equilibrio è stata una dote di Bovio – ha concluso - ben riscontrabile da chi ha lavorato con lui”. E Augusto Boschi, un relatore, ha definito equilibrio “la capacità di giudicare senza pregiudizi, uno sguardo sul mondo senza estremismi, buon senso e non far violenza alla vita degli altri”.

Della propria filosofia di vita Bovio ha precisato: “Il mio mestiere di vivere è stato imparare, ascoltare per raccogliere dagli altri, per trasferire e ritrasmettere ad altri, perché si dice sempre “io” mentre siamo insieme”.

I principali temi dei suoi libri di versi, un appuntamento che da qualche anno è come un saluto agli amici prima dell’estate, ma anche un invito alla riflessione, sono: Genova, la famiglia, il lavoro più importante in momenti di crisi, la quotidianità, la tensione ad un mondo più giusto, più in pace.

Solidarietà e fratellanza appaiono oggi diradate, mentre hanno segnato la giovinezza dell’autore con anche la tragedia dell’olocausto. Pur non ebreo, si è tanto immedesimato nelle ragioni di Israele da fondare l’Apai, Associazione per l’Amicizia Italo-israeliana, quando con la guerra del Golfo si materializzarono nuove minacce ad Israele. Ciò però non ha mai significato per lui condivisione acritica della politica di tutti i governi israeliani.

Riguardo alla famiglia su cui si fonda una società funzionante, gli piace scrivere della sua, bella, in particolare della moglie che  gli ha lasciato un rimpianto struggente. In questa raccolta ricorda quando ascoltavano insieme Sanremo, per dirLe: “Più il tempo passa, più mi rendo conto che la mia vera canzone eri tu”.

Di Genova scrisse in Incontri: “Risorgimento, porto, industria, movimenti sociali, Resistenza, scienza, arte, musica”. Ora, la paragona ad un “arco regale” adagiato nel golfo con l’auspicio di far da rotta ad un Mediterraneo - miracoloso mosaico di culture con 800 milioni di abitanti - che si apre al dialogo.

Bovio, cofondatore più di 40 anni fa del Club Dirigenti marketing e vendite (“forum” sulla situazione tecnico-economica di Genova),  costituì poi L’Attenzione per indirizzare la città ad usare in campo culturale gli strumenti del marketing. In omaggio al marketing, Equilibrio (Linea Grafica Stampa & Design Editrice) è anche nelle edicole di via XX Settembre e Carignano.

                    Maria Luisa Bressani

 

 

 

 

 

Impegno di Franco Bovio

Ha fatto come sempre l’“en plein” Franco Bovio con la presentazione del suo libro Impegno all’Auditorium della Carige: nonostante freddo e ora serale la gente è stata anche in piedi. E’ il settimo o ottavo dono di pensieri, in versi e prose, che Bovio offre agli amici genovesi e l’amicizia resta il senso più profondo della sua opera.

Come prima chiave di lettura Ennio La Monica, direttore generale di Banca Carige, ha individuato “il tempo”: il passato con ricordi privati e memoria civile, il presente  come nuovo orizzonte di speranza, il futuro con il rinnovato impegno ad educare  e lo si fa con l’esempio. “Si può educare al lavoro” ha sottolineato La Monica, che da studente di Ragioneria conobbe Bovio quando teneva i primi Corsi di Economia Aziendale e insisteva sul Marketing, parola poco nota. Lo rincontrò nell’81, assunto in Carige quando Bovio ne era vicedirettore. “Ai giovani si deve insegnare a lavorare insieme -ha precisato- con il rispetto del prossimo (versione laica dell’amore evangelico), insegnare una visione di lungo respiro e anche umiltà con sacrificio”. Sono poi intervenuti Giovanni Giaccone, giornalista di Primocanale ed Elena Nieddu (del Secolo XIX) che ha firmato la prefazione.

Fulcri del libro gli affetti: la moglie, cui dedica la poesia “La guida”, lei che ancora gli sorride da una foto, lei troppo presto sottratta alla “nostra vita...di cui eri – e sei rimasta- guida saggia e amorevole”; la “Famiglia”, una forza per l’autore cementata dal ritrovarsi il sabato sera.

La poesia civile è per i “150 Anni” dell’Unità con il ricordo dell’esaltante studio del Risorgimento, e pure con l’amara constatazione di un oggi d’indifferenza verso questa storia, grande pur negli “errori, forse inevitabilmente, commessi”. Bovio, che non è ebreo, non dimentica mai “Israele”: ha fondato l’APAI (Associazione per l’amicizia italo-israeliana) per far conoscere questo popolo, angheriato nella storia, nel suo attuale ordinamento di Stato,  nelle immigrazioni dal mondo, nella letteratura (“Terra del latte e del miele”), nelle eccellenze di ricerca e tecnica. Di fronte alle frange persistenti di negazionismo dell’olocausto, tira fuori un asso nella manica e nel “Giorno dei Defunti” rivolge un “emozionato saluto/ anche per chi scomparve, dissolto/ solo perché ebreo/ spesso senza nome/ anche se bambino”.

Dedica la prosa “Lelia” a Lelia Finzi Luzzati, cugina maggiore di Giorgio Bassani, “erede del più raffinato e storico ebraismo ferrarese, una delle prime laureate in Italia”. La ricorda nel dolore, a 80 anni, per la morte prematura di un figlio, emigrato in Israele. Mi vengono in mente le lacrime che le sfuggirono quando, a pochi giorni dal lutto, tenne l’annuale conferenza all’Adei (l’Associazione donne ebree-italiane di cui fu  l’anima). La prima, la dedicò a Lugano a Gianna Manzini, scrittrice dell’orgoglioso Ritratto in piedi per il padre anarchico, e proprio questa conferenza (di cui mi diede copia autografa) ci aveva unito d’affetto. Tra i suoi ricordi di donne –  momenti alti in cui però Lelia introduceva qualcosa della sua vita (per entrare in sintonia con il pubblico come m’insegnò) – indimenticabili le sue parole per Rita Levi Montalcini, Liana Millu, Jenny Bassani Liscia (La Storia passa dalla cucina).

Alla morte del figlio, Bovio seppe sostenerla spiritualmente tanto che Lelia lo chiamò “il suo psicologo guaritore”.

In questo libro, con l’incanto delle piccole cose che rendono più umana (“Dimensione umana” s’intitola la prima poesia),  più degna la nostra quotidianità, l’autore introduce altri due affetti: in “Porto Antico” lo “speciale angolo di mondo dove abbiamo la fortuna di vivere”, e “Carige, eccellenza genovese”, banca che “non ha clienti ma amici”.

A me rimane, primo ricordo di Bovio, l’invito in Sinagoga per una giornata della memoria: aveva in braccio un batuffolo rosa, la nipotina, ora di vent’anni.

                       Maria Luisa Bressani

 

Dissertazione sulla poesia di Bruno Roatta Il Giornale 2009

“Dissertazione sulla poesia di Bruno Roatta” è una raccolta di “60” liriche, curata da Salvatore Amedeo Zagone per il Circolo La Sprugola (spezzino), che ha inteso onorarlo nel decennale della scomparsa.

Bruno Roatta, nato a La Spezia nel 1926, fu ufficiale nella R.S.I. e pubblicò la prima raccolta “Poesie senza un naso” nel 1978 quando cinquantenne si concesse “d’essere un pochino strampalato” come racconta in “Ho incontrato un cavallo”, raccolta successiva. Già dai titoli citati e da questa “dichiarazione d’intenti” si capisce che l’uomo è singolare ma l’amore che gli viene attestato con questo ricordo ci parla di un gran fascino sul lettore.

Roatta in “A se stesso poeta” si dice: “Figlio di casalinga e palombaro/ senza neppure un titolo di studio/ pretendi anche tu scriver poesie”. In “Poeti minori” (in ricordo di Adriano Lo Bosco, un amico poeta) afferma che sognano “aggrappati a fili di speranze” vivendo uno “straccio scialbo della vita/ passato accanto al quotidiano nulla,/... dimentichi che il mondo cammina su altre gambe”. In un crescendo di presa di coscienza stigmatizza i critici a pagamento (ed esoso!), quelli che il recensore Zagone, professore emerito di Lingua e Letteratura, definisce così all’uso spagnolo: “disertan a tantas rayas por cena” (dissertano a tot righe per cena). Però Zagone si sente chiamato in causa e dimostra in prima persona che esistono altri critici, di tutto rispetto. Con una prefazione di venticinque intense pagine ed una scelta ben motivata delle poesie selezionate per questo ricordo dalle “312” delle cinque raccolte di Roatta, mette il poeta “a pieno titolo tra gli artefici del secondo Novecento”.

Ma a chi apparentarlo? Per motivi ideologici non agli scrittori marxisti prevalenti dal sesto decennio del XX secolo, da Ottieri a Vittorini, piuttosto a Giuseppe Berto o a Giovannino Guareschi. Gli sembra di poterlo mettere in feeling con gli artefici più emblematici del secolo in declino: Alfredo Cattabiani, Gennaro Malgieri, Francesco Grisi, Marcello Staglieno, Carlo Sgorlon, Susanna Tamaro.

Fin qui la critica, ma cosa ci lascia Roatta scorrendo la silloge? Pur se in “Epigrafe” per sé vorrebbe scritto “Amore e solitudine conobbe, disperatamente”, in realtà ci conquista con l’allegria di “La Pacchia” dove - nella caduta di valori di questo mondo rispetto a quello della sua giovinezza - ci presenta un popolo di Gremlins onnivori. Con l’allegria di “Come sono” in cui si definisce: “Un poco ubriacone (mi piace il buon vino)/...un porco fascista/ (son stato a Salò)/ un po’ dongiovanni (magari potessi)” e via sorridendo. Appare uomo di pietas in “Per la morte di un beone”: “Mi fa schifo, Osvaldo,/ la gente perbene./ Io piango la tua morte/sazia d’alcool e di pena”.

E cosa ci dice dell’amore? Tanto, ma, a mia volta, seleziono “Poesia e Vita” quando un aprile stracciò le carte delle poesie: “E corsi dietro/ ai tuoi capelli lunghi/ loro briglie ed io destriero/ giurando che tu eri la poesia/ ma i tuoi capelli, invidia della seta,/ si son troppo presto impigliati/ in un cuscino di color viola”. Privato del suo amore, dice: “Non si scrivono poesie col cuore di pietra”.

                              Maria Luisa Bressani

Extracomunicante – dov’è finita la poesia? di Roberto Marzano (De Ferrari, Collana Ineditamente) da subito ci pone il problema del significato del titolo. Ma prima di capire, leggendolo tutto, cosa c’è in un libro, la curiosità può spingere a strani rituali: ad annusare da segugi in cerca di tracce l’odore buono di carta, a saltare qua e là, a osare di volare all’ultima pagina, dove si chiarisce il mistero: “Ripensando al miagolio del gatto/ che io credevo fosse amore/ invece ho capito piano piano/ che anche lui piangeva di dolore”.

E’ una prima risposta al sottotitolo: siamo nella poesia. La prefazione di Fabiola Lucidi ci avverte che nell’Illuminismo la poesia era politica, che poi il Romanticismo ci ha restituito la gamma dei nostri sentimenti. Della poesia, quasi una scorciatoia alla verità del vivere, non possiamo fare a meno: a scuola – constata Lucidi - si studia Dante o Manzoni, fingendo d’ignorare, per i tempi stretti dell’anno scolastico, grandi nomi del dopoguerra: da Pavese a Montale, quasi mai studiati. Chi sono i nuovi poeti? – conclude -, quelli che pubblicano e-book?

Marzano risponde con la sua raccolta di una cinquantina di poesie, dove la penultima suggerisce di cercarla nel Reparto Psichiatria o in quello Cattiveria. A questo punto, però, verso dopo verso, pagina dopo pagina il poeta che è in lui si è disvelato fino al dolore del gattino che sentiamo nostro.

Marzano in realtà ha un cane oltre che una bella famiglia; ha scritto su riviste letterarie, vinto premi e come musicista si è esibito in concerti di jazz e canzoni d’autore:“Marzano & gli Ugolotti”, “Small Fair Band”.

Il ritmo veste i suoi versi, però la sua è poesia non pacificante, affacciata sui quartieri ultrapopolari dove è vissuto, un “flash” su realtà complesse.

Mi colpiscono, nel cuore dell’agile volumetto, due pagine a fronte: “Uomini neri” e “Ordine pubblico”.

La prima li dipinge “Capaci delle infamie più inimmaginabili/ nell’accanirsi in branco” e il pensiero vola ai black bloc, a tutti i vigliacchi che delinquono con passamontagna o caschi, ma anche ai tanti neri nell’anima, capaci d’infinite violenze, però la pagina a fianco ci restituisce altrettanta disperazione nei tutori d’ordine. A salvarci è l’amore di “Macchina del tempo”, dove il poeta s’immerge nelle braccia “mantidi” della sua donna “con la stessa meraviglia di un bambino col nasino all’insù”. Il candore, l’innocenza di sguardo bambino sono forse tratto caratteriale del poeta?

Per Marzano potrebbe essere poesia romantica, ma altrove torna all’Illuminismo e “Chiedo scusa?” è poesia politica. Chiede scusa “ai bombardati, da Baghdad ai newyorkesi, a Teheran, Dublino e Fukushima...” se continua ad ighiottire la cena, a chiedere ai figli com’è andata a scuola”.

Ecco, poesia è questo farci condividere, riflettendo. Ne è specchio, specie per i tifosi, “Genova-Napoli 700 chilometri”. Due città a confronto: “una conta e l’altra canta” ma nel calcio hanno avuto gli stessi guai: “Genova e Napoli/ tristi sorelle offese/ sotto la furia infame/ degli stessi manganelli/ neri e ottusi”.

Marzano regala al lettore un piccolo libro d’ore, un breviario di quotidianità.

                           Maria Luisa Bressani

 

Extracomunicante - dov'è finita la poesia?

di Roberto Marzano

Ho voluto chiudere questa pagina con 4 Poeti e le loro poesie: due sono più anziani. Bovio dopo il suo lavoro in Carige è stato anche un infaticabile animatore culturale in città.  Ha profondo il senso dell'amicizia e ha valorizzato molti giovani infondendo loro fiducia nelle loro capacità.

Roatta non è più e le sue poesie conservano il timbro d'imperitura giovinezza che cristallizza i poeti precocemente strappati alla vita e Marzano invece rappresenta una voce giovane dei nostri giorni. Perché chiudere con la Poesia? Perché la Poesia è sempre - lo ripeto - una scorciatoia per la verità, un cortocircuito emotivo con essa.

Di Silvio Ferrari ricordo l'onestà intellettuale al punto che quando decise di presentare un suo testo teatrale ed era assessore alla cultura in Genova per il Comune lo fece a spese proprie e ad ingresso gratuito, mentre altri che ha scalato i vertici della direzione nei Teatri di Genova fece rappresentare con contributi vari, mungendo l'ente pubblico. Forse anche questo o soprattutto questo dovrebbe interessare il cittadino nella stima per i propri politici.

A Ferrari sono anche grata perché quando l'Editore Lo Faro gli inviò  a mia insaputa il libro delle Scrittrici e in quanto assessore alla cultura gli chiese di acquistarne alcune copie, mi aiutò a farmi conoscere mandando il mio libro alla Biblioteca Berio. Fu una gradita sorpresa per me trovarlo lì quando  vi presentai dieci anni dopo le Lettere dei miei genitori.

Fui invece avvertita della richiesta dell'editore da Valenziano che era  in Regione e mi irritai molto con Lo Faro.  Scrissi subito a Valenziano scusandomi e ne conservo la lettera di risposta in cui mi elogia per il mio  sentire. Certo non sono molto pratica di politiche editoriali e magari Lo Faro faceva il suo mestiere meglio di altri editori però non fu corretto da parte sua il non avvertirmi.

Di recente ho sentito proporre da una casa editrice ad una giallista, brava ma esordiente: "Ci dai 2000 euro e poi noi ti diamo -  non ricordo quante copie - così ne fai ciò che vuoi". Insomma doveva pagare per poi poter "regalare" i libri "stampati" perché altro non avrebbe potuto fare.

Ma dovrebbe esserci rispetto anche per chi  vuole scrivere e tanto più ai primi passi, poi quando un autore è più consociuto tutto è più facile anche per lui!

Infine sempre riguardo a Silvio Ferrari ho inserito la mia cronaca ad una sua conferenza all'inaugurazione anno sociale Dante Alighieri  con titolo "Dalla Repubblica di Ragusa al marschino di Zara" in cui ricorda anche la devozione per San Biagio a Genova. In quel tempo essendo in contatto con Nicolò Luxardo per raccontare del Giorno della memoria, questi che presiedeva l'Isituto di Storia Patria del libero comune di Zara (credo ricordare ma dovrei controllare) mi disse: "Ho sentito parlare con molta stima di Silvio Ferrari e di come ha presentato le vicende della mia famiglia in Genova".

La bella maestrina che lascia alla figlia bambina come testamento "studia, studia sempre" e che è vittima della furia partigiana

Bernardo Pianetti della Stufa:

1) L'anima nello Scaffale (Settimanale cattolico 21 gennaio 2007)

e 2) Colloqui con l'Angelo (Il Giornale 5 settembre 2010)

 

Bernardo Pianetti della Stufa, L’Anima  nello Scaffale, maria pacini fazzi editore, Lucca, 2001

E’ un “livre de chevet” per riflessioni e compagnia. Ha tre punti di forza: la Fede, la Storia, l’Africa.

L’autore, inviato del <<Globo>> di Roma (prestigiosa testata economica scomparsa), è stato funzionario della Direzione Generale dell’Informazione nell’ambito della Commissione Cee. “Oggi la Cee si chiama Unione Europea, ma è invecchiata male”, commenta e per presentarsi, all’inizio di questa autobiografia degli anni giovani, dice di temere malattie e Stato, di non credere nelle manifestazioni di massa, di non commuoversi per sdegno e cordoglio dei politici. “Però credo in Dio, questo sì”, afferma.

La Fede per lui si apparenta a quella dei contadini toscani di un tempo pronti alla bestemmia perché sentivano di famiglia la Madonna e i Santi,  contadini che non mancavano una processione. La descrizione di quei riti religiosi ha un incanto nostalgico, in particolare per le solenni “Rogazioni” che invocavano la protezione di Dio “a peste et bello” (da malattia e guerra). Ha il profumo dell’incenso che veniva dalla Migiurtinia, regione della Somalia allora colonia italiana ed era cosa di cui a scuola i bambini imparavano ad essere orgogliosi.

La Fede si lega in particolare all’Africa dove l’autore visse per qualche tempo al Villaggio Duca degli Abruzzi di Mogadiscio perché la Società Agricola Italo-Somala, fondata dal Duca Luigi Amedeo di Savoia, aveva premiato con una borsa di studio la sua tesi di laurea sull’economia dell’Oltregiuba. Imparò ad amare la boscaglia africana, dove trovò la pace di sé che è avvertire la presenza di Dio in una solitudine ben diversa da quella triste di città brulicanti, con il telefono a fianco e l’auto sottocasa.

Tra le pagine più intense del libro il dolore provato quando il 30 giugno 1960 di notte a Villaggio Duca degli Abruzzi venne ammainato il nostro tricolore perché la Somalia passava da dieci anni di amministrazione fiduciaria italiana all’indipendenza. L’autore afferma che l’Italia fece del bene alla Somalia per la sanità e l’istruzione, per l’incremento delle comunicazioni e delle infrastrutture. Parole le sue confermate da chi tra i somali sa ancora ricordare e non perdona il capitombolo successivo nelle mani dei signori della guerra.

Di Storia “controcorrente” il libro è ricco. Cito alcuni spunti. Di Vittorio Emanuele III ricorda che lasciò Roma per Pescara, poi per Bari, restando però sul territorio nazionale a differenza di altri sovrani che si rifugiarono in nazioni amiche: Guglielmina d’Olanda, Haakon VII di Norvegia, Giorgio II di Grecia.

A proposito di eroismo degli italiani ricorda il Tenente Colonnello Cesare Amici Grossi. Quando il Bando di Graziani impose agli ufficiali di aderire alla Forze Armate della Repubblica Sociale, si presentò al comando tedesco e disse: “non aderisco”, quindi girò sui tacchi senza che nessuno osasse fermarlo. Prese contatti con il Comitato di Liberazione d’Oltrarno e morì in guerra per un colpo di mortaio in piazza Santo Spirito di Firenze davanti al Distretto Militare. Insieme a lui persero la vita un civile rimasto ignoto e due partigiani che ora sono ricordati da una lapide. Cesare non vi è menzionato: certo meritevole “della fascia tricolore al braccio non aveva il fazzoletto rosso al collo”.

Ricorda l’ANDE – Associazione Nazionale Donne Elettrici che nel ’48 al momento di quel voto, importante per la scelta occidentale, portarono migliaia di sacchetti-pasto agli scrutatori di seggio di parte bianca e accompagnarono a votare in auto vecchi e malati.

Nel libro l’autore ci parla di sé, di dolori personali dissimulando con l’umorismo. C’è in più un “quid”  che convince ad un’immediata simpatia ed è l’episodio del baule di giocattoli che da bambino dovette abbandonare, lasciando per sempre la casa avita. Gli fu permesso di portare con sé un solo gioco, ma quella “crudeltà” nella vita gli servì più di vicende importanti.

                          Maria Luisa Bressani

          

 

    

Cosa di più evangelico di un libro con titolo Il Ritorno – Colloqui con il mio Angelo Custode (Polistampa Editoriale  2010)?

Attenzione: è un testo davvero evangelico, rivoluzionario non buonista. Nel risvolto di copertina Bernardo Pianetti della Stufa, l’autore, ci anticipa: “Penso, parlo, scrivo cercando di attenermi alla libertà del politicamente scorretto. Da sempre considero il politically correct la più ipocrita meschina vigliacca espressione d’intellettualismo moderno”.

Il libro sorprende ad iniziare dal coup de théâtre “il ritorno di Cristo sulla terra” che spiace dover anticipare per far capire cos’è questa riflessione moderna in compagnia di Pianetti. Gesù dopo venti secoli ritorna e lo fa a Milano, vestito in grigio e con cravatta, con il nome Emanuele Rini: Immanu’el, in ebraico “Dio è con noi”, Rini, anagramma di INRI, primo cartiglio storico conosciuto che – dice l’autore - segnò la “sublime spartizione tra il Prima e il Dopo”.

L’Angelo, di nome Giacinto, è il Custode di Pianetti stesso, un Angelo che a sera pretendeva di fare quattro chiacchiere con lui e ascoltarne la preghiera. Chiamato ad accompagnare Cristo, si congeda senza dargli spiegazione alcuna.

E Cristo incomincia a ripetere miracoli che risultano spassosi per gli ostacoli burocratici di oggi. La trasformazione di acqua in vino (era finito ad un pranzo di nozze) provoca l’intervento dei carabinieri per una soffiata su un “vino adulterato, in recipienti inidonei, senza etichetta”. Un cieco risanato, invitato da Cristo ad andare dagli Anziani, torna alla Asl, provocando una furibonda discussione sulla validità del “certificato per inabilità totale” che gli era stato rilasciato.

Sui miracoli che Giacinto gli riferisce quando torna, miracoli esemplari nella denuncia delle tante povertà del mondo e della speranza dell’uomo che non cessa di bussare alle porte del cielo per essere ascoltato, si accentra la riflessione di Pianetti. Profondamente religiosa pur se del tutto laica, a 360° sulla nostra Società e sul Tempo: sul Passato come patrimonio di ricordi, sul Presente come rischio, su “Quel che sarà” espresso con parole di  Leopardi, forse un “Dì futuro del dì presente più noioso e tetro”.

Pianetti - in un controcanto personale -  torna a discutere con l’Angelo ritornato di miracoli, quelli di Lourdes come pure del miracolo della natura quando si rinnova, del progresso moderno che l’uomo dovrebbe guidare mentre ne è schiavo, della democrazia in cui convivono democrazie opposte, della scuola che un tempo insegnava almeno il rispetto delle gerarchie mentre ora è in balia di bullismo ed ignoranza. Del povero per cui la carità di un tempo era simboleggiata da due mani congiunte – la mano che dava e la mano che riceveva-, mentre ora capita che all’uscita di un supermercato un barbone cui Pianetti ha regalato dalla sua spesa un pacco di biscotti, gli gridi da nuovo padrone:“Cosa me ne faccio? Voglio soldi”.

Il finale, in crescendo, ripercorre la passione di Cristo-uomo prima che s’innalzi al cielo. Avviene a Malpensa tra la costernazione degli addetti alla torre di controllo. In questa Ascensione, Pianetti, che un parroco amico ha invitato nella sua Chiesa a tenere le prediche della domenica, ripercorre il calvario di Cristo commentandolo attraverso i passi degli Evangelisti ma con partecipazione sofferta e personale. E lo fa da maestro.

Laureato in economia, redattore e inviato del Globo di Roma, poi funzionario della Direzione Generale dell’Informazione della Commissione europea, ha vinto il Prix Européen Emile Noël per Cittadinanza Europa e Cittadino d’Europa. A Genova come scrittore ebbe un avallo di gran classe da Franco Croce che ne presentò L’Anima nello Scaffale. Per il successo di questo libro, in cui intrecciava la storia della sua famiglia di Marchesi in Toscana a quella d’Italia, alla Libreria Bozzi, che presto festeggerà i 200 anni di attività nella stessa sede,  ricordano Pianetti come un “Autore che si vende bene” ed oggi è un fatto più che raro.

 

                         Maria Luisa Bressani

          

Bernardo Pianetti della Stufa

2) Il Ritorno - Colloqui con il mio Angelo Custode

 

 

XXIV Cammeo: 1) Giulio Cesare Giacobbe presenta

le Lettere all'Istituto della Resistenza a La Spezia;

Lettera all'ing. Ferdinando Carrozzi: Contro l'intolleranza!!!

Cosa l’ha offesa dell’intervento del prof. Giacobbe? E' uno stimato psicologo e psicoterapeuta. Professore associato di Psicologia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, autore di saggi sugli aspetti psicologici e psicoterapeutici delle filosofie orientali. Tre anni fa con il suo primo libro vendette 400mila copie e opera in una associazione di volontariato pro-bambini africani e collabora con l’ospedale di pediatria di Savona (psicoterapia della risata) e nell’ultimo libro di quest’anno, un manuale per il controllo della sofferenza, parla dell’immatura scomparsa di suo figlio a 27 anni in seguito ad un’influenza e a lui dedica l’opera.

Del mio libro ha detto che non ha avuto e non avrà il successo del suo (ma il mio è stato al Liceo Internazionale di Strasburgo in studio per i ragazzi che portavano il fascismo alla maturita e quindi non posso lamentarmi anche perché non ho procurato io quel contatto ma il professor Pierre Racine della Marc Bloch di Strasburgo che ha creduto nel mio libro e lo ha presetnato a Piacenza)), poi ha detto che parla di valori perduti (e anche se io non sono una  laudator temporis acti questo è in parte vero e per dirlo ha usato il termine “americanizzazione”, cioè un’imitazione nei suoi aspetti deteriori), poi ha detto che da noi non esiste il senso d’amor di patria. Però Quattrocchi è morto in Iraq dicendo “vi faccio vedere come muore un italiano”.

E ora veniamo a noi: Lei ha esordito dicendo che il mio libro non è nuovo e può essere Lei abbia ragi0ne. Forse un po' nuovo lo è invece: nuovo per il modo come è stato confezionato da me l’epistolario. In particolare ho messo le lettere, la contestualizzazione storica e quella nello spirito del tempo (in quanto le lettere in pratica – almeno le più belle – arrivano alla resa di Pont du Fahs del 12 maggio ‘43 e poi sono come “frenate”). Ho accolto testimonianze solo di gente che ha vissuto la guerra (Talleri, Ceva, Luzzati, Salmoni, Szpilman, Londei) e che le ha scritte, onde non essere smentita.

Il pregio intrinseco dell’epistolario è lo sguardo su scenari di guerra diversi e quindi il non avere la visione ristretta dei ricordi partigiani (e senza comunicazioni tra i gruppi, cosa che mi è stata confermata da don Berto, cappellano della Mingo). Una visione “povera e ristretta” di cui scrive lo stimatissimo (dagli storici) Lucio Ceva che parlando di Valtrebbia afferma: “scusate se il mio racconto non ha ali, ma noi non avevamo un’Ossola alle spalle e ciò che s’incontra alla fin fine è misero”.

Veniamo al punto che ha offeso me: "il ricordo di quel morto partigiano il cui corpo la madre si tirò dietro per un chilometro: ecco qui Lei ha ecceduto perché è sembrato voler fare un paragone di morti e di qualcuno –come il suo – si può e deve parlare, mentre di ragazzi che io non ho conosciuto, ma su cui mi sono commossa, e caduti volontariamente in guerra!, questi vanno dimenticati?

A Genova, c’è  stato un convegno su L’altra Resistenza a Palazzo Ducale con gente che era venuta in massa proprio perché voleva ricordare i suoi morti del dopo 8 settembre e il giornalista Pansa ha ricevuto 2000 lettere di grazie da parte di lettori per aver scritto di tali cose.

Quanto al caro onorevole Fasoli che ha cercato di rimettere in piedi il dibattito, da lui mi sono sentita capita e anche appoggiata nell’incontro di La Spezia.

Infine perché ho scritto il libro? Perché serva ai giovani per capire la tragedia della guerra.

Mi ha dato molto fastidio che si sia venuti a parlare di Mussolini che nell’epistolario è nominato da mio padre una sola volta e di non aver avuto il tempo di proiettare- causa queste ciance – slides da documenti fotografici dell’epistolario sui luoghi o più recenti: da Barca in Slovenia dove la mamma  insegnò - alla Tunisia d’oggi.

La giovane guida tunisina del  tour mio e di mio marito di fine giugno scorso sui luoghi di guerra di mio padre, ci considerava “traditori con la macchia dell’8 settembre” cosa che divenne esplicita  quando ci mostrò (e non era in programma di viaggio) il mausoleo di Bourguiba  a Monastir, dove il promotore della loro indipendenza e primo presidente, volle essere sepolto con “sette amici e alleati”. Opinione personale anche questa del tunisino, ma come ci vedono all’Estero ora che vorremmo essere europei e ci confrontiamo con altri Paesi che furono in guerra come noi?

 

Di Giulio Cesare Giacobbe ho recensito un libro come di consueto per coloro con cui entro in contatto per il mio scrivere e cui devo "un grazie". A La Spezia dove mi avevano invitato all'Istituto della Resistenza  l'organizzatrice mi aveva chiesto di portarmi uno psicologo dato che "andava alla grande" la lettura piscologica dei libri e chiesi a Giacobbe che non conoscevo di persona. Accettò e altra relatrice con lui era l'avvocato Giovanna Galeppini. Venne da Genova con noi anche Fulvio Mohoratz presidente ANVGD (Associazione nazionale profughi giuliano-dalmati) che si riservava di intervenire. Quando parlò Giacobbe ci fu maretta in quanto un accademico  (cui indirizzai poi questa lettera dopo aver rinvenuto il suo indirizzo) si scatenò contro le parole da lui pronunciate  sui giovani d'oggi che mandano i genitori a vaffà... L'accademico insorse, gli animi si accesero. Dal fondo della sala si mosse un piccolo uomo dai capelli bianchi e con il bastone cui si appoggiava ma camminava vel0cissimo verso il nostro tavolo di presentatori: il senatore Giuseppe  Fasoli del PDS,  past-president dell'Istituto, e che  si mosse avendo capito il mio disagio in quanto lui aveva lettere dei suoi genitori nella I Guerra mondiale e capiva quindi l'atomosfera dissacrante che si stava creando quando per me doveva essere festa e ricordo amato dei miei genitori- Si rivolse "all'amico" accademico pregandolo di moderare i termini.

Mi sembrò splendido come un paladino Orlando.

Dopo di lui intervenne Padre Nazareno Taddei il gesuita che aveva sdoganato la Dolce Vita di Felllini e di lì aveva cominicato un percorso intellligente sulla comunicazione dei mass-media (il suo ricordo  è alla pagina  "Cinema e fotografia". Tra l'altro nel conoscerlo per giornalismo avevo scoperto essere stato amico di mio zio don Pino Zambarbieri, terzo successore di don Orione, che conosceva dai tempi in cui - giovani - facevano "corpo" a fianco del cardinal Schuster. Egli, esperto di mondo, aveva previsto che ci sarebbe stata maretta ed era lì per supportarmi. La maretta era  montata in particolare alla lettura della Lettera del b0mbardamento su Kairouan di mio  padre prima riportata.

Poi Padre Taddei invitò il prof. Giacobbe a parlare ad un convegno sui "Giovani e i mass media".

Se ritrovo la recensione al libro di Giacobbe tra l'altro pubblicato con una buona Casa Editrice la inserisco qui di seguito.

E almeno inserisco la recensione al Libro di Padre Taddei sulla cultura massmediale.

2) Lettera all'accademico Ferdinando Carrozzi.

Contro l'intolleranza!!!

Il gesuita Nazareno Taddei e il suo

"Papa Giovanni Paolo II

e la cultura massmediale".

Settimanale cattolico 29 gennaio 2006

Tolozzi in prima persona su fatica e gioie di un libraio

Il Giornale 28 settembre 1985

Tramonto a Carignano di Aurora Bafico

è omaggio da parte mia all'amico di sempre Franco Bovio

che abita in Carignano

Da Aurora Bafico: Liguria ...la mia terra (Tip. Sorriso Francescano, 2005) , libro a me donato nel 2007

Il Calcione, Castello avito di Pianetti della Stufa

In questa selezione di autori mi è caro inserire due amici: Vincenzo Lorenzelli con un romanzo-verità in cui ripercorre la propria vita e Giuseppe Benelli grande operatore culturale.

Tutte le pagine del Sito sono nate via via e non secondo uno schema già fissato nella mia testa per cui se per alcune, ad esempio Terre 2 Bobbio era semplice per me metter su gli articoli scritti al riguardo e già sapevo in che ordine disporli, per altre come questa devo spiegare all'eventuale lettore quale sia stato il filo logico da me seguitoOgni pagina del Sito infatti ha un filo logico ma spero che a questo punto già ve ne siate accorti. 

Il primo testo si spiega già nel titolo e spiega il motivo profondo di questa pagina, in più c'è la garanzia dello scrittore, il professor Cavallini con consuetudine di scrittura per tutta la vita e con la professionalità del docente universitario che sa come farsi capire dai suoi allievi non certo bambini ancora del tutto da formare.

Poi la scelta mia di dar spazio a due donne che scrivono poesie nasce da quel mio sentire che ho sentito uguale a quello di Holderlin quando affermò che Poesia e Folosifa sono sue due vette del nostro sapere, ma alla Poesia va il primato perché riesce a penetrare più profondamente della Filosofia, ad avvicinarsi all'essenza delle cose più profondamente. Poesia per me è "una scorciatoia alla verità", poesia dal professor Franco Croce al convegno in Val Trebbia in ricordo di Giorgio Caproni è stata definita un cortocircuito con la verità, cioè qualcosa che ci illumina con la velocità di un fulmine.

Perciò ho dato spazio a due donne: la giovane Sara Ciampi spesso scelta per partecipare al Premio Nobel ed entrata nella Rosa Nobel per la poesia ed Emy Pigureddu dio cui ho apprezzao l'apertura del cuore, l'umanità. 

Quindi ho dato spazio ad autori "politici" dato che i nostri anni sono molto politici ma offuscati da una brutta politica e quindi sarebbe da ricuperare una "civiltà" della politica stessa. Ho inserito: Bernardo Pianetti Della Stufa, Piero Vassallo e Silvio Ferrari le cui idee non collimano con quelle dei due autori citati ma vale sempre quel detto di mons. Andrianopoli: "Si può essere onestamente di opinioni diverse". Poi altri due autori, anch'essi "politici" ma in senso lato: Reduzzi da cittadino del mondo, Papini nel libro sul regista Bergman a dimostrarci come un nome cult nel campo del cinema si sia scontrato con il '68 di oppositori ignoranti e con l'intolleranza. E Gilberto Slamoni che la storia l'ha vissuta, è stato testimone del fosco tempo dell'ulitma guerra, delle leggi razziali, di campi di deportazione.

Poi due autori, amici tra loro, che della loro vita hanno saputo fare come un'opera d'arte anche per gli altri, cioè qualcosa di duraturo e basato su viver civile, incontri, amicizia, impegno culturale: Lorenzelli e Benelli. Poi ho dato spazio a due grandi romanzi non meno politici di quelli prima citati ma in scenari storici Ivaldi e Biagini.

Quindi con il Cammeo XXV mi sono sfogata su ciò che è intolleranza e che contrasta profondamente con la civiltà prima richiamata, additata come esempio e da me amata.

Infine ho chiuso con poeti uomini e partendo dal più anziano o forse solo testimone di un tempo che non è più, Maniscalco, ho proseguito con Bovio che ha il dono dell'amicizia e che ha dato impulso a tanti giovani in Genova ad osare ad aver fiducia nelle loro capacità ed ho concluso con due poeti accomunati da una ideale giovinezza di spirito: Roatta che non è più e Marzano. Ecco spiegato il mio filo conduttore per questa pagina: Letteratura, Poesia, Politica, Viver civile. 

Come ho già anticipato nelle righe ad inizio di questa pagina Franco Bovio ha quel dono dell'amicizia che padre Mauro De Gioia individuò in Giovanna Galeppini ricordandola in morte. Non solo è tuttora grande animatore culturale in Genova nel senso che si devono a lui importanti iniziative per far conoscere Israele e contro possibili rigurgiti di antisemitismo, non solo ha fondato altri Club culturali tutti assai validi e capaci di aggregare persone intelligenti e preparate. Di più Bovio ha avuto la capacità di "dar ali" a tanti giovani spingendoli ad aver fiducia in sé e in ciò che potevano dare alla società. Personalmente gli sono grata per avermi spinto a pubblicare le Lettere dei miei genitori e per averne introdotto lui di persona  la presentazione alla Biblioteca Berio, arricchendola con particolari sui relatori, Mario Cervi vincitore in quel momento del Premio Ischia, Minnie Alzona, Renato Dellepiane e arricchendo con particolari sulla storia stessa narrata in quell'epistolario. E' stato davvero bravo e con l'umanità grande che è la sua sigla.

Non solo, quando morì la mia mamma è stato Bovio a telefonarmi perché tornassi all'APAI dove si sarebbe svolto un incontro importante per scriverne. Il lutto è la cosa che mi atterra facendomi toccar con mano una volta di più l'inconsistenza apparente della vita e magari mi provoca delle lunghe pause dal partecipare ad iniziative pubbliche e fu grazie a quell'invito che, andando, ripresi a vivere attraverso il dovere della scrittura.

Il bene culturale operato da Silvio Ferrari: Genova e la Festa di San Biagio, inaugurazione anno sociale Dante Alighieri

L'anno sociale della Dante Alghieri si è aperto con un incontro d'ampio respiro e d'intensa umanità per i legami storici e che perdurano ad oggi tra le famiglie: "La Dalmazia e i rapporti con Genova: dalla Rpublica di Ragusa al maraschino di Zara". Il relatore Silvio Ferrari che insegna all'Università Letteratura Serbo-Croata ha esordito mostrando i confini della Repubblica di Venezia in una cartina geografica del 1888 conservata al Museo Navale di Pegli. Da questo spunto risalendo nella storia, ha ricordato la Provincia Romana che, con il nome della tribù illirica dei Dalmati, si estendeva dall'Istria all'Albania, alla Romania; poi la potenza navale di Ragusa che si afferma dopo la battaglia di Lepanto del 1571, vittoria della cristianità sui Turchi.Per sottolineare la posizione strategica della cittadina, ora detta Dubrovnik e centro del turismo culturale croato, ha citato "Il prezzo del rischio" di Alberto Tenenti, uno studio sui noli nel XVI-XVII sceolo; sono libri di tal genere i più idonei ad esplorare i legami storici fra le città marinare. Altri esempi? A "GeNova 2004" si è parlato del Quartiere Galata di Istanbul costruito dai genovesi, a Trastevere in Roma esiste la chiesa San Giovanni di Genova, ecc.Per stare in tema d'Europa e d'Italia, il portale più bello della Dalmazia, fatto da Radovan nel 1240 per il Duomo di Traù (Trogir), è già arte europea e a Zara, cento anni dopo, l'arca di San Simone fu commissionata da una regina bosniaca a Francesco da Milano, artista affermato dopo la morte di Giotto.Ferrari ha approfondito il Rinascimento culturale di Ragusa, nota nel cinquecento come Repubblica di San Biagio e in stretti rapporti con Genova perché ad entrambe conveniva contrastare la potenza di Venezia. Il 3 febbraio, ricorrenza di San Biagio, le navi che entravano nel Porto di Genova davano un obolo per la Cappella a lui dedicata in Santa Maria di Castello e di cui rimane una lapide.Ferrari, nato a Zara e quindi con il "cuore spaccato in due" come coloro che vivono confini e croevia di popoli, ha ricordato che il genovese Gerolamo Luxardo in epoca napoleonica diede vita alla tradizione del Maraschino di Zara. Nel 1944 i partigiani locali giustiziarono i due fratelli Luxardo, suoi discendenti, e la fabbrica con la ricetta del liquore fu nazionalizzata, degli altri rami di famiglia, i Drioli erano da tempo a Vienna, i Vlahov subirono la sorte dell'esodo.A ricordare l'italianità della Dalmazia è stato il prof. Giulio Vignoli.Prossimo appuntamento della Dante Alighieri il 18 novembre: si conferirà a Bruno Lauzi il Diploma di Benemerenza e la Medaglia d'Oro della Società

                                                                        Maria Luisa Bressani

Giulio Cesare Giacobbe Come diventare un Buddha in cinque settimane- manuale di autorealizazione (Ed. Ponte delle Grazie, 2005).

Pag. 89: Il mondo della mente, il mondo della realtà

 

Rientrando a Genova in auto da La Spezia, mio marito alla guida e insieme a noi oltre a Giulio Cesare Giacobbe anche Giovanna Galeppini e Fulvio Mohoratz, mi resi conto che lo psicologo al conrario di quanto si può arguire leggendo questa atarassica pagina  era rimasto un po' turbato e senz'altro offeso. Quandp poi Padre Nazareno Taddei lo invitò a parlare a La Spezia al Convegno sui giovani  che aveva organizato prima accettò poi, forse accampando un impegno di lavoro non andò: si evitano le città quando sono state amare.

E dal mondo della nostra mente (quello che vorremmo fosse) al mondo della realtà (quello com'è anche intollerante e che ci tocca subire) c'è un salto non indolore!

Gianni Romolotti Campanile. Tanto per dire- scopiazzando il mio amico Achille- Recensione M.L.Bressani maggio 2014

"Tanto va la gatta che ci lascia lo zampino", un necrologio di Achille Campanile, alla gavetta di giornalismo, che lo fece assumere con queste parole del capo:"O è un idiota o un genio". Era la "geniale idiozia" che Geno Pampaloni individuò nell'autore di "Tragedie in due battute" su cui si basa lo spettacolo al Teatro della Gioventù fino al 22 giugno.

Campanile, a lungo snobbato dalla critica ma inarrivabile interprete -con umorismo!- del nostro costume. A lui per amarcord d'amicizia  un altro outsider, Gianni Romolotti, ha dedicato per emulazione i suoi umoristici racconti Campanile. Tanto per dire-scopiazzando il mio amico Achille (Book Sprint, giugno 2013).

Romolotti si affermò negli anni sessanta con i Caroselli Perugina, protagonista Frank Sinatra; da giornalista esordì alla Gazzetta di Parma con Baldassarre Molossi. Un inizio niente male ma il piacere di leggerlo oggi nasce dalla "scoperta" personale dell'uomo-autore e della sua umanità. Traboccante in queste pagine: un libro autobiografico la cui eterogeneità può interessare i tanti.

Lo incontriamo quando da ragazzo "sorprendeva" fin se stesso nello scrivere imitando -benissimo- lo stile d'altri (come del "coloratissimo" Marotta). Quindi, per rassicurarsi davanti al dramma del foglio bianco, ricordava a se stesso che a scuola scriveva fin il tema del compagno di banco.  Poi capì -imitando- "di esser caduto in basso per non aver il coraggio della propria originalità". Così, oggi, l'obiettivo nel libro è centrato perché questa è storia di Romolotti che ama scrivere da sempre e vuole scrivere finché avrà respiro. Una vocazione pur se da pubblicitario ha guadagnato di più.

Lo ritroviamo giovane uomo nel racconto "Levando gli occhi al cielo" alla morte del padre. Il momento per cui le mamme si accorgono di non aver preparato il figlio. Deve scegliere la bara e per farsi forza va con un  amico glottologo e molto colto in omaggio al padre, uomo colto che l'aveva allevato a Platone, ecc..

La sorpresa, davanti alle casse allineate, è alzando la testa quando vedono pendere dal soffitto una sfilza di prosciutti. L'impresario di pompe funebri spiega che il locale,  ben umidificato, è il più adatto alla conservazione. Escono, lui e il glottologo, con un prosciutto sottobraccio: la vita  trionfa.

Di recente dopo la "sberla" di cui parla in Medjugorje, E dopo? quando gli capitò di fotografare la silhouette della Vergine e si chiese: "Perché proprio io?", ha scritto articoli sulla Beata Chiara Badano e sui tossici di Suor Elvira, illuminando aspetti di carità e ricupero in Liguria.

Una risposta in fondo non lontana che si trova leggendo "La casetta di Loreto" dove l'autore s'interroga, e molto partecipe, su cosa si dicessero tra quelle pareti Giuseppe, Maria e Gesù. C'è in lui una fede radicata e semplice che vede la nostra famiglia a specchio della divina. Un altro esempio di fede? Nel dilagare delle palestre ci consiglia non il body building, ma il soul building (=costruzione d'anima).

Il racconto "A caccia di vecchiette" ci presenta il nonno "terribile" con nipoti piccoli nel momento in cui lo vedono come colui che sa e lui li scorrazza in auto, accostandosi  per indurle al saltello di lato che per un attimo le rende ancora sgarzellette.

Ma c'è un altro nonno, meno ironico, nella lettera aperta "Cari nipoti. E non..." I suoi sono ormai grandi, dato che in questo giugno festeggia i 50 di matrimonio: li considera vittime della disastrosa politica economica ed etica degli ultimi 60 anni, già disastrosa quando c'era una Democrazia "non cristiana". Simbolo della disgraziata politica il re rosso Giorgio Napolitano che con l'amico Cossutta portò per anni milioni di dollari - non rubli! - dalla Russia per finanziare le scorribande finanziarie e politiche del PCI. Gli imputa attuali errori politici come i clandestini da noi imperversanti mentre lui, il comunista-doc, sta in ginocchio pro un'Europa scristianizzata...

Tornando al libro  una pagina ci inorgoglisce (p.67): "l'Italia è un paese ricco che riesce sempre ad emergere, con 3mila chilometri sul mare, con laghi fiumi vulcani isole e le montagne più alte d'Europa... Fabbrica Ferrari, telai per tessere, scarpe dalla suola rivoluzionaria, cappelli, stoffe, meccanica di precisione e - purtroppo - sindacalisti "in quantità industriale..." "Si può sorridere anche seriamente" - dice Romolotti, ma proprio per questo Paese, che  sa amare così tanto, in tanti lo apprezzeranno.

                            Maria Luisa Bressani

 

Aggiungo ora la recensione ad un recente libro di Gianni Romolotti (v. Pagina Religione il suo Medjugorje. E dopo?)

 

      
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