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18 . INDICE   DONNE, GIORNALISTE, e Ci-Ciu-Ciò

Chiara Rolla e Sergio Poli   - Per un Museo virutale: Il Salone delle Donne Illustri 2012

Gabriella Airaldi  - Senza un denaro - Il Giornale 16 gennaio 2011

Ada Morchio Poesie articoli ceramiche Il Giornale 8 gennaio 2010

Grazia Zerbi   - L'Affresco 2011

Miriam Pastorino   - Orfani - Il Giornale  12 giugno 2011

Monika Bulaj  - Genti di Dio - (Intervista e  Mostra) Il Cittadino 11 marzo 2007

Francesco De Nicola e Pier Antonio Zannoni      - Giornali delle donne, giornali per le donne- 2012

Donatella Alfonso    -Ci chiamavano Libertà. Partigiane e resistenti in Liguria 1943/45- Il Giornale  27 febbraio 2013

Vanda Bertuzzi (moglie di Alberto Nobile) donna partigiana 2012

Tre quadri del marito Alberto Nobile: Ritratto di Vanda, Ritratto Romantico e Donna con gatto

 XXXV Cammeo: Le ci-ciu-ci/ ci-ciu-ciò

 Gianni Baget Bozzo  -L'Occidente non ha solo doveri- articolo su Il Giornale

Nicla Vassallo  - Conversazioni - 2012

Sandro Antonini      - Variate solitudini- 2012

XXXVI Cammeo: Tipologia di giornaliste dal saggio su Oriana Fallaci in Scrittrici del Novecento italiano (di cui Adriano Bellotto suggerì di fare ritratti radiotelevisivi): "la cordialotta, la pimpa, la trilli trilli, la trovarobe di vecchiumi, la goffa"

Italo Rocco: poesia per l'8 marzo e recensione al Canto dell'Umanità Settimanale cattolico 19 dicembre 1995

Copertina di Sìlarus  con il Sele, 1962; il Comune di Battipaglia intitola la sezione Letteratura italiana della Biblioteca Alcide De Gasperi ad I. Rocco; Copertina Sìlarus 2004 con La Scafa sul Sele di Filippo Hackert

J lobby you - Rating di Confartigianato: pagella ai funzionari della Regione Il Giornale 27 novembre 2011

Carta dei diritti della Bambina Il Giornale 14 giugno 2013

M-L. Bressani   -Begonza (la donna due volte gonza) 1977 -Prefazione di Angiola Sacripante

Brueghel I Mendicanti

M.L.Bressani Agenda Lo Faro (1998) Presentazione Scrittrici italiane del '900 e L'Aurora  25 novembre 1974 con articolo di I. Montanelli e per il decennale della scomparsa di Ardengo Soffici articolo su La Voce.

Adele Cambria "E da quel giorno donna fu più bello", Il Giorno 8 marzo 1985

Cinzia del Maso: Priverno. A casa della volsca Camilla

Per un Museo virtuale: Il Salone delle Donne Illustri

di Chiara Rolla e Sergio Poli

Per un museo virtuale: il salone delle Femmes illustres (Genova University Press) appare un libro nuovo, anzi molto nuovo nel panorama italiano per le tecniche di comunicazione, incluso il sito allestito su Internet. Nello stesso tempo è libro di sapienza antica: si colloca nella colta tradizione letteraria risalendo alla romanità, ai greci, anzi all’aggiornamento degli ideali di Femmes Illustres. Scritto con probabilità  a quattro mani dai fratelli Georges e Madeleine Scudéry, pubblicato in due parti di cui la prima nel 1642 con venti Harangues (Arringhe), la seconda nel ’44 con altre venti.

E’ un libro spartiacque, forgiante di una nuova concezione della donna con anticipi di femminismo. In Omero la donna non parla, in Ovidio scrive lettere (Eroidi), mentre con Les Harangues scopre la parola come strumento di persuasione e potere. Fin la traduzione letterale dal francese significa anche “predica, ramanzina”: perché  l’ideale affermato dai fratelli Scudéry, frequentatori del salotto  della marchesa di Rambouillet a Parigi, è di una donna forte. Quattro le caratteristiche: “Immaginazione potente, chiaroveggenza, memoria felice, giudizio sicuro”. Illuminante poi la domanda con cui s’interroga da sé: “Tutte queste doti noi, le donne, le impiegheremo solo per arricciare i capelli?” Un libro d’attualità nell’oggi di ragazze abili a ben presentarsi, spesso carenti nei campi tradizionali: cura dei figli, salute del matrimonio.

Dieci anni dopo arrivò la reazione di Molières con Les Precieuses Ridicules (1659) e basta consultare la Garzantina per scoprire che i testi dei fratelli Scudéry furono il successo letterario del Seicento in Francia, ma  “le preziose” si mostrarono più sensibili “al grazioso e allo spiritoso che al bello e al geniale”. Tema attuale perché tuttora esistono “femmes savantes”, tuttologhe “d’inarrestabile cinguettio”. Senza scomodare Molière (o Goldoni che lo seguì in questa critica del femminile), ho coniato per loro l’appellativo “cinguettone” o “ci-ciu-ci/ci-ciu-ciò”. Questo perché la parola acculturata deve avere basi solide come quelle indicate nel primo saggio del libro, di Chiara Rolla. La brillante ricercatrice genovese si sofferma sul termine “illustres” in quel tempo: “Fama per merito, virtù, nobiltà (d’animo), eccellenza” e nella conclusione  ci chiarisce il suo intento: “Far risorgere un testo, una coppia d’autori, una società, una cultura, un’epoca!”

Altrettanto interessante il saggio di Sergio Poli dedicato ai vari passaggi che hanno portato al sito universitario: http://www.femmesillustres.unige.it. Saggio introspettivo sul femminile  come per Briseide (schiava d’Achille)  con titolo “La carriera letteraria d’una donna di fiction”.  Saggio stupendo nei rapporti della schiava-principessa con Achille, Patroclo, Polissena. E’ anche rilettura degli eroi antichi per come sono trattati nel film “Troy”, chiedendosi se Agamennone sia un Napoleone visto da destra o un Hitler: perché l’indagine dei ricercatori spazia dall’antichità ai nostri giorni e si precisa attraverso vari generi espressivi. Il saggio finale di Elisa Bricco e Simone Torsani “Il passato nell’era del Web: un Progetto multimodale” spiega che il Progetto è nato nel 2004 quando la sezione di francese della Facoltà di lingue straniere dell’Università di Genova decide di rendere omaggio alla docente Rosa Galli Pellegrini, che aveva “dissodato” la critica intorno al testo degli Scudéry (e i suoi saggi sono nel libro), però con un’intenzione “futurista” e l’edizione elettronica delle Femmes Illustres. Si è poi giunti al MuViFill e chi si collega a semplici icone raggiunge risorse testuali/ iconografiche/ musicali/ approfondimenti linguistici. In un saggio di Anna Giaufret si riscontra l’uso del colore che c’era nei codici miniati  quando il libro, nascendo, doveva attirare.  Con lei ha collaborato un’altra professoressa universitaria autrice di Imparare dai bambini. Proprio nella verifica su Internet o percorrendo questo libro Pour un musée virtuel: Le salon des Femmes illustres (titolo in francese per saggi in francese e in italiano), il lettore constaterà il livello raggiunto nella nostra Università.

Dal libro anche qualche insegnamento morale come nella 17esima Harangue del secondo volume: “L’odio non vada oltre la tomba”. Da riconsiderare ora che qualcuno auspica un altro Piazzale Loreto, ore che in Paesi d’antica civiltà si percepisce “di ritorno” una tremenda inciviltà del cuore: le primavere arabe, il medio oriente e l’oriente in fiamme rivoluzionarie. E per la morte della Tatcher chi nel nord Irlanda ha stappato per strada bottiglie di spumante.

                  Maria Luisa Bressani

 

 

 

 

Senza un denaro al mondo

di Gabriella Airaldi

Senza un denaro al mondo di Gabriella Airaldi per De Ferrari  è un libro sostanzioso nel senso che pur di agile lettura può interessare diverse fasce di lettori. E’ un libro a scenari. Il primo scenario si alimenta di storia. Airaldi, dal ’76 professore ordinario a Storia medievale (uno dei migliori indirizzi dell’Università genovese), ha 400 pubblicazioni e all’agguerrita professionalità coniuga l’introspezione sul cuore dell’uomo. Su “La storia è il racconto del cammino dell’uomo nel mondo”, frase di Marc Bloch, innesta due interpretazioni. La prima ci viene dal protagonista Giovanni Antonio di Faie, speziale in Lunigiana, che ci ha lasciato una Cronaca dal febbraio 1448 fino alla morte nel ‘70, di cui –chiudendola- ci dà notizia il figlio Raffaello. Il protagonista, nato poco dopo la morte del padre, restò orfano di madre a 10 anni. Si costruì un’esistenza onorata e la sua interpretazione è che l’individuo sia “creatore” di storia.

Nella sua personale ricorre il violento Giorgio Malaspina che lo bandisce dal feudo dopo avergli rotto gli “alberelli” (i vasi di ceramica da farmacista) ed avergli spezzato il bancone della bottega, che lo getterà in carcere per diventargli di nuovo amico fino a farlo padrino dei figli.

L’altra interpretazione è che lo speziale sia rappresentante di un “anonimato collettivo” in via di affermazione nella scala sociale. La sua storia non è individuale, ma piuttosto simile ad altri che si fanno strada con la volontà di mangiar pane bianco non solo nelle grandi occasioni. Allora il grano, importato, era un bene prezioso sostituito nella quotidianità dall’amaro paníco, da più umili cereali e dalle castagne.

Nel libro compare una folla di migranti: i cattivi, persone molto invidiose del suo successo, i buoni, pochi veri amici, le donne, forti come la madre, con il cui nome, Guglielmina onorerà ben due figlie, in quanto la prima morirà presto.  Un’epoca dura, quella di Giovanni Antonio, di transizioni politiche, guerre e capovolgimenti per pestilenze. Della famiglia originaria con terre e molini, quindi benestante, la peste del 1348 se ne porterà via 21 su 25, lasciando in vita il suo bisnonno che ad appena 16 anni se la dovrà sfangare da solo nell’alta valle del Bagnone.

In questa nuova società l’Airaldi ci spiega la “virtus” del mercante, cioè come lo speziale protagonista e come lui altri giovani del tempo siano in continuità con il cavaliere medievale. Per dirla in breve ad Orlando delle Chansons de geste, cantato dai trovatori che allietavano la corte dei Malaspina dello Spino fiorito (padroni di quest’area territoriale), si sovrappose il mercante avventuroso, capace d’intraprendere e di rinnovarsi, descritto nel Milione di Marco Polo. Per il lettore è la gioiosa sorpresa di una storia non più arida ma spiegata nelle motivazioni ideali.

Tra gli scenari  uno riguarda i possedimenti delle grandi famiglie: in Lunigiana i Malaspina, ma anche i Da Noceto, e nell’immediato circondario che includeva sia Firenze come Genova, conquistatori e altri grandi come i Fieschi.

Un altro scenario riguarda l’ambiente, descritto nelle sue rocche, come “Malnido” del genovese Giano Fregoso, della cui famiglia nel 1421 il doge Tommaso ottenne, in cambio della cessione di Genova a Filippo Maria Visconti, le terre da Sarzana fino a Pietra Colice e nel 1480 l’arcivescovo-doge Paolo fu a capo della flotta contro i Turchi ad Otranto. Un ambiente descritto nei fiumi che nel 1452 raggiunsero piene mai viste, nei nuovi ponti come quello costruito sul Magra alla foce del Bagnone, subito “un po’ smosso” da un diluvio settembrino. Descritto nelle vie percorse dai pellegrini verso Roma ed infestate dai “Pelacriste”, i briganti.

Tanti i personaggi comprimari tanto più che lo speziale dal 1451 ci dà il “profilo socio-demografico” di Bagnone, dove vive e in cui abitavano 38 famiglie. Ci indica protagonisti di una vita lunga: zia Franceschina morta a 112 anni, il marchese di Villafranca che novantenne andava “in zazara con li capelli bianchi come neva”. Ci ricorda in quell’anno anche la morte di Gianlugi Fieschi nella sua Torriglia, nel 1466 la scomparsa di Francesco Sforza, duce di Milano e dal ’64 signore di Genova, il “più saggio uomo d’Italia”.

Se uno scenario affascinante riguarda grandi famiglie, Genova, i Papi del tempo, non meno interessante lo scenario ambientale con le pazzie del clima, registrate perché influenti sui raccolti. Nel ‘42 Arno e Po ghiacciano, nel ’59 non ci fu inverno e a Natale si coglievano susine.

Su tutte le figure si staglia Giovanni Antonio che giovanissimo apprendista passava le notti a compitare, sforzandosi di non cedere alla stanchezza perché “saper scrivere apre tutte le porte”. E lo sterile alibi del “nascere dall’altra parte” che impedisce gli studi non ha a che vedere, allora come adesso, con la voglia di elevarsi. E’ un pensiero per chi perde tempo nei cortei studenteschi.

                              Maria Luisa Bressani

 

 

L'Affresco  di Grazia Zerbi

L’Affresco di Grazia Zerbi (Runde Taarn Edizioni, Gerenzano di Varese) rivela una scrittrice autentica e la presentazione dei cinque racconti sottolinea che rivendicano “la centralità dell’Altra Metà del Cielo”. Zerbi ha scritto Diario per caso (2001) e  Storia di Martita (2003). A chi li voglia leggere comunicheranno una visione al femminile, intimista, profonda. L’autrice vive soprattutto a Bordighera, poco ormai a Saronno, e lo scenario è dominato dal paesaggio ligure-francese: “Lunghe onde verde-dorato di viti, macchie argentate d’uliveti”. La prima voce è il rumore del mare,  il saluto della Riviera a chi viene dalla nebbia. Su questo sfondo una domanda accomuna le donne: “Io? Cosa significo in tanta compiutezza?”

Le trame riguardano: una moglie, stanca di una quotidianità cui non si era mai ribellata, che fugge al mare; una madre che va al mare ma per sottrarsi al ricordo della figlia giovanissima, schiantata in moto in “un autunno di foglie rosse come il sangue”; una cinquantenne che vive il distacco d’amore con un ragazzo giovane; due sposi paghi di sé e della quieta normalità; “La Charmeuse” (nome dato ad una casa al mare) dedicato al padre.

Nei racconti all’inquietudine esistenziale della donna moderna fa da contraltare la saggezza degli umili: di Maddalena che aiuta in casa e un giorno arriva con un mazzo d’alloro, ulivo, cipresso e ortensie violette suggerendo l’affresco che intitola il libro; di Nanni, una tata che ha allevato la mamma di Anna, la ragazza morta in moto. Delle stelle diceva che le vediamo rovesciate. “Brillano dall’altra parte mille volte di più, là dove stanno tutti i morti.”

A fianco di queste donne, le giovani: figlie “che vale la pena di vivere, come scatole a sorpresa delle quali almeno una riscatterà le deludenti”, figlie aggressive che rifiutano come “banale, statico” l’insegnamento, un ruolo tradizionale. “Cosa c’è di statico nel nutrire le menti dei bambini, nell’insegnare il gusto della parola?” si chiede una madre che vive immersa da sottomarino nella “banalità della giornata”, che dell’amore con il marito pensa: “Siamo tutti e due miti, miti l’uno verso l’altro, con il prossimo, con gli accadimenti”. E dei ricordi per chi non è più: “Credo anche la resurrezione sia tutta lì, nel ricordare”. Se il suicidio sembra talvolta unica sortita dalla vita, ogni esistenza s’inscrive nella perfezione di un cerchio, come in un arcobaleno: dal cuore della terra al sommo cielo.

L’ultimo racconto di questa signora d’animo è per il padre, quando lo veglia in morte. Vorrebbe spalancare le finestre per far entrare la luce, perché lo ripensa a “La Charmeuse”, vitalissimo sulla battigia con la camicia come una vela in vacanze di una lunga felicità di famiglia. In questo racconto il ricordo di un disegno dai colori accesi che fece bambina. La sorella maggiore lo criticò senza capire che l’irrazionale ci fa vedere di là del naso. Pregio del libro una scrittura cromatica come il caleidoscopio dei sentimenti. Tenera la storia del cagnolino Tom di cui, in stazione, un ragazzo nel partire per militare le mise in mano il guinzaglio: “Non ho a chi darlo”. Il padre, che lei aspettava, sceso dal treno lo prese in braccio, accettandolo. Questo ha significato l’Altra Metà del Cielo: affetti, colori, particolari a creare l’affresco del nostro vivere.

Forse Grazia Zerbi mi è rimasta così simpatica anche perché con il marito (come i Biagini) sono una colta coppia di scrittori. Il suo, Silvio E. Vignetta, 90 anni, è autore di Una lunga vita con la storia di tanta industria italiana del “boom” e degli eventi che hanno percorso tutto il Novecento. Forse perché, in controcanto con le arrabbiate d’oggi, mi ha detto: “A dispetto di questo così conclamato inaridimento dello spirito, non smetterò di credere che ci sarà, nel tempo, un recupero di valori fondanti della vita”. E mi ha chiesto una critica vera, “se no, non serve”: umiltà di una vera scrittrice!

                         Maria Luisa Bressani

 

Orfani e altre storie crudeli

di Miriam Pastorino

“Osservatora” così Lalla Romano ricorda che la definivano da bimba e lo stesso sguardo, acuto e attento, è di Miriam Pastorino. Nel suo Orfani e altre storie crudeli si presenta  da cronista di razza: analizza senza entrare in circuito emotivo con i personaggi. Senza dar giudizi lascia che siano i fatti a parlarci. Ci offre otto racconti su una realtà senza bisogno di verosomiglianza perché è vera: ogni lettore ha certo visto storie del genere. Storie di egoismi che hanno portato allo “sfascio di valori” nella nostra società. Avverte Miriam: “L’aver vissuto, riponendovi qualche speranza la rivoluzione progressista, mi ha spinto a immaginare un percorso di risanamento che dovrebbe avvalersi degli stessi aspetti “militanti” usati dai progressisti per scavarci la fossa”. Mette in risalto come gli individui, privati di un ordine superiore cui tendere (l’attuale vuoto di ideali), sacrifichino “quanto hanno di più caro sull’altare della confusione e dell’instabilità permanente”.

Per esemplificare, dalla sua galleria di protagoniste.

In “Troppo tardi” Maddalena, già aspirante top model, pensa d’aver rimunerante sistemazione con Giorgio, marito separato. “E’ ora delle vitamine e degli antiossidanti”, dice ossessionata da diete e conto-calorie quando apre il frigo. Al desco “che piange” (verdurine scotte, massimo un uovo sodo sbriciolato), parla al quasi marito di “colesterolo buono” e immaginatevi la gioia di lui ai monotematici discorsi. Poi, a 45 anni, credendosi incinta per un’amenorrea causata da restrizioni alimentari, spera d’incastrare il poveretto.

Tra altre donne dissennate, anche le “eterne bambine”, tardone che gareggiano con le figlie ventenni, anche ex sessantottine, rimaste incinte durante le occupazioni universitarie, che poi abbandonarono il frutto del parto per correre in Oriente dietro droga e filosofie stranianti. Deludenti pure le anziane madri del tempo, quelle ancora campagnole, così pronte a coprire figli teppisti. Questi, presi poi dal lavoro (in un negozio procurato in cambio di voti da un politico compiacente), ricambieranno mamma, lasciandola morire sola, senza accompagnarne il feretro per non rinunciare al veglione di capodanno già prenotato.

Compaiono anche genitori, così egoisti da non saper fare i nonni. Nell’età della pensione, quindi più liberi del proprio tempo, si giustificano con gli acciacchi per godersi scampoli di vita, regredendo al giardino d’infanzia. E i padri?  Paste frolle in mano alla compagna di turno, eternissimi bambini, incapaci di rapporto affetivo-educativo con i figli.

Non mancano le bambinaie per i neonati  e le badanti per gli anziani: delle prime, scelte in base al “chi costa meno”, si nota l’incoscienza, delle altre l’arte del raggiro che inizia con un florido seno poggiato per caso sulla spalla del vecchietto seduto. Brutto, bruttissimo mondo!

Dal marciume qualche fiore di speranza.  Una figlia adolescente, costretta a trascorrere un mese con il padre separato, gli esibisce un tatuaggio: un  cuore con dentro tre iniziali. Del nome suo e dei genitori. Mai ha dimenticato l’attimo magico in cui, bambina, cresceva con loro, giocando, ridendo. Ignorerà del tutto il padre quando questi sessantenne si farà irretire da una trentenne russa. Storie così comuni nella società globalizzata dove è avvenuta anche la globalizzazione di mogli d’ogni razza e provenienza.

Dal marciume, tra i fiori giovani donne in carriera che prima hanno studiato tanto e poi lavorano come matte, dimenticando ogni affetto. Compaiono nuovi mestieri e dalla nuova categoria di lavoratori spunta qualcuno più responsabile. Un ragazzo, esperto di computer, perciò chiamato “tecnomago” dalla matura compagna, rinsavisce per un amore giovane; un pubblicitario che aveva scelto una simpatica coppia di vecchietti per una  pubblicità, quando li scopre raggirati da una badante, avverte la figlia lontana, minacciando di sporgere denuncia alla polizia. Così lei sistema i genitori in una casa di riposo, certo più controllata.

Se una filosofia si ricava da queste storie disperate è che il ’68, le sue conseguenze, la recente globalizzazione, sono stati un tornado su chi non  aveva “case” mentali sicure per affrontarli. Nella buriana c’è chi ha continuato a lavorare, a costruire, a sperare. In sottofondo, l’ideale di una scuola formativa, di genitori e nonni capaci di riappropriarsi del compito educativo, di un mondo del lavoro senza i sindacati della lotta di classe e dove le industrie non si spostano da Occidente ad Oriente per un risanamento da vasi comunicanti, troppo presto saturi. Un mondo dove ci sia spazio per sentimenti antichi, dove i segni di un lutto restano in cuore e non solo sulle vesti, com’era per gente povera e semplice. Dove non ci sia un girotondo di separati o vedovi, anche donne è naturale, allegrissimi per l’usa e getta del partner purché resti salvo il diritto al proprio piacere o benessere.

Il testo, di preziosa scrittura al femminile, è nei Libri del Peralto, (supplemento Rivista “Tradizione”, ed. Ruggiero, via Pianelli 47, 20125 Milano).

 

                       Maria Luisa Bressani

  

La precedente recensione riguarda il primo libro di narrativa di Miriam Pastorino, una vita per la scuola, ora presidente dell'Associazione Voltar Pagina tesa a contrastare il mondo del nichilismo e a ricuperare sani valori della tradizionde.

Il perché si capisce da alcuni racconti e per me è esemplare quello del tizio che s'innamora della tizia molto più giovane e fissata con le diete, ossia quella che si fa saltare da una mano all'altra una bottiglietta d'acqua minerale. Quante ne vedete in giro e quante coppie con il più "maturo" a fianco della più giovane che gli può esser figlia o nipote? Quale dialogo fra loro? Quali valori? E ci avviamo così verso quelle donne che io chiamo le ci-ciu-cì/ ci-ciu-cio, ma ve le descriverò attraverso recensioni. E la carenza non è solo loro e anche di uomini "immaturi a vita".

Genti di Dio di Monika Bulaj

(Intervista e Mostra)

Le affascinanti 130 foto a colori di Monika Bulaj, un viaggio per immagini nell’altra Europa, nei microcosmi dimenticati tra Mar Baltico, Mar Caspio, Mar Nero resteranno alla Loggia degli Abati di Palazzo Ducale fino al primo aprile. Un’occasione per conoscere periferie incantate segnate dalla Storia. Non solo periferie d’Europa, anche periferie delle fedi, periferie speciali dove i monoteismi, oggi in conflitto, generano – a sorpresa – terreni di coabitazione.

Com’è nata l’idea di questo straordinario Reportage/ricerca sulle religioni monoteiste?

“E’ stato un work in progress lungo dieci anni”, spiega Monika.

“Il progetto è nato per riempire il vuoto che mi ispirava la religione mentre crescevo in Polonia, per riempire il silenzio”. Il Dio del silenzio è quello del dopo Auschwitz, ma lei ha rifiutato quel silenzio per riempirlo di voci, volti, storie: “Tutti possono raccontare cose interessanti, bisogna ascoltare cogliendo il meglio di ciascuno. E come la Comunità Ebraica ha collegato i luoghi immaginari dei sopravvissuti della Shoà, così ho fatto io in Ucraina, Azerbaigian o altrove anche ripercorrendo luoghi con nomi legati ai Santi”.

Monika si è laureata in antropologia all’Università di Varsavia, vive a Bergamo con la famiglia e con i tre figli, cittadini italiani come ama precisare. Collabora a diversi giornali italiani, al National Geographic, in Polonia alla Gazeta Wyborcza e nel 2005 ha ricevuto il Grant in Visual Arts da parte dell’European Association for Jewish Culture”.

Tappe sempre diverse e arricchite del suo progetto sono state una prima Mostra al Teatro Sociale di Bergamo, un’altra nel novembre scorso  nell’ambito di Religioni per la Pace, incontro tra fedi diverse organizzato a Trento. La Mostra genovese, voluta dal Centro Culturale Europeo promosso dalla Fondazione Carige nel 2004, sta per diventare un libro con l’editore Frassinelli, con cui ha già pubblicato Gerusalemme perduta (in collaborazione con il triestino Paolo Rumiz) e Figli di Noè, poi prodotto come documentario da Lab80 Film.

Monika rievoca alcuni eventi storici che hanno segnato la Polonia. Il 1569 quando Sigismondo Augusto riunì in un unico grande stato Polonia e Lituania. (Per inciso, nonostante l’elettività della corona, era riuscita a farlo salire al trono polacco l’energica madre italiana Bona Sforza). Il 1918, Trattato di Brest Litovsk con cui la Russia riconobbe i diritti della Polonia e dovette cedere, oltre alla Polonia orientale, le province baltiche, l’Ucraina, la Finlandia, la Transcaucasica.

“La Polonia era uno stato immenso, plurietnico – sottolinea - e fino al ’39 vi ha vissuto strettamente con i polacchi la più grande comunità ebraica”. All’occupazione della Polonia da parte di tedeschi e russi nel settembre 1939 Pio XII, profetico, disse: “Ma le Nazioni non muoiono”.

Monika ricorda le sofferenze della guerra, i pogrom e gli straordinari atti di coraggio. Non scende nei particolari, ma a me piace ricordare la storia dello Schindler polacco dei bambini,  Janus Korczack che aveva aperto la “casa degli orfani”  di Varsavia, fiore all’occhiello in Europa fino al ’42. Quando quei bimbi del ghetto furono inviati al campo di concentramento di Treblinka, i nazisti per la sua fama gli offrirono la salvezza, però Korczack preferì morire con i suoi orfani nel lager.(v. L’impossibilità della storia. Tributo a Janus Korczack di Dario Arkel e Anna Rella).

Ricorda ancora l’occasione perduta del dialogo tra le Chiese, il gravitare di parte dei credenti verso la Chiesa ortodossa poiché dal punto di vista sociale la Russia era identificata con l’ortodossia, quindi la rinascita delle cupidigie russe sulla Polonia che a fine guerra si trovò con confini mutati, con spostamenti giganteschi di etnie e con un governo unitario che operava sotto la guida dei comunisti. Così Monika si è mossa, proprio in senso materiale, percorrendo chilometri a piedi alla ricerca di testimonianze delle piccole comunità aggrappate alla loro antica tradizione religiosa.

Ha scritto degli Udi della terra di Nic, in Azerbaigian,  cristiani dell’antichissima lingua degli Albani che sarebbero i capostipiti dei Vichinghi e che furono convertiti da Eliseo: “Sempre perseguitati per la loro fede dai persiani, dai bizantini, dagli armeni, infine dai sovietici che tolsero loro le croci dai muri, gli Udi finirono per adorare la Luna e gli alberi. Finito l’ateismo di Stato, con la riscoperta della fede mandano delegazioni in Polonia per imparare a costruire le chiese e hanno regalato una croce a Giovanni Paolo II, ma sono indecisi dove spedire i giovani per farli diventare preti: nella chiesa georgiana, ortodossa, cattolica o luterana?” Le Religioni monoteiste, pur stravolte dal sincretismo o da coabitazioni che le portano a sfiorare la superstizione, sono più forti delle ideologie e  sono anticorpi allo scontro fra i fondamentalismi.

Dice ancora: “Mi piace fotografare all’alba o al tramonto”.

I suoi colori sono caldi, sembrano impastati di terra, fin gli spazi aperti hanno il calore di interni di una casa misteriosa perché come animati da presenze vive. La pastosità delle sue luci sospese nel tempo e la sua fotografia visionaria fanno venire in mente la Mostra che abbiamo visto al Ducale nel 2000 Il silenzio dei Maya di Luis Gonzalez Palma, guatemalteco che lavorava ritratti allegorici con cera e bitume liquido. Giovani artisti che con sensibilità diverse sanno guardare così lontano da restituirci le culle perdute dell’uomo.

                    Maria Luisa Bressani

Prima di passare a Giornali delle donne, giornali per le donne,  ricerca anche legata al Premio Rapallo Prove dedicato alla scrittura femminile e quindi circoscritta a Genova e Liguria, ho voluto presentare Monika Bulaj, capace di idee originale e da vera "giornalista" capace di verificarle sul campo diversamente da ciò che fanno i tanti con "i sederi di pietra sulle sedie della redazione" anche perché facilitati ormai da Internet.

Il mio pensiero è che le radici di Monika sono in quella Polonia da cui venne il grande Wojtyla, cioè da una terra che subì l'oppressione del Comunismo. Ho scritto fin in una delle mie tesi all'Università Cattolica che il '68 fu vera ribellione là dove c'era oppressione come nella Praga di Jan Palach e fu fatuo rebellismo sia in Usa che nella gauche francese dove a scatenarsi furono tanti figli di papà allevati tra gli agi e vissuti nella libertà.

I "Giornali delle donne" anticipano il pensiero femminile che sottrae le donne alle "precieuses ridicules " di cui le Ci-ciu-cì/Ci-ciu-ciò sono figlie.

Giornali delle donne giornali per le donne 

di Pier Antonio Zannoni e Francesco De Nicola

Al termine di una “Tavola rotonda sul giornalismo femminile” Luciano Basso, già direttore di queste pagine liguri del Giornale, nell’inevitabile confronto tra giornaliste e colleghi, concluse: “E gli uomini? Si mettano a studiare”.

Con questo ricordo Pier Antonio Zannoni chiude un prezioso librino, formato quaderno, un gioiello in meno di 80 pagine: “Giornali delle donne, giornali per le donne”. Curato per le “Ricerche Marsilio” da Zannoni (giornalista per Cultura in RAI, ideatore del Premio Rapallo Carige) con Francesco De Nicola (professore di Letteratura contemporanea, presidente della Dante Alighieri). Un librino imprescindibile per la storia del giornalismo femminile, giunto in dieci riedizioni al 2010 dell’ultima.

Lo apre un saggio di Claudio Marabini su giornalismo e narrativa di donne-oggi perché “il mondo femminile sente con partecipazione la realtà e la possibilità d’interagirvi”. Tra le giornaliste ricorda Cederna e Maraini, tra le scrittrici Morante, Lalla Romano, Ortese, Bellonci, Fallaci con autrici più recenti dalla Mazzantini a Patrizia Bisi, definita con “Daimon” un’avanguardia in attesa di conferma. A seguire, Elvio Guagnini scandaglia la produzione femminile tra Sette/Ottocento con chicche come la forte presa di posizione de “La donna galante ed erudita. Giornale dedicato al bel sesso” (1786), sul matrimonio di convenienza (e oggi non appare diverso il matrimonio imposto in altre culture): è considerato una forma di prostituzione. Altrettanto forti le parole di M.me de l’Espinasse (e altre colte contemporanee) sul “Corriere delle dame” (1804): “La donna che si fa merito di sua bellezza, annuncia da sé medesima di non averne altri maggiori”. In sintonia parole di Goldoni, un  moralista, pur se una commedia come “Le smanie della villeggiatura” (o attualmente “le smanie dei viaggi”) sembra un “must” per la godereccia mentalità odierna. Resta indubitabile che la villeggiatura ha cambiato i luoghi al punto che quando i turisti rientrano sembra di vivere in villaggi di morti.  Quanto ai viaggi, stimolano è vero, ma quanto ci fanno conoscere in pochi giorni culture anche millenarie?

In testa alla classifica dei requisiti femminili Goldoni pone l’onestà, al quinto posto “la virtù, ma non si usa più”.  Le tante firmatarie del “Se non ora ma quando”, scatenato contro Berlusconi da Concita De Gregorio, quanto hanno in comune con  Goldoni moralista o Dante del “tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia...” Nello spettacolo di donne che vanno “vestite nude” come dice una mia zia novantenne, di veline la cui imitazione dilaga per strada, sarebbe auspicabile un ripensamento di femminilità, specie se legata all’avvenenza ma senza meriti e senza “la virtù che anche oggi non si sa dove sia”.

Quanto diversa la battaglia per l’emancipazione della donna, del primo “La Chiosa”, “settimanale di donne, per le donne e fatto tutto da donne” fondato da Flavia Steno alla fine della I guerra mondiale. De Nicola, nel suo saggio con la luce di una profonda cultura, ricorda il momento della Riforma Gentile che vietò alla donne l’insegnamento di lettere classiche, storia e filosofia nelle scuole superiori o le impiegò come istitutrci nei collegi femminili. Ricorda la dura polemica della giornalista con Mussolini “rivoluzionario senza meta”, quando iniziò l’ascesa tra il 1922 e il ‘25. Poi nel ’27 il settimanale (ma Steno si era dimessa nel ’25), s’inginoccbhiò al Duce riportando queste sue considerazioni sulle donne: “Delizioso passatempo, un aiuto per sviare il corso dei nostri pensieri”.

In conclusione del librino, una panoramica di studiose di giornalismo. Elena Doni (“Donne, giornalismo e giornaliste televisive”) con il riconoscimento dei passi compiuti dalle donne nella carta stampata e in Tv che le invia sui luoghi di guerra; Cristiana di San Marzano su “Giornali femminili e il femminile nei giornali”, stampa e argomento fortunati.

E la presentazione di Zannoni  a “Giornaliste in prima linea”, le protagoniste della tavola rotonda citata: Monica Maggioni (inviata di guerra), Donatella Alfonso, Elisabetta Vassallo. Tutte evidenziano come le donne che vanno a far spesa, accudiscono figli ed anziani sono le prime ad accorgersi di una crisi economica e dei problemi. Mirella Serri si defila dal loro manipolo, in quanto insegna Letteratura Italiana Contemporanea all’Università di Roma e come giornalista collabora a riviste nel settore Cultura, meno in prima linea rispetto a Politica ed Esteri. Si sofferma su un aspetto nuovo: il cambiamento di stili e linguaggi operato dalla femminilizzazione nel campo della pubblicità. Sembra però non voler dire (orgoglio disilluso?) del livello più strategico e formativo: la Cultura.

                                        Maria Luisa Bressani

Ci chiamavano Libertà - Partigiane e resistenti in Liguria 1943/45 

di Donatella Alfonso

Ci chiamavano Libertà - Partigiane e resistenti in Liguria 1943-45” di Donatella Alfonso (De Ferrari), che ha padroneggiato una materia a più voci, facendone un’epopea unica, fa capire  le diverse motivazioni delle partigiane. La loro “Libertà” ha avuto mille nomi come in una poesia di Paul Éluard: “Sui miei quaderni di scolaro/ sui miei banchi e sugli alberi/ sulla sabbia e sulla neve/ io scrivo il tuo nome/ Su tutte le pagine lette/ su tutte le pagine bianche/ pietra sangue carta cenere/ io scrivo il tuo nome”.

Penso a Vanda Bianchi, staffetta tra Sarzana e Val di Magra, il cui padre socialista vendeva l’Avanti, non aveva la tessera del fascio e non le pagò mai la divisa da piccola italiana. Gliela pagava la sua maestra Claudia per non farla finire nei guai. Delle armi, che portava ai partigiani nascondendole in una fascina, dice: “Sarò stata incosciente e cretina ma i fascisti lo erano di più. Non è mai venuto loro in mente che è senza senso portare una fascina verso il bosco dove la legna si va a prendere?”

Penso a Carla Ferro di Portovenere che ora scrive commedie. Per lei adolescente la guerra aveva significato essere sfollati e tanta fame. Teneva sotto il letto castagne che raccoglievano nei boschi e di notte le mangiava crude. Con alcuni compagni si mise a distribuire volantini per Fricco, il “contatto” con i partigiani. Grazie ad un tesserino  da lui fornito con scritto che suo fratello faceva parte della Todt (organizzazione degli italiani che lavoravano per i tedeschi), riuscì a farlo smontare dal treno che lo avrebbe portato in campo di concentramento.

Amalia-Lydia Lalli, figlia di Oscar, esponente socialista apuano, era una partigiana colta che lasciò gli studi di ingegneria a Pisa per diventare combattente in una brigata Garibaldi. Alla vigilia della Liberazione attraversava il Magra presso Aulla ma un cecchino la uccide, a 23 anni.

Maria Grazia Pighetti, anche lei tra le partigiane colte: cristiana, anarchica, antifascista pur se figlia di fascista. Insegnante d’arte, storia e filosofia per 25 anni, per 15 preside al Deledda, non voleva la divisa da piccola italiana né le calze lunghe che la completavano, per cui in fila si nascondeva con i suoi calzini corti dietro le altre compagne. La sua formazione avviene con due grandi maestri al D’Oria: don Guano e Caterina Marcenaro. E fortunata con il marito, Enrico Carbone, compagno d’ideali, con cui visse 61 anni.

Liana Millu, deportata ad Auschwitz-Birkenau, nel ’47 di Se questo è un uomo di Primo Levi esordisce con Il fumo di Birkenau, poi pubblicherà I ponti di Schwerin.  Millu, maestra elementare, una volta mi disse con la sua bella voce intensa, che per imparare andava anche “là dove non capiva”.

Paola Garelli nella rassegna di partigiane figura nel capitolo “Scritto col sangue”. Bellissima, come appare in foto, faceva la parrucchiera a Savona. Fucilata a 28 anni,   prima scrive alla sua bimba: “Ti chiedo una cosa sola: studia, io ti proteggerò dal cielo”.

Da tutte queste storie emergono motivazioni diverse; quanto ai numeri il libro li riporta dall’Anpi: 35mila partigiane combattenti, 20mila patriote (funzioni di supporto), 70mila inquadrate nei Gdd (gruppi di difesa della donna a Milano dal novembre ’43). “Numeri bugiardi” secondo l’autrice per la scarsità di dati, per il fatto che salire “ai monti” con i partigiani era contro le norme della morale comune e sulla propria militanza molte finirono per tacere. Ai dati ne sono da aggiungere due: 623 le partigiane cadute o fucilate; sull’Appennino ligure-piemontese nel ‘44 in sei mesi 262 i casi di stupro ad opera dei “mongoli” (disertori dell’Asia sovietica arruolati dai tedeschi). Qualche anno fa il Consiglio di sicurezza Onu  con una risoluzione classificò lo stupro come “arma di guerra”, perciò nelle pratiche proibite insieme ad armi vietate, terrorismo, torture sui prigionieri.

Nel libro, due coordinate. La prima: la povertà crescente fu la spinta contro il regime, specie quando nell’Appennino ligure il fascismo bloccò l’emigrazione di massa, facendo mancare le rimesse degli emigranti. La seconda: la delusione del dopo. Ancora parole di Vanda Bianchi: “Mio figlio non ha mai preso il gettone da assessore perché gli ho insegnato così. Mi ha dato noia sapere gli stipendi dei sindaci, dei politici. E anche in parlamento per prender soldi votano tutti”. Dice Carla Ferro: “Esisteva la questione morale, ma oggi? Sento parlare di gente che ruba e, iscritta al Pci, poi Pds, Ds, Pd, ora vorrei lasciare”. “Sento la gente che si lamenta per la crisi e poi vedo che non rinuncia a nulla”, Rosalda Panigo, 97 anni, savonese che nel ’44 si unì al distaccamento Calcagno”.

Tutte toste le partigiane! C’è chi dice di non aver mai fatto da mangiare ai partigiani perché lei voleva sparare; chi non  stirò mai una camicia al marito; chi, invitata a servire a tavola un comandante, replica: “Abbiamo combattuto perchè non ci siano né servi né padroni, figuriamoci se servo qualcuno”.

Non manca qualche fesseria: nella prefazione Lidia Menapace, invitata a parlare nel ’95 in Tv per Rai 2 insieme a fascisti dei Cinquanta giorni d’Alba, minaccia d’andarsene se questi non “faranno solo tappezzeria”. A mio parere, la solita intolleranza contro una memoria condivisa. Altra fesseria:  a Genova nel novembre ’44 fa freddo, manca legna per scaldare le case e le donne armate di seghe iniziano a segare gli alberi di viale Benedetto XV a San Martino, poi a Teglia, poi nelle ville di Sampierdarena. E Cicerone del De Senectute? Lodava chi pianta alberi che non vedrà ma che saranno bene comune di figli e nipoti. Ogni bene comune è da rispettare!

 

                           Maria Luisa Bressani

 

 

Vanda Bertuzzi moglie dell'artista Alberto Nobile

donna partigiana.

Perché Nobile a Bobbio?

Grazie alla moglie Wanda Bertuzzi, figlia di Primino con merceria in piazza Duomo e che vendeva macchine da cucire.

La foto di Vanda e Alberto che ho inserito nella Home page fu scattata da uno zio di Alberto fotografo d’arte a Milano e porta con la dedica un romanticismo perduto. Una mia nipotina di 9 anni, Maria che la signora Wanda ha conosciuto, guardando questa foto mi ha chiesto: “Nonna, perché le donne nelle foto di una volta sono così belle e adesso non sono più così?”.

Una parentesi breve: Qualche anno fa mi suggerirono da una Galleria d’Arte di scrivere di una bobbiese donna partigiana, un argomento allora poco trattato e mi fu dato numero di telefono e indirizzo dicendo di usare la parola "Bobbio" per farmi aprire la porta perché la signora era donna schiva e riservata. Non potendo scriverne allora poi chiesi di Vanda ad una mia vicina al Cardà,  Maria Dima Zanacchi, che non è più. La signora Dima s’illuminò nel ricordare che Vanda era figlia di Primino (come fanno tutti coloro che hanno conosciuto Primino). E Dima mi raccontò anche di sé, venuta da ragazza presso una zia bobbiese a Bobbio da Umago in Jugoslavia. Pensando all’amicizia di una famiglia partigiana, quella di Primino, con una giuliano-dalmata (350mila gli esuli da quella terra dove per continuare ad essere italiani lasciarono tutto e incalzati dal terrore per tanti di loro infoibati dai partigiani comunisti di Tito, 10mila secondo gli storici) pensai che esiste una Bobbio davvero perbene, senza steccati ideologici. La Bobbio “così potabile!” come la definì una volta Antonietta Macchini, moglie del prof. Enrico Mandelli, che mi raccontò di quando in S. Fara a sera sedevano sui gradini delle case per scambiarsi confidenze.

Grazie al mio scritto du Alberto Nobile su Archivum Bobiense ho conosciuto la signora Wanda. Per non farmi dubitare di eser stata partigiana

mi ha mostrato la medaglia che le fu conferita e la motivazione. Mi ha detto che quando i tedeschi venivano a mangiare a casa di suo padre che aveva avuto questo obbligo, lei ascoltava i loro discorsi sulle strade che avrebbero preso e riferiva ai partigiani. “Così non li trovavano mai”, ha concluso cn un sorriso. Come cose lievi a parlarne ora, ma allora c’erano paura e rischio di morte.

Il figlio Fabrizio, dodicenne quando morì il padre, lo affiancava con un piccolo cavalletto mentre dipingeva.

Di Bobbio Fabrizio ricorda le lumache di nonna Dina Lentoni, moglie di Primino, che ci metteva tre giorni per prepararle. Quando arrivava a Bobbio, alzava il coperchio della pentola e assaggiava.

Ancora un tenero particolare di questa famiglia: Wanda lavorava all’anagrafe tributaria con orario fino alle 2 pomeridiane. Quando arrivava a casa Alberto, di ritorno dal Liceo Barabino, aveva già mangiato con Fabrizio e preparato  anche per lei. Un bell’esempio di collaborazione familiare di un grande artista nella quotidianità.

Non solo, da vedova, Vanda si è iscritta ad una scuola di cucito, ha svolto volontariato presso il Paverano e ha tenuto fino ad ora nei suoi 91 anni la memoria del marito; conservandone i quadri come in una pinacoteca sia in casa che nello studio che non ha mai voluto toccare, sia in tutti gli articoli o libri o Mostre che si sono occupate nel tempo di Alberto, morto - lo ripeto - nel 1966. Ora si approssimano per lui anniversari (l'allestimento del  I Museo dell'Abbazia  di Bobbio per i 1400 anni della venuta di S. Colombano, evangelizzatore d'Europa, in Bobbio, 613 d.C.) oltre a quello dei 50 anni dalla morte di Nobile ed è in programma una sua Mostra a Voghera e sarà forse la volta buona per esporre alla GAM (Galleria d'Arte Moderna di Nervi) i tre quadri regalati dalla moglie tra cui La Donna caduta (la mondina), Sera Piovosa (splendido con i verdi di Liguria che facevano sospirare d'ammirazione il prof. Sborgi) e Il Profeta Ghestaltico. Un motivo in più per tirare fuori questi quadri mai esposti (quelli che la dottoressa Maria Flora Giubilei che presiede il Polo Museale di Nervi e che è stata l'anima della riapertura della GAM definisce la "riserva aurea" del Museo, ma sarebbe da domandarle se Genova debba essere sempre la città dei tesori nascosti come la definiva il cardinal Siri se nessun visitatore del Museo potrà mai vederli)

Vanda per concludere qui "una donna sempre al lavoro" non come certe "partigiane" di cui ora mi addentro nella critica.

Dopo  aver presentato Vanda Bertuzzi Nobile ritorno sul libro dell'Alfonso che con grande onestà riporta alcune frasi delle partigiane e ben eloquenti.

In particolare su quella frase della partigiana (sottolineata in rosso) che si rifiuta di servire a tavola. E ricordo che un bel libro di Guido Miglia Istria-I Sentieri della Memoria sulle donne nella Jugoslavia italiana che ora non è più tale, le ricorda "sempre in piedi, pronte al servizio".

Ora non si pretende che ogni donna sia una Madre Teresa di Calcutta, ma c'è un limite alla sfrontatezza.

Mi vengono in mente parole della presidente della Camera Boldrini che sono state così stigmatizzate in una lettera al Giornale di Domizia Carafoli (brava collaboratrice del Giornale che si poteva leggere sempre con gran piacere e per imparare).

La Lettera: "Laura Boldrini afferma che solo il 2% delle donne che vanno in Tv parlano, le altre sono afasiche e a loro viene chiesto solo di mostrarsi. Mute poi le figliole che si presentano al concorso di Miss Italia. Visto lo zelo di presenzialismo e la frequenza delle sue esternazioni in tutti i campi, dedurrei che la signora presidente appartiene a quel 2% che parla. Che a questo punto ci sembra molto. Troppo".

Anch'io ho ascoltato le parole della Boldrini e l'ho sentita dire anche delle donne che "non devono più servire", come ho sentito una laureata dire che non pulirà mai un pavimento (in casa sua) o come per quel questionario che ora è d'obbligo quando si assume una ragazza alla domanda se "la ragazza che sta per essere assunta sia costretta a percorsi disagiati per raggiungere l'ufficio" (domanda che servirà in base alla risposta in caso di una futura gravidanza della stessa), una laureata in storia ha risposto per il suo lavoro in centro Milano: "Sì, devo attraversare con i tacchi i binari del tram". Traete i vostri personali giudizi.

E mi addentro ora nel tema delle ci-ciu-cì/ci-ciu-ciò con alcuni esempi da me ascoltati o visti.

1) Qualche radical-chic che si picca di leggere i giornali stranieri parlava della brutta opinione su tali giornali per Berlusconi nostro presidente del Consiglio e diceva: "Ma voi li leggete i giornali stranieri?" E io: "Ma tu sei stata in Francia e hai visto in certe zone ragazzini ubriachi alle cinque del pomeriggio? Sei stata a Dublino dove ho visto molestare una ragazzina  circa quindicenne da un gruppo di ragazzotti sempre alle cinque del pomeriggio e sotto gli occhi di un pubblico ufficiale che si è poi deciso ad intervenire quando ha colto le mie occhiate... che ancora un po' intervenivo io pur non sapendo esprimermi bene nella lingua. I ragazzotti si sono allontanati e la ragazzina si è seduta a pinagere su un gradino dell'ufficio postale in una delle arterie centrali di Dublino dove ero andata per vedere al Museo l'Antifonario di Bangor.

2) E poiché il nostro Paese viene anche da lunga tradizione di poeti e artisti e filosofi e diritto, ma ha avuto nel passato, almeno quando io ero giovane, sacche indegne d'ignoranza mi ricordo certe compagne d'università (Lettere), quindi abbastanza acculturate che, avendo scoperto  la moglie del prof. di Latino gestire un negozio di pasta fresca, andavano a comprare da lei perché  così facendo secondo loro la "umiliavano" e la criticavano se usciva in pantofole del negozio. Ritrovo ora uno scritto in morte per quel professore a firma di Dario G. Martini, titolo: Una vita per l'Università...L'illustre docente lascia incompiuta una monumentale enciclopedia oraziana che doveva andare sulla Treccani...

3) Non solo ricordo che quando un ingegnere sposò una giovane ragazza dell'Est e questa venne a far vedere il filmino del suo matrimonio a casa mia le acculturate italiane ridevano di lei, più bella e più giovane di loro, ma ridevano perché non  aveva l'abito bianco come usa da noi e aveva in testa un buffo copricapo. E nascondevano le risatine dietro alla mano come fossero i ventagli delle "precieuses ridicules". Che pena questa femminilità!

4) Veniamo a tempi recenti.

Una graziosa donna del PD viene eletta in Genova come assessore al Levante e con delega al Verde anche se come commenta Bepi Criaco (già consigliere di Circoscrizione  - IX Levante - per Rifondazione comunista) "quella di verde conosce solo le persiane di casa sua". La giovane graziosa, tal Roberta Morgano, viene invitata a parlare al Lyceum ed esordisce così: "Che fatica per noi giovani donne che lavoriamo dover accompagnare a Roma il nostro compagno interrompendo le nostre consuetudini lavorative". Vicino a me sta seduta una brava critica d'arte che trasecola e mi guarda: "Ma dobbiamo ascoltare queste cose?"

5) C'è un Convegno sulla donna all'Auditorium di Palazzo delle Finanze presente il cardinal Tarcisio Bertone.

In questa sede mi par ricordare fosse una sociologa invitata a parlare, questa si lamenta perché lei giovane donna che lavora non è suppportata per il cambio del pannolino del figlio da parte del marito. Ricordo montagne di ciripà e triangolini in bucato per i bimbi di una volta e ricordo madri negligenti che lasciavano sempre arrossare i sederini dei neonati, però non mi sembra fondamentale che ora fare il padre significhi cambiare il pannolino al neonato.

Poi interviene il cardinal Bertone che ho visto spesso in azione e sa bene rintuzzare.

Ricorda sua madre in tempo di guerra con cinque bambini (cinque mi par di ricordare) che scendevano e salivano da un panzer tedesco parcheggiato davanti a casa dove doveva dar da mangiare ai tedeschi. Però da parte di sua madre mai un lamento. Avrà capito la sociologa?

6) Un 8 marzo della donna il CIF (Centro Italiano Femminile) ha invitato in Genova a parlare donne di diversa nazionalità. Interviene una sociologa algerina (o tunisina, non ricordo) però ci parla solo dei doveri della nostra accoglienza che sono suoi diritti. Non un grazie per l'ospitalità nel nostro Paese. Vi dice qualcosa con i centri di accoglienza devastati da profughi che si dicono spinti dalla fame o dalla guerra, ma sono assai ben pasciuti e forzuti all'apparenza e quando qualcuno gentile a Lampedusa ha messo a disposizione la sua abitazione gliela hanno devastata e poi sono fuggiti? "

 

 

 

Conversazioni di Nicla Vassallo

Conversazioni di Nicla Vassallo, intervistata da Anna Longo (Mimesis-Volti), ci ricorda il valore della filosofia nel significato etimologico di "amore per la sapienza", di  dialogo come nelle Meditazioni metafisiche di Cartesio, modello ideale per l'autrice. Protagonista, oltre all'intervistata Nicla Vassallo, specializzata al King's College London, professore ordinario di Filosofia Teoretica all'Università di Genova, autrice di saggi e libri, anche l'intervistatrice Anna Longo, giornalista culturale in Rai (conduttrice di trasmissioni note da "Il Baco del Millennium" a "La Notte dei Misteri", a "Personaggi e interpreti"), componente della Commissione Radiofonica del Sindacato Usigrai, vincitrice del Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra del 2010. Longo è altrettanto protagonista perché interagisce sapientemente con l'intervistata. Ad impreziosire il libro, di un centinaio di pagine, l'illustratrice Francesca Biasetton, di tratto essenziale e moderno.

Vassallo inizia con una distinzione tra "conoscenza proposizionale" su cui si fonda il nostro sapere (libri, enciclopedie, giornali, Internet, radio) e "competenziale" che indica un saper fare o un sapere tecnico. L'avvio è da una domanda per Vassallo imprescindibile su "coloro che non avvertono l'esigenza di approfondire la conoscenza di sé e degli altri", perché "la conoscenza di sé non può essere che in relazione con gli altri" e, purtroppo, sull'autentica conoscenza ha finito per prevalere quella "basata sul calcolo, impregnata di corruzioni" che comporta "inciviltà, maleducazione, sopraffazione". L'obiettivo è invece una filosofia  (conoscenza e modo di vivere) da non "conservare, chiudere" nelle aule universitarie. L'esperto (colui che sa) non può concedersi il lusso dell'egoismo epistemico, ma deve trasmettere il proprio sapere agli altri, testimoniarlo per giungere ad un minimo di conoscenza.  Ciò costituisce un valore più grande del sapere, con fine il  "testimoniare".

Il quarto capitolo (o quarta conversazione), che riguarda "donne, uomini, stereotipi", ci porta dritti dentro il nostro vivere, come pure il quinto su "sessualità". Da ricordare in proposito il libro Sul velo di Marnia Lazreg, curato da Vassallo stessa con Concita De Gregorio, già promotrice del manifesto "Se non ora, quando".  Concita però sul primo numero dell'Unità, quando la diresse, esordì con  la foto di un lato B femminile, fasciato in hot-pant succinti: bandiera della  liberazione della donna?

Anche in questo libro di Vassallo, godibile e che aiuta a riflettere con chiarezza espositiva su temi importanti, specie su come arrivare a conoscere e testimoniare, c'è una pagina non veritiera tal quale l'immagine scelta da De Gregorio per l'Unità. E' la pagina 47 che c'immette nella politica recente, distinguendo tra linguaggio di tipo berlusconiano e linguaggio di tipo montiano (che non appartengono solo ai due citati). L'uno: "sboccato, vaneggiante, da bunga bunga..."; l'altro "educato, asciutto, privo di inutili insulti..." Il lettore può sentirsi preso per i fondelli perché il Berlusconi pubblico ha sempre usato un linguaggio comprensibile, educato con qualche perdonabile battuta goliardica come quella sulla Bindi. Diversa la sua nota definizione sulla Merkel, che mi pare derivi da un'intercettazione. In proposito, in presenza di procure cola-brodo di notizie riservate, spesso lesive della privacy, con giornalisti megafono, senza argini deontologici al diritto/dovere di cronaca, quale ad oggi la pena per questa "licenza d'uccidere, da far-west, a rivoltellate verbali"?

L'analisi di Vassallo-Longo rispolvera come "modelli" le vecchie tribune politiche Tv, noiose, spesso incomprensibili. Il linguaggio berlusconiano ha fatto capire la politica, il montiano un po' meno. Anzi, poiché Vassallo-Longo non fanno cenno al "linguaggio non verbale", pur se oggetto di studi universitari e culturali, cosa ci dicevano le mani di Monti? Forse, come sembra a me: "Ti dico una cosa che non sta come te la dico, ti distraggo con le mani e t'impacchetto?" Con il senno di poi, dopo la grandinata di tasse,  sappiamo che impacchettava i nostri portafogli per inviarli alle banche, ad una in particolare, e che si è comporato da ossequioso sacrestano della Merkel. Non solo, ha fatto perdere a Roma il volano delle Olimpiadi che ha dato a Brasilia, per meglio servirla nell'occasione, ben otto aeroporti, indispensabili al futuro sviluppo di commercio, viaggi di lavoro, turismo.

La filosofia sia amor di verità, pur in legittime diverse opinioni, non mezzo per falsarla. Molti elettori hanno capito perché buona filosofia, saper pensare bene (non per pretesti politici o ideologici) è per tutti vita e sopravvivenza.

                           Maria Luisa Bressani

 

Il libro di Nicla Vassallo è un bel libro però appunto come dico nella frase conclusiva la "filosofia deve essere amore di verità e non servire a falsare". Preciso che m'indignai quando dal Comune di Genova da una funzionaria che si occupa d'Arte e Musei mi venne inviato il Manifesto della De Gregorio da sottoscrivere. Io l'ho sempre ritenuto da ci-ciu-cì, ecc., e sono lieta che una mia nipotina di appena cinque anni mi abbia chiesto indicandomi una certa signora che parlava troppo: "Scusa nonna quella è una ci-ciu-cì? " Lieta perché forse le nonne servono e a tutte le nipotine avevo già regalato per Natale  il "Tanto gentile e tanto onesta pare (appare)..." la precisazione in parentesi è perché qualcuno può credere in un "sembra" mentre significa "appare" cioè sostanza non forma.

E prima di proseguire con la Carta dei Diritti della Bambina, ben in ritardo da noi sulla prima che serve di modello, e che comunque - pur se ritengo le Carte a poco servano - è una speranza di costumi più civili, inserisco ora il Diario del perfetto egoista che non è il titolo del libro del bravo filosofo Antonini ma che sembra scritto per un eventuale marito ideale delle inconsistenti ci-ciu-cì- ci-ciu-ciò.

 

  

"La differenza non è una sottrazione", saggio pensiero di un bambino in un'elementare dove è già stato fatto un percorso educativo a comprendere quella frase "la bellezza della diversità", premessa alla presentazione della "Carta dei diritti della Bambina". Parole ricordate da Valeria Maione (economista e consigliera Parità in Regione) oltre a sottolineare della "Carta" il rilievo ad "un'idonea istruzione in materia di economia e di politica (Art. 5").

La "Carta", (si rifà a quella di Reykjavik del 1997), è stata presentata allo splendido Conservatorio delle Fieschine, che come ha detto Adele De Leo (FIDAPA) è stato luogo privilegiato per l'istruzione delle orfanelle e per dar loro la possibilità di ritornare alla società il bene d'istruzione ricevuta. Ha insistito su un leit-motiv: "la bellezza indica non mondi diversi, ma una condivisione d'intenti nel rispetto reciproco". "Difendere le bambine" fa riferimento anche ad una risoluzione europea contro la loro sessualizzazione (2013), mette premesse "ai diritti delle future donne".

Per agire sul piano culturale/educativo la "Carta" sarà diffusa ai neogenitori negli Ospedali e nei Consultori. Chiamandoli a responsabilià al "momento-dono" della nascita. "Le bambine continuano ad essere vittime silenziose ed inermi di violenza e condizionamenti fisici e psichici", denuncia premessa ai 9 articoli di tutelela da nascita ad adolescenza. (cartadirittidellabambina@gmail.com).

Per una maggior incisività, Maruska Piredda (pres. Commissione Pari Opportunità in Regione), mamma di una ragazza di sedici anni, sta preparando con la sua squadra in Regione un proposta di legge per istituire la "Giornata contro lo stereotipo". Il Progetto culturale sarà diffuso nelle scuole, anche all'Università grazie al Comitato di Pari Opportunità per cui ha parlato Isabella Fano Cortessi.

E' sostenuto anche dall'Associazione Medici-Pediatri: il lungo cammino della normativa e degli studi sistematici per i diritti dell'infanzia risale al 1881 con il Preyer fisio-psicologo tedesco seguito da Hall, americano, fondatore della prima rivista di psicologia. E' servito il cammino normativo?

Può non sembrare, ma finalità della "Carta" è insegnare alla bambina che ha in se stessa un bene prezioso,  da non lasciare umiliare, offendere; a non considerarsi, lei per prima, solo una gregaria o oggetto di desiderio. E tanto più se vuole agire nella comunità anche per il bene degli altri.

                          Maria Luisa Bressani

 

 

Nelle tre foto il bel viso serio di Vanda, poi Ritratto romantico, quindi Donna con il gatto.

Variate Solitudini di Sandro Antonini

Sandro Antonini con Variate Solitudini (De Ferrari) ci dà il suo primo romanzo. Tanti i suoi libri di storia (è studioso del fascismo) tra cui Storia della più grande organizzazione di soccorso ebraico durante la seconda guerra mondiale, La "banda Spiotta" e la brigata nera genovese "Silvio Parodi", quattro volumi fino al 1936 su sette in programma di Storia Cultura spettacolo e polizia politica ed altri, tutti interessanti, tutti di approfondita ricerca.

Perché Antonini esordisce ora nel romanzo? Un altro storico Piero Vassallo, di recente con "Un treno nella notte filosofante", dopo tanti libri d'indagine storica, ha voluto cimentarsi con questo genere, anche lui per la prima volta. Perché? Allargare la propria platea di lettori? No, ne hanno entrambi già molti, affezionati. Fuggire dagli orrori della Storia? Può essere o forse per un bilancio esistenziale? L'autore vuol forse esser accolto dal lettore, ficcandogli in cuore, con un pizzico d'autobiografia, schegge di sé? Da storico ha sempre dovuto raccontare d'altri, anzi dei tanti orrori ed errori dell'uomo, poi considerati Storia.

In questo libro Antonini disvela un profondo amore per la bellezza della natura (descrive da maestro paesaggi, scorci, albe, tramonti, notti, un lago, una cascata). Il protagonista Robles, 56 anni, è in vacanza su un lago alpino. Ripensa alla sua vita, anzi inizia a scrivere un racconto dove l'ossessione iniziale è la morte sul palco di una cantante-attrice dai capelli rossi, assassinata a rivoltellate da un ragazzo. Il riferimento al suo vissuto è un quadro di Nolde "La danza intorno al vitello d'oro" che ritrae un music-hall con ballerine, come per la copertina del libro Antonini ha scelto un altro dipinto di Nolde "Il lago di Lucerna" (1930). La donna più importante della vita di Robles è la dolce Gloria, chioma rossa, che dopo tre anni di felice convivenza aspetta un figlio da lui, che lui non vuole.

Non  anticipo elementi della trama, per il lettore piacere della scoperta se s'iimergerà nell'ampio ritmo narrativo come in un "otium" ricco di pensieri. Compaiono altre passioni intellettuali di Robles, la musica, di Mozart: "nessun altro come lui, solo Mozart!", come dire con una tautologia: "l'universo è l'universo, il bianco è bianco".

Tanti i riferimenti culturali che Robles ci dà di sé di cui il principale è la fascinazione per  Max Stirner, la cui filosofia riassunta nel suo testo di grande successo L'unico e la sua proprietà (1845) è un inno all'egoismo e lo ha fatto considerare un "anarchico". Anche in questo libro non manca la zampata di Antonini storico nel ricordo di un viaggio a Barcellona. Immagina di veder Togliatti ad una finestra della Pedrera per rivolgersi ai giornalisti con il consueto  "Ella mi scuserà se...". Precisa: avrebbe dimostrato una volta di più la consueta insensibilità, dovendo invece "scusarsi con gli anarchici spagnoli, con gli anarchici in genere e forse anche con Gramsci, morto in carcere".

Nel libro molti riferimenti colti a sollecitare la riflessione: "la religione è fin dagli inizi una grande riforma", o "dovrebbe esser permesso rigettare attività astute e crudeli come la guerra e la finanza", o il sogno di un mondo "in cui l'uomo non sia perduto negli angosciosi meandri di grandi e piccole prevaricazioni" (v. p. 148).

La vicenda personale del protagonista si dipana nel rifiuto della paternità (era stato abbandonato bambino dal padre), nel rifiuto di salvezza che gli poteva venire da un'altra sua innamorata (conosciuta al cimitero di Staglieno, luogo imprevedibile per l'amore che nasce), nel rifiuto dell'amicizia (quasi scindendo i rapporti con l'unico amico Walter), nel rifiuto del suicidio come soluzione all'aridità del vivere ma sua ossessione fin dall'inizio, nell'orgogliosa scelta finale della solitudine. A siglare la vita di un uomo complicato, incapace d'amare, chiuso in sé seppur desideroso di una mano che lo strappi fuori, possono valere versi immortali di Quasimodo (che ciascuno di noi talvolta avrà sentito suoi): "Ognuno sta solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole ed è subito sera".

                             Maria Luisa Bressani

Poiché a presentare la Carta c'è stata Maruska Piredda (quella del cappio Alitalia e subito dopo invitata a colazione dal Gilletti di Domenica in) ed ha parlato comunque bene, inserisco un testo che la riguarda un poco: una votazione in Regione sull'operato dei funzionari.

I Lobby You

Rating di Confartigianato sulle attività della Regione Liguria

I lobby you – Il rating di Confartigianato sulle attività della Regione Liguria è un’interessante pubblicazione della collana Convergenze & Divergenze diretta da Mario Bottaro per Red@zione (www.e-redazione.it). “Rating”, una delle “nuove” parole, come ora “spread”, divenute tristemente familiari ai risparmiatori italiani. In questo agile libro (meno di cento pagine, formato quasi tascabile) “rating” torna alla connotazione rassicurante di valutazione utile.

Nelle due “Introduzioni” (di Cesare Fumagalli, segretario generale di Confartigianato e di Giancarlo Grasso, presidente di Confartigianato Imprese Liguria) è definito: “Non contrapposizione di Stato e società, pubblico e privato, economia ed etica, ma dialogo e riconoscimento reciproco sulla via della sussidiarietà. E’ possibile passare da teoria a pratica in virtù del bene comune troppo spesso  parcheggiato in sterili archivi”;  “Coerenza, trasparenza e filo diretto tra Imprese e politica del territorio”. Sussidiarietà e Bene comune, parole care a Padre di Rovasenda, il colto domenicano che non è più, che le illuminava citando La Conferenza delle Regioni del ’91 a Strasburgo per un ruolo più diretto di queste nei rapporti con la Comunità europea e proposta di delega dei poteri nelle mani del cittadino.

Il libro con le “Introduzioni”, le “Prefazioni” e gli “Interventi” presenta le Dieci proposte pragmatiche del documento (o Patto) sottoposto alle  elezioni ai candidati. Verifica l’attuazione nei primi cento giorni di mandato degli eletti che sottoscrissero; dà una pagella sull’operato. Obiettivo: fornire alla cittadinanza e agli artigiani liguri -47mila Imprese- dati su cui basare la valutazione; motivare gli artigiani, con la pressione associativa sui politici, a  farsi parte attiva –spesso avanguardia- di spirito comunitario; sapere se l’Amministrazione Regionale produce occasioni di sviluppo per le Imprese o crea ostacoli burocratici. Emerge la definizione di lobby come gruppo portatore dell’interesse o della causa da tutelare.

Elena Dellepiane, in tre capitoli a sua firma, spiega il lobbismo “nella teoria, nel mondo e in Italia”. Sua è la tesi di laurea specialistica, con relatore Mario Bottaro, già          giornalista colto del Secolo XIX, ora docente di “Teorie e tecniche del linguaggio giornalistico” ed “Informazione multimediale integrata”. La tesi è stata la ragione per cui Confartigianato le ha affidato la realizzazione del Progetto. Elena ci spiega l’etimologia di lobby da “laubia” (XVI secolo, loggia o chiostro monastico cioè “luogo coperto dove camminare e dialogare”). Del termine, spesso associato a corruzione e “poteri forti occulti”, sottolinea la finalità di far prevalere un interesse sugli interessi concorrenti.

La pubblicazione è stata realizzata con Confartigianato Persone in occasione del Festival della Persona 2011. Il riferimento alla persona dovrebbe tranquillizzare insieme a questi enunciati: “Il comportamento etico deve essere alla base dell’attività lobbistica”; “i gruppi di pressione sono il contrappeso alla potenza della politica”.

Per il lettore un interesse di stretta attualità è quando incontra la citazione “Simul stabunt simul cadunt” per evitare ai presidenti regionali “ribaltoni politici” se eletti direttamente dal corpo elettorale e se ciò sia nello Statuto regionale (v. nuova formulazione dell’articolo 117 della Costituzione). Per ora, solo Toscana, Molise e Abruzzo sono le Regioni dotate di norme per regolare il lobbismo.

Ci viene anche ricordato che Renato Brunetta (con delega alla semplificazione amministrativa) esortava le associazioni di rappresentanza ad investire risorse nell’attività di lobbing. Stefania Multari (relazioni istituzionali Confartigianato Imprese) ricorda che la legge finanziaria del 2006 -secondo Governo Prodi- inasprì in modo insopportabile la pressione fiscale e contributiva delle piccole Imprese.

Tra le testimonianze, in primis, quella di Burlando, fiero del suo giro “d’ascolto” in tutti i 235 Comuni (anche presupposto di ottima campagna elettorale). Infine il voto più brutto in pagella per i consiglieri regionali va a Maruska Piredda. Agitava il cappio al momento della vertenza Alitalia; si giustifica per aver passato i primi cento giorni a conoscere il funzionamento regionale e la Liguria, ci sottolinea i suoi meriti pregressi: dal 2009 (!) responsabile Idv del Dipartimento Lavoro e welfare in Lombardia.

Se il lettore vuol risollevarsi con un sorriso (è l’Italia più vera, non giustizialista) legga la “Postfazione” di Luca Costi, segretario di Confartigianato Imprese Liguria. Ha in cuore due personaggi, D&D, Dante Alighieri e il figlio Diego. La Postfazione, in base alla  “legge del contrappasso” è sua espiazione in terra. Infatti Diego è “distratto” da “dinosauri e autobus”, (forse e per sua fortuna non gli ha ancora regalato lo scooter). Un giorno, criticando il padre (che lo spera), entrerà nella “contrapposizione generazionale” e nella realtà.      Maria Luisa Bressani                        

 

Carta dei Diritti della Bambina 

Presentazione a Genova

 

 

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Carta dei Diritti della Bambina

La bellezza della diversità.

Un’enunciazione di principi per le coppie che si apprestano a vivere un’esperienza unica, quella di accompagnare la propria bambina dai primi passi verso il suo sviluppo evolutivo.

Non una contrapposizione di genere ma la presa di coscienza da parte dei neogenitori, non solo di figli femmine ma anche di figli maschi, delle differenze che il genere comporta, sia sotto l’aspetto fisico che emozionale e riproduttivo. Le specificità vanno scoperte, coltivate, valorizzate, esaltate in tutta la loro bellezza, nel rispetto dei reciproci ruoli e della diversa visione del mondo, perché più che mai oggi la società ha bisogno del contributo di donne e uomini responsabili e consapevoli delle diverse ma complementari peculiarità.

Nonostante una normativa garantista in materia di diritti umani, le bambine continuano ad  essere le vittime silenziose e inermi delle più disparate forme di violenza e di condizionamenti fisici e psichici che portano di fatto alla violazione dei diritti fondamentali alla salute, alle cure, all’istruzione ed alla protezione. Obiettivo di questa Carta è abbattere il muro della discriminazione di genere e attribuire alla bambina fin dalla nascita le stesse opportunità dei coetanei maschi.

La Carta dei Diritti della Bambina, nella sua formulazione originaria, è stata presentata ed approvata nel 1997 a Reykjavik al IX Congresso della Federazione Europea BPW, organizzato dalla International Federation of Business and Professional Women, ONG che lavora in collaborazione con le Nazioni Unite, e alla quale la F.I.D.A.P.A.(Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari) è affiliata. Ispirata alla Convenzione ONU del 1989 sui Diritti del Fanciullo, la Carta nasce per incidere sul piano istituzionale, sulle coscienze e stimolare l’opinione pubblica a dibattere delle problematiche e dei diritti legati al genere femminile dall’età zero all’età adolescenziale.

 

Ogni bambina ha il diritto:

Articolo 1

Di essere protetta e trattata con giustizia dalla famiglia, dalla scuola, dai datori di lavori  anche in relazione alle esigenze genitoriali, dai servizi  sociali, sanitari  e  dalla comunità .

Articolo 2

Di essere tutelata da ogni forma di violenza fisica o psicologica, sfruttamento, abusi sessuali e dalla imposizione di pratiche culturali che ne compromettano l’equilibrio psico-fisico

Articolo 3

Di beneficiare di una  giusta  condivisione di tutte le risorse sociali e di poter accedere in presenza di disabilità a forme di sostegno specificamente previste.

Articolo 4

Di essere trattata con i pieni diritti di persona dalla legge e dagli organismi sociali.

Articolo 5

Di ricevere una  idonea istruzione  in materia di economia e di politica che le consenta di crescere come cittadina consapevole.

Articolo 6

Di ricevere informazioni ed educazione su tutti gli aspetti della salute, inclusi quelli sessuali e riproduttivi, con particolare riguardo alla medicina di genere per le esigenze proprie dell’infanzia  e dell’adolescenza femminile..

Articolo 7

Di beneficiare nella pubertà di sostegno positivo da parte della famiglia, della scuola  e dei servizi socio-sanitari per poter affrontare i cambiamenti fisici ed emotivi tipici di questo periodo.

Articolo 8

Di apparire nelle statistiche ufficiali in dati disaggregati per genere ed età.

Articolo 9

Di non essere bersaglio, né tantomeno strumento,  di pubblicità per l’apologia di tabacco, alcol, sostanze nocive  in genere  e di  ogni  altra  campagna di immagine lesiva della sua  dignità.

 

 

 

 

Normativa a tutela delle Minori

Legge 9 gennaio 2006, n. 7  "Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile".

Risoluzione Del Parlamento Europeo del 3 settembre 2008 - Risoluzione del Parlamento Europeo "Impatto del marketing e della pubblicità".                                                                                                                                                                                 

Ratifica Convenzione di Lanzarote del 19 settembre 2012 - Lo Stato italiano ratifica la Convenzione di Lanzarote contro l'abuso e lo sfruttamento minorile.

Risoluzione del Parlamento Europeo del 12 marzo 2013 sull’eliminazione degli stereotipi di genere e contro la sessualizzazione delle ragazze nell’Unione Europea.

Ratifica Convenzione di Istambul del giugno 2013 - Lo Stato italiano ratifica la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.

          

 

  www.fidapa.com//www.fidapanordovest.it                                                                            cartadirittidellabambina@gmail.com

                                                                                                                                           

 

 

 

 

Prefazione Angiola Sacripante a Begonza

(la donna due volte gonza di Bressani)

Ho voluto concludere con questa prefazione al mio esordio nella scrittura a trent'anni dato che è evidente che sono sempre stata critica verso il gentil sesso cui appartengo e sempre polemica. Ad Angiola Sacripante poi come ringraziamento inviai una mia recensione al suo libro di poesie Demitologie che mi aveva inviato. Ne ricordo una frase: "Colui che non odia mai nessuno ignora che per vivere occorre respirare". Ed inserisco poi il quadro di Brueghel I mendicanti.

Nella prefazione il maestro che invecchia nella Venezia manniana è Enrico Turolla, l'insigne grecista con cui discussi la tesi di laurea e che ricordo in una visita nella città lagunare alla sua casa dove ci accolse con il pianoforte a coda aperto e dove disse riguardo il '68 recentissimo: "Han fatto delle brutte cose alla scuola". Turolla era l'insegnante che ai tempi del fascismo faceva spegnere la radio di propaganda quando irrompeva in classe e diceva: "Studiamo il greco che vi servirà di più".

Era l'insegnante di cui era stata allieva anche Annamaria Lauro  (cara amica che non è più) moglie dell'ing. Roberto Lauro, l'insegnante che come ci raccontarono Annamaria e Roberto andava sul mare in tempesta recitando Omero". ( vedi pagina "Industria" due  Lettere al Giornale dell'ing. Lauro e del figlio Mario sulle toghe rosse che distruggono le Industrie italiane)

Quando Angiola Sacripante che non conoscevo (brava poetessa, poi Le dedicai un breve saggio) scrisse per l'Editore Lalli questa prefazione ignoravo chi fosse Brueghel, da allora me ne appassionai e qui metto questa foto de I mendicanti, pensando che se una bella prefazione o  recensione ci possono rivelare aspetti di noi che ignoravamo.

Poi - scusate - inserirò anche dall'Agenda Lo Faro le righe che mi chiesero di scrivere di presentazione al mio libro "Scrivere o ricamare- Scrittrici italiane del Novecento" e si vede anche il frontespizio della rivista di cultura L'Aurora, cui collaborò Montanelli (giornalista-mito),  edita  da Lo Faro, n. del 25 novembre 1974. Fatto che mi spinse a quel tempo a sceglierla come Casa Editrice per il mio secondo libro pubblicato, senz'altro più maturo del primo dato che erano passati più di dieci anni, nonostante avessi scritto nel frattempo proprio tanto.

 

  

  Voglio chiudere questa pagina che ho aperto con il libro di giovani ricercatori universitari ricordando una brava giornalista Adele Cambria che leggevo appassionatamente (dato che scriveva sempre con cuore ed umanità) sul Giorno. Di lei non so nulla, salvo quegli articoli di cui ho conservato gelosamente questo  dell'8 marzo 1985 quando il femminismo sembrava anche una speranza e non era intristito da manifesti di maniera come quello del "Se non ora quando" di Concita De Gregorio (che non rammento se sia stato pubblicato nei pressi di quella data".

(il testo di Adele Cambria poi dovrò sostituiro cercando di farne una scansione migliore)

 

 

Poiché questa pagina (a parte le ci-ciu-cì/ci-ciu-ciò) è dedicata a donne insigni nello scrivere, mi piace ricordare qui il libro in memoria di un'ottima critica d'Arte e collaboratrice del Giornale: Ada Morchio

Ada Morchio. Le mie poesie, i miei articoli, le mie ceramiche

del marito Renzo

Un libro raffinato come raffinata e intensa appare nella foto di copertina la protagonista “Ada Morchio. Le mie poesie, i miei articoli, le mie ceramiche” (Marco Sabatelli Editore). Il libro non è dono di Ada a sé, il marito Renzo ha voluto ricordarci la sposa, mancata dopo 55 anni di matrimonio.

“Mi divertivo talora, di qualche libro che leggevo – scrive nella premessa – a farle vedere un’illustrazione di qualche dipinto; mi diceva chi era il pittore e il museo in cui  il quadro si trovava, non ne sbagliava uno”. “E’ così che, senza che ce ne accorgessimo, crescevamo: giorno dopo giorno” rimarca del parlarsi d’arte e cultura nonostante formazioni diverse, umanistica di Ada Mussi, scientifica la sua. Tra gli interessi della moglie ricorda la storia, non solo cittadina e italiana ma di popoli lontani, le questioni sociali e la politica in anni giovani, poi il prevalere dell’amore per l’arte. Da questo “humus” si forgiò una critica autentica.

Prova ne è, in un’epoca conformista come la nostra in cui non si osa dir male né di mostre né di  spettacoli, un articolo per le pagine genovesi di questo Giornale: “Il Rubens più bello è nella Chiesa del Gesù”. Per farci capire che da qui doveva iniziare il percorso della mostra “L’Età di Rubens” al Ducale nel 2004, Ada polemizza  sull’allestimento, pur curato da un regista, sui pannelli didascalici, solo “rassegna di famiglie grandi per censo e nobiltà”. Con alta capacità di scrittura, ricorda: “Non è forse nel 1604 che comincia a Genova l’età di Rubens? Voluta da Marcello Pallavicino arriva la “Circoncisione” destinata all’altar maggiore della Chiesa del Gesù. Una pala d’intensa espressività religiosa, percorsa da due vortici, i personaggi in basso, gli angeli in alto...”

A riprova di uno sguardo critico, cui basta “l’unghia del leone (non occorrendo la zampata)”, un “Elogio dei piccoli Musei. Il Museo civico Amadeo Lia a La Spezia”, curato da Marzia Ratti. L’articolo comparve sulla prestigiosa Rivista di Studi Italiani, tra le sue collaborazioni come altre nobili, a Resine, Equilibrio, Contrappunto.

Ada è stata originale ceramista con formazione in Albisola. Tra le ceramiche fotografate nel libro, mi colpiscono due Piatti: “La donna”, supina e materna ma di ironica seduzione, “L’uomo”, dritto in piedi come una freccia, il braccio levato verso un ideale. Struggente “Orfeo ed Euridice”, un Piatto con una frattura a separare due mondi: il buio dove lei resta, lui che a malincuore torna alla luce, la cetra buttata a terra: privato della sua donna, non farà più musica. Estrosa, elegante Ada anche nell’attrezzare il pavimento della casa a Pontinvrea con piastrelle bianche e nere a scacchiera, su cui dalla scaffalatura a parete i suoi scacchi in ceramica sembrano voler buttarsi nel gioco.

Il libro si apre con dieci poesie, dal 1944 al ’50: versi contemplativi, desiderio di pace claustrale, di religiosità nel periodo segnato dalla guerra. “La Sosta” è per la madre che lavorando l’educò al lavoro: Ada è stata preside a Loano. Con lei un rapporto tanto più speciale quanto più restarono sole dopo la morte prematura del padre. Le dice: “Io cerco ancora me stessa in te,/ nel tuo bene, mamma/ amica mia”. E nel chiederle di insegnarle la via:“Faremo allora/ la strada insieme;/ e arriveremo alla sosta/ tenendoci a mano”. Un tenersi per mano - in famiglia - che ci riporta il senso di un mondo per bene, profondo di affetti.

                          Maria Luisa Bressani

 

 

XXXVI Cammeo: Tipologia di giornaliste dal saggio su Oriana Fallaci

in Scrittrici del Novecento italiano di M. L. Bressani:

"la cordialotta, la pimpa, la trilli trilli, la trovarobe di vecchiumi, la goffa"

 

Italo Rocco direttore Sìlarus e l'8 marzo.

e Recensione al suo Canto dell'Umanità

Settimanale cattolico 19 dicembre 1995

E dopo alte e belle parole per la donna di Italo Rocco di Battipaglia (Salerno) un preside di scuola con tanti figli e figlie che continuano a portare avanti la rivista Sìlarus da lui fondata , punto di riferimento culturale per quell'area del Sud il quale soleva ripetere : "nullus dies sine linea", cioè "nessun  giorno senza scrivere qualcosa" e chiedeva ai suoi professori di scrivere ogni anno  un saggio per la Sìlarus, ho voluto inserire la mia recensione al suo Canto dell'Umanità e foto di due copertine di volumi della rivista di cui Rocco mi fece omaggio: il primo del 1962 con la piantina dove si vede il percorso del Sele, poi il riconocimento che gli fu dato nel 2004 quindi ancora una copertina del 2004 con l'immagine de La "Scafa" sul Sele in un dipinto di Filippo Hackert.

Non stupisca se in una pagina per le donne (quelle intelligenti ma anche le ciciucì-ciciuciò nella speranza che parlino a vanvera  un po' meno) mi è piaciuto inserire Antonini ottimo filosofo e storico ma qui con il suo primo romanzo in cui descrive un uomo perfetto egoista e invece Rocco, uomo del Sud nei suo scritti senpre con tanto rispetto per la donna e per la famiglia. Tra l'altro pubblicò su Sìlrus il mio primo racconto nel 1972 "Radici di nevrosi" e poi mi portò di persona a Milano dove dimoravo in quel periodo la targa d'argento -Trofeo Sìlarus per il mio racconto vincitore "Le fragili ali della Libertà" (1982).E a porposito di Libertà come io l'intendevo la motivazione della giuria è stata: "nei giorni frenetici, antecedenti il Natale di una Milano, particolarmente condizionata dal consumismo, l'eco polacca di una libertà tanto agognata e sempre negata, raggiunge una madre, graffiante di significative allusioni e denunce e bagnata di fragranti ricordi, mentre accompagna la figlia per vie e negozi scintillanti...un'alternanza di elegiache memorie e di un presente amarissimo (per i disordini che viveva l'Italia), abilmente pilotata con il pungolo di un'esigenza fortissima di libertà ... uno stile intensamente vivido per la vastità e la sorprendente articolazione del suo impianto". (forse ero brava davvero almeno in base a questo giudizio ma poi, poco dopo volli scrivere solo per la gente, la servizio della gente come giornalista)

 

Ora parole di un altro interlocutore colto e molto sensibile come si evince dalle parole che mi scrisse per il mio libro delle Scrittrici. Avevo raccolto i giudizi più belli e riportati in alcune paginette ma non avendo aggiunto i nomi  (era il 1991) ora non so ritrovare a chi attribuirle epperò queste mi sembrano importanti per indicare alcune caratteristiche femminili, almeno quelle da me condivise e riportate nel libro.

Sullo spunto di un saggio di uno scrittore esistenzialista di rilievo "Pitié pour les femmes"  di Henry Montherlant,  autore anche di un testo teatrale  del 1942"La reine morte"  che gli è riaffiorato alla memoria, l'interlocutore mi mandò questo suo pensiero: "...quanto è più vera, quanto più sofferta la posizione che Lei assume nei confronti delle donne che scrivono, donne prima che scrittrici. Come la donna in particolare sente non tanto il problema della felicità quanto  quello del dolore, del male insito nella vita accanto al bene... Il suo limpido testo mi convince che esiste un modo di scrivere che è proprio della donna, e che quando la donna è veramente artista questa componente va intesa come una ricchezza, non come un limite"

Poiché nella lettera che ho ritrovato èer metter su queste pagine del Sito il prof. Adriano Bellotto ( mio docente alla SSCS della Cattolica di Milano e riordinatore dell'Archivio Olivetti) mi consigliava una serie di ritratti radiotelevisivi dalla tipologia di donne giornaliste inclusa nel saggio su Oriana Fallaci delle mie Scrittrici del Novecento italiano  (Bellotto definì quel saggio molto bello, v. p. I Maestri appunto al suo nome ivi riportato) ora avendo trascurato quella possibilità, metto qui i miei antichi commenti, anche se ormai un po' in ritardo, però non dubito che i tipi anche al femminile si ripetano ancor oggi, ma qui mi contraddico: oggi c'è anche un ottimo giornalismo al femminile.Ho fatto una riflessione in proposito e ci sono cronache splendide: ne ho sentita una per Tv su Rai news di una certa Adinolfi che riferiva i commenti dei politici prima della votazione per la decadenza della Cancellieri: davvero ottima!

Quindi il lavoro di tante madri giornaliste o comunque impegnate nel lavoro è servito per le figlie oggi davvero più preparate. Una volta eccellevano le fuoriclasse, ma oggi il livello medio si è alzato.

Ripensando alle parole di Enrico Turolla, mio relatore alla testi in greco su Aristeia omerica e aristeia virgiliana (che nella prefazione di Angiola Sacripante a Begonza, prima riportata, viene da lei definito "il maestro che invecchia in una Venezia manniana intatto come un cristallo") e questi mi aveva paragonata a Camilla (ma non avendola io ben capita mi aveva chiesto di fermarmi all'Università per migliorare quel capitolo della mia tesi), metto ora questo articolo come augurio a giornaliste che sappiano davvero essere combattive e a donne che scrivano davvero cercando soluzioni ai problemi del nostro vivere e non si accontentino di ricamare con le parole. I ricami sono bellissimi, oggi a vedere quelli del passato sembrano vere opere d'arte, ma nello scrivere bisogna saper fare altrettanto con le parole giuste al momento giusto e non perdersi in svolazzi ma centrare il cuore del problema: cioè scrivere e non soltanto ricamare.

Le Carte di diritti nulla sono se non si applicano, però questa è comunque una speranza per tanti principi tuttora disattesi e sono grata a Vivi Marchese già consigliere FI nella Circoscrizione VIII Medio Levante per avermi invitata alla presentazione. Per paradosso quando uscì il mio articolo al riguardo nella pagine nazinali veniva presentata La Carta dei diritti degli animali e a tutta pagina cosa che mi fu fatta notare da una delle organizzatrici. Una volta di più per essere criticata a nome della categoria giornalisti.

XXXV Cammeo: Le ci-ciu-cì ci-ciu-ciò

Pensando alla sociologa tunisina o algerina che parlò per quell'8 marzo per il CIF (la sociologa prima citata, un'autentica ciciucì-ciciuciò come le altre donne che ho prima ricordato) metto qui un testo di Gianni Baget Bozzo per non dimenticare un uomo che sapeva pensare.

Vorrei tanto che le donne provassero anche loro a pensare e non a portare avanti visceralmente certe idee perché sono belle, ideali ecc.

"E da quell'8 marzo donna fu più bello"

di Adele Cambria: Il Giorno 8 marzo 1985.

Cinzia del Maso: Priverno. A casa della volsca Camilla

Sono sempre stata un po' la smemorata di Collegno per tante cose  e ciò si accentua con l'età: così tra le carte che mi tornano in mano trovo un plico di Italo Rocco con 10 poesie, ma sono quelle del XXI Concorso nella cui Giuria mi aveva nominata e non ricordavo. Mi scrive di dare un voto alle dieci e quella cui diedi "10" (che è stata ancora da me oggi prescelta e prima di leggere il biglietto di Rocco  del 29 marzo 1989) è questa sopra riportata: L'ultimo treno. Non so se poi sia stata allora la vincitrice:  

La Scafa sul Sele

di Filippo Hackert:

da una copertina di Sìlarus

Notare in questo ottimo articolo di Adele Cambria come lo abbiano accompagango con la foto dell'offerta di mimosa da una mano maschile: particolare di grande delicatezza.

Purtroppo nell'articolo sotto questo il titolo recita:  Euro-disoccupate: 5 milioni, moltissime le giovani.

Sopra il titolo è scritto: Oggi a Roma dieci minisri del Lavoro della Cee discutono di un ostacolo che rallenta la marcia dell'emancipazione femminile

e sotto il titolo: Il cinquanta per cento ha meno di 25 anni...

Articolo molto esplicativo di mali antichi anche nell'Europa della Cee, figurarsi in quella d'oggi che qualcuno ha definito "una signora invecchiata male".

 

      
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