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11. INDICE TERRE 3:Trieste

 

TRIESTE

Stanza di Mario Cervi: Festeggiare a Trieste l'Unità d'Italia Il Giornale 11 ottobre 2009

Cartolina da me conservata da quando Trieste tornò all'Italia ed ero bimba in piazza dell'Unità ad aspettare l'attracco al Molo Audace 26 ottobte 1954

Filastrocca Triestina con il Mus (=l'asino)protagonista

Lorenzo Bressani che conquistò per la prima volta il titolo della Barcolana all'Italia il 14 ottobre 2002

Foto famiglia Bressani: i miei nonni e i tre figli: Luigi, Edgardo, Ruggero.

XX I Cammeo Famiglia Bressani a Trieste

Disegno di Leopoldo Perco della Casa del diavolo del Castello, mia foto dello stesso Belvedere , disegno delle Tre Croci da cui il nome Monte Calvario 

Foto Castello di Lucinico: "res sint ut sunt aut non sint"

Guido Bressani, medaglia d'oro: un eroe in famiglia(Ministero della Difesa - Marina Militare - 4 settembre 1940

M. L. Bressani   "Trieste per me" articolo sul Giornale del 9 febbraio 2010 (per me una gioia speciale)

XXII Cammeo Luigi Candoni (di Arta Terme) e il Teatro Ora Zero,

Ifigenia e Achille di M.L.Bressani, premiato al Candoni e I Premio a Controvento

Via Crucis Vajont di Candoni (Siae 1969) e foto di Arta Terme e locandina con giuria del Premio

Giovanni Talleri, già granatiere, scrittore e pittore.

Da Archivum Bobiense n. 29 - 2007: "I Maestri di un tempo" di M.L.Bressani

Da Segni clandestini  "Carnet 2002", disegni di Talleri a Muhldorf  campo-deportati

Finale recensione mia a  Quel sabato sera (Talleri pro pena di morte, Il Murice, Trieste  2000

Bassorilievo : Talleri ricorda l'eccidio di civili ad opera di titini il 5 maggio 1945

Bassorilievo di La mia patria tra cielo e mare nella copertina di Come Lettere ad amici (Il Murice, Trieste, 2007)

Da  Una Corsa nel Tempo - Storia del Confine Orientale  di Talleri (Lint editoriale, 2004): selezione suoi pensieri 

XXIII Cammeo Paolo Todde, un "bobbiese d'adozione"cita da S. Colombano: "Senza Libertà non c'è dignità".

Giovanni Talleri:"Se Mussolini avesse dato Libertà agli Italiani"

Foto da due libri Lint editoriale: cartoline dell'800 con la Bora  (Libro su La Bora di Corrado Belci) e la grotta Michelangelo a  S. Canziano da Meraviglie del Carso di Enrico Halupca

 

 

 

            

Filastrocca Triestina

Il mus per i triestini è l'asino.

L'anno passato quando assistei alla prima Barcolana della mia vita (in gara 2500 imbarcazioni) mi recai poco prima al cimitero dove ho nonni e zii della famiglia di mio padre. Mentre acquistavo i fiori la venditrice si mise a parlare della gara,di come parteggiasse da sempre per Vasco Vascotto e che dal Grisa è il posto migliore per vedere. L'anno passato non ci fu gara dato che dal nord era venuta un'imbarcazione che nonostante l'assenza di vento sorpazzò tutti. Il figlio di mio cugino Sandro (allego foto di lui con il padre che non è più) ha portato per la prima volta il titolo della Barcolana all'Italia il 14 ottobre  2002. Poi inserirò il  bel ritratto che gli è dedicato in un libro della Lint editoriale da quando ragazzino a Barcola i pescatori lo conoscevano tutti e lo chiamavano Rufo (=refolo). Nella Barcolana dell'anno passato, il  2012, Lorenzo sapendo che non c'era gara con la grande vela del Nord (Esimit con sponsor russo) aveva guidato un'imbarcazione con ragazzini down

Allego poi  un articolo in cui mi è stato permesso di ricordare Trieste, mia città natale, e che quindi mi è molto caro.

1946/’48: Trieste per me

Sono nata a Trieste, ma vi ho vissuto solo due anni, dal 1946 al ‘48, dal ritorno dalla prigionia africana a Saida di papà fino ad inizio della mia prima elementare.

“Fortunata lei che è nata in una città tornata all’Italia”, disse una volta il fiumano Fulvio Mohoratz presidente ANVGD. Nel tempo Trieste è diventata la città di un mio “mito”. Mi spiego. Allora gustai la cioccolata simile alla nutella che i soldati americani nel dopoguerra davano a me come ad altri bimbi quando ci recavamo a Barcola per i bagni estivi. Da allora per me l’America ha gusto buono di cioccolata al di là delle sue bandiere bruciate, calpestate in altri Paesi. Per me, studiando, è rimasta il rifugio dei Padri Pellegrini e madre di democrazia.

Per non andar fuori tema: allora Trieste è stato il luogo dove mia madre dava un piatto di minestra ad un povero che bussava da noi. Quanti i poveri nella città di frontiera?

Da allora per me è città-simbolo di tolleranza con le sue tante chiese di culti diversi: San Spiridione Serbo-Ortodossa, S. Nicolò Greco-Ortodossa, la Neogotica Evangelica Augustana, S. Michele Anglicana, la Sinagoga di S. Francesco E oltre alla città vecchia, ebraica, ha la dolente Risiera S. Sabba, un tempio dove pregare per il futuro.

La dominano la Cattedrale e il Castello di S. Giusto martire, per la sua festa coperto di vite rossa. Nel bianco Carso quando la vite vergine rosseggia si dice: “E’ il sangue dei nostri martiri”. La domina il Santuario del Grisa dove ho trovato un dépliant con il testamento dell’Arcivescovo Antonio Santin, testimone di due guerre mondiali: “Ho assistito allo strazio della mia povera terra e delle nostre buone popolazioni. Le foibe sono calvari con il vertice sprofondato nelle viscere della terra... Quello che tutti ci unisce e ci fa ricchi è l’amore.”.

Tre ricordi importanti questi, ma Trieste ne ha per me di legati alla bora, al suo mare, alla sua luce. Il vento  che soffia forte mi vivifica: il ricordo si lega a quando il nonno, un salutista, ci portava  in giro nelle giornate di bora e per attraversare le strade facevamo “catena” con gli altri:  per mano perché “insieme si può”. Il vento per me ha il senso di libertà, si associa a solidarietà, anche ad indipendenza. Questo perché allora, pur così piccola quando mi mandavano sotto casa a comprare la birra alla spina, capii cosa vuol dire avere un compito proprio da svolgere: mi sentivo importante! Abitavamo in via dello Scoglio, una stradina periferica che si affacciava sulla Birreria Dreher, a due passi da via dell’Acquedotto dove vivevano nonno e zii. Oggi si chiama via XX Settembre, un tempo strada del passeggio oggi invasa da auto in sosta. Alla birreria Dreher, di festa, i triestini si riunivano sulle panche per un panino e un bicchiere sotto certi stupendi affreschi “ubriaconi”. Di festa con pochi soldi erano tutti fuori: splendida socialità! Oggi la Birreria è un Centro Commerciale uguale a tutti.

Trieste allora non era solo questa festa: quando per il 4 novembre i miei esponevano il Tricolore, con un fazzoletto bianco cucito sopra lo stemma sabaudo, scendevano gli slavi dal Carso a tirarci pietre ai vetri. Una volta un donnone slavo quando mia madre in bicicletta incuneando la ruota nelle rotaie del tram cadde, le gridò: “Crodiga di un’italiana” che sta per la cotenna del maiale. Nel ’48 papà decise di portarci a Genova, più tranquilla e con il mare.

Inverno 1948: sul treno del nostro esodo mio fratello cantava a fior di labbra “No ghe esisti un altro paradiso più splendido de ti, Trieste mia”. Un suo compagno, quando ci furono le proteste del 5/6 novembre 1953 e migliaia di triestini scesero in piazza contro il piano anglo-americano che voleva fare della città una base navale, fu tra i giovani uccisi nella sparatoria. Poi con gli zii, a Trieste, i miei ne parlavano sottovoce per non farci sapere.

Eravamo tornati ogni anno come in pellegrinaggio, e alla vigilia del 4 novembre ‘54, ritorno di Trieste all’Italia, nell’unica stanza d’albergo dove dormimmo tutti e quattro, mio padre andò avanti e indietro tutta la notte. Il giorno dopo di tempo uggioso, i bersaglieri in corsa tra la folla scaldavano come il sole. E quel 5% di sloveni che temevano ripercussioni simili a ciò che loro avevano fatto, dovettero ricredersi: non gli fu torto un capello.

Ancora una cosa: se penso alla bellezza, vedo il Castello di Miramare di Massimiliano e Carlotta D’Asburgo sotto cui andavamo a fare il bagno. Racconta “La fanciulla di Giralba”, leggenda trentina, che se  una donna muore nel partorire saprà il destino del figlio: a dirglielo compare un pesce con una pergamena dove campeggia quel Castello del dolore. Mi sembra di risentire recenti parole di monsignor Ravasi al Ducale: nell’Apocalisse, Gerusalemme, la sposa dell’Agnello, cieca, incinta, incatenata davanti alla città del Male, è la spina di luce del Bene. La mia Trieste che ha sofferto (i 40 giorni di occupazione titina quando un Comunicato Alleato denunciò: “Da Trieste sono scomparsi 2260 italiani”,  i 1200 esuli per lavoro in Australia ai primi del ‘54 con la Castel Verde) è quella spina luminosa.

Per lungo tempo a Genova o altrove, mi sentii sradicata, straniera. Ad una partita della triestina ad un goal si alzò il grido: “Titini, slavi!” Da allora accompagnai mio padre allo stadio per un patto: ogni volta mi regalava un libro e leggevo, finché un giorno a 18 anni, alla fine della partita vidi un ragazzo indicarmi alla fidanzata con un “ha letto tutto il tempo”. Arrossii e mi trovai anch’io il fidanzato con cui uscire ed esser dispensata dalla partita.

                               Maria Luisa Bressani

 

 

Aggiungerò ora il ricordo di Giovanni Talleri, pittore e scrittore triestino morto nel 2010 con cui ho avuto occasione di godere di una bella amicizia quando gli chiesi un suo libro sulla guerra d'Africa (la stessa che aveva vissuto mio padre) per poterlo leggere alla mamma vedova e malata di Parkinson e così ridestare i suoi ricordi. Non ero riuscita ad averlo dopo mesi dalla richiesta ad una libreria genovese e finalmente rintracciato il suo indirizzo proprio grazie a zia Bruna, mamma di Sandro e nonna di Lorenzo. Quando lo richiesi direttamente a Talleri, questi mi rispose: " Fa parte di una trilogia che ho scritto" e m'inviò tutti e tre i libri pregandomi di non inviare denari. Un tempo Talleri aveva un sito www-giovannitalleri.it: non so se sia ancora attivo e poi controllerò.

TRIESTE

Quanto alla gente che così facilmente dimentica queste parole di Giovanni Talleri, testimone del tempo,  sull'8 settembre del "Tutti a casa": "L'annuncio avvenne per radio. Un annuncio ambiguo, non di salvezza, ma di vergogna. La mattina seguente mi recai a casa dei miei genitori. Avevano ben capito che non si trattava della fine della guerra e delle sofferenze, ma di una guerra ancora peggiore e di una sofferenza ancora più terribile perché s'infilava dentro, penetrava nell'anima con il senso del disonore". (G. Talleri Vent'anni no, Il murice, 1995, p.178).

Ma torniamo sempre allo stesso punto: "C'è chi ha onore e ci crede e chi come tanta sinistra nelle sue radici storiche non sa cosa sia e così purtroppo continua a credere e a comportarsi".

Talleri trovò la massima comprensione quella volta negli  occhi azzurri di sua madre che poi accudì malata di Parkinson fino alla fine con devozione davvero filiale e che lo onora. Quanti oggidì sono capaci di tanto?

A giustificazione: Talleri era un giovane figlio ma altri, specie oggi, si trovano l'incombenza dell'assistenza quando anche loro sono in età.

Quanti però sono capaci di assistere una persona malata gravemente e quanti invece sono pronti a girarsi dall'altra parte e magari criticare chi accudisce e farlo tanto più se ad accudire è un vecchio profittando della fragilità della sua vecchiaia cui si dovrebbe rispetto? E invece sottolineano tutte le debolezze di quel vecchio stanco ed esasperato che a volte esce dai gangheri perché non ne può più? Ho sentito dire da una donna davanti alle collere di un vecchio molto stressato, lei astemia vedendolo bere il consueto bicchiere di vino a pasto, che era un "capitan trinchetto" e magari si sentiva spiritosa ma era succo di nera seppia.

Torno a Talleri e inserisco la pagina in cui lo includo insieme a Caproni e a Liana Millu nella pagina "I maestri di una volta" che ho messo nel saggio di Italo Londei anche lui maestro elementare e per l'appunto prendendo spunto dalla sua cultura e saggezza. (V. Archivum Bobiense, n. 29 del 2007).

Riguardo Talleri nel mio saggio iniziavo così:

"Maestro è stato il triestino Giovanni Talleri, con una vita per molti versi simile a quella di Italo Londei. Pittore autodidatta e scrittore, iniziò a insegnare a 17 anni nella scuola di S. Pietro al Carso; il primo gennaio 1943 fu richiamato...

 

 

Segni clandestini è la raccolta di disegni di Talleri a Muhldorf il campo deportati istituito nella città della media Baviera vicino al fiume Inn, dove l'artista giunse il 20 agosto 1944. In Pensieri e Immagini (Il Murice, 2001)  quando gli era stato chiesto il bassorilievo in bronzo per la Risiera S. Sabba, da lui chiamato "Cella della Morte" e che orna la pagina dello scritto "Turisticamente in Riviera" che vi è incluso, scrive:

"Mi rivedo lacero e affamato, nei 30° sottozero di quell'inverno del '44, le gambe fasciate con i pezzi di carta dei sacchi di cemento, e gli zoccoli di legno e tela, mentre afferro al volo o raccolgo dalla neve il pezzo di pane violaceo che un prigioniero più fortunato, passandomi accanto senza potermi rivolgere la parola, caritatevolmente mi aveva gettato.... Forse ciò che mi aiutò a salvarmi fu proprio il lavoro massacrante al quale ero obbligato, che mi teneva sempre all'erta, che mi faceva terribilmente soffrire con i polpastrelli insanguinati perché la pelle era stata corrosa dalla polvere di cemento, ed io dovevo, sotto i colpi dei guardiani, per ore interminabili, sollevare e caricare sacchi di 50 chilogrammi sulle spalle dei compagni. Era stata una condizione che adesso mi pare inverosimile, impossibile a sopportare, e che invece mi aveva dato la forza e la grinta per reagire e sopravvivere".

Mi ero trovata in perfetta sintonia con Talleri prima di conoscerlo leggendo queste sue parole:

"Chiedo a coloro che oggi declamano le proprie verità, in gran parte non vissute ma ereditate per schemi ideologici, per generalizzazione di singoli casi di autentico antifascismo e di autentica ribellione, quale differenza ci sia, per chi si è trovato in quel buio periodo della storia, tra l'essere seppellito dagli angloamericani sotto le macerie delle città bombardate, l'esser buttato ancor vivo dagli slavi in foiba, l'essere assassinato o bruciato dai tedeschi in un forno, quale la differenza?"

Talleri mi disse anche che pittura dorata comprare per dipingere la maschera di gesso che mio padre si era fatto fare a vent'anni a Trieste, quella che mia madre stringeva al petto e si portava a dormire mentre lui era in guerra. Avevo deciso di metterla a Bobbio sulla facciata della casa all'esterno e temevo che si rovinasse, ecco quindi il soccorso dell'esperienza di Talleri che di sé aveva molte maschere di quel tipo e alcune avevano il suo volto incorniciato da raggi di sole: insomma un'usanza tutta triestina, un po' orientale.

Di Talleri ho avuto tutti i libri e li ho recensiti ed una recensione (forse ad Io, piccolo cane o forse queste pagine che riporto da Archivum), mi disse d'averla inclusa nel suo Sito e mi ricordo il suo pudore di uomo forte quando mi disse nel dipingere la grande Barcolana a tutta parete che faticava per i dolori alle ginocchia e perché doveva farlo in piedi. Scrissi quel particolare nel saggio su Archivum e quando glielo inviai perché correggesse eventuali sviste, mi pregò di non mettere quel suo dolore fisico per cui invece lo ammiravo ancora di più.

Ho conosciuto un altro grande artista di Arte Sacra, uno scultore, Gnudi, (v. Pagina Arte e Tradizione) afflitto in vecchiaia perché sbagliando si colpiva sulle dita  facendole sanguinare e i figli volevano impedirgli di scolpire ancora ma lui non poteva sentendo che era la cosa più bella, più importante della sua vita. Grandi Vecchi!

Ho sempre pensato che un autore deve presentarsi anche da solo e quindi prima aggiungo la fine di una mia recensione al suo libro   "Quel Sabato sera" quanto mai attuale perché ora che si parla di amnistia e si distingue tra reati (includendo per Berlusconi quello di frode fiscale quando è stato il maggior contribuente italiano ma poi arriverà un'altra giustizia (forse l'Europea a dargli ragione se non si lascerà pilotare a fini politici) considero che un delitto rimane il più efferato: togliere la vita e la legge sul femminicidio rassomiglia tanto a quando i bizantini poco prima del crollo dell'Impero discutevano del sesso degli angeli, mentre ci vogliono misure di prevenzione e pena certa. Talleri  in questi casi era favorevole alla pena di morte anche se ai più di noi può sembrare insulto all'umanità. 

Inserisco poi l'invito che mi mandò alla sua presentazione del libro per lui più importante: Una corsa nel Tempo - Storia del Confine orientale  sulla storia di Trieste (Lint Editoriale Trieste 2004). E da quel libro con parole sue alcuni passi importanti.

 

 

 

      

In questi versi di Fabio Lamacchia premessi a Segni Clandestini di cui Talleri mi fece omaggio

e di cui i disegni sono un vero urlo di dolore, viene ricordato Parin, pittore

ebreo, di cui opere figurano al Revoltella di Trieste. Da mio padre mi venne un quadro di Parin

che ho regalato a mia figlia dove è ritratta una bella giovane donna come erano le triestine di

cui si favoleggiava si vedessero sedute nel lor splendore giovane al Caffè degli Specchi:

una donna anche un po' ragazza con un'aria determinata e un po' monella. Mia madre però

- forse un po' gelosa del quadro che non si sapeva a chi dedicato, la chiamava "L'ubriacona"

( per i pomelli rossi per la bora) e aveva occultato il quadro in un corridoietto di disimpegno.

Nella foto sopra la famiglia Bressani: i nonni e i tre fratelli, mio padre a destra guardando la foto, in mezzo zio Gigi (Luigi professore di storia e filosofia per 50 anni avendo continuato anche dopo l'incarico al Liceo Dante), a sinistra zio Gero (papà di Sandro e nonno di Lorenzo). Gero era lo zio giovane quello che scherzava sempre con noi fin da bambini e che morì d'infarto a 48 anni  a Nervi il giorno del mio matrimonio e me lo dissero solo al ritorno dal viaggio di nozze dato che la moglie, zia Bruna, non aveva voluto mi fosse turbato.

Di questa famiglia che amava onore e dignità metto anche la foto e la motivazione alla medaglia d'oro di Guido Bressani, papà del cugino Andrea. Andrea nacque dopo la morte del padre e non lo conobbe.

Secondo discorsi di famiglia poco approfonditi perché la vita va avanti e corre più in fretta dei ricordi il motto dei Bressani (Bresausig di Lucinico prima che il cognome fosse italianizzato) sarebbe stato: "Res sint un sunt aut non sint" che è una bella dichiarazione di sincerità. E mio zio Gigi diceva di noi Bressani: "abbiamo un brutto carattere, siamo dei bastian contrari". Poi guardandomi (non lo dimenticherò mai quel suo sguardo pensoso) aggiunse: "E per una donna è peggio".

Ancora un ricordo: mio cugino Sandro sosteneva di aver sempre visto fin da bambino un tagliacarte che era arrivato a casa loro da quella dei nonni Gisella e Luigi. Portava incisa la scritta Bresausig-Petzenstein, Lucinico.

Nel dopo guerra era venuto a casa di mio padre un ricercatore di Araldica proponendogli di rivendicare il titolo di conti di Lucinico e fornendoci una pergamena che poi mio  padre mi diede e che di recente ho perso (come perdo quasi tutto e mia figlia sostiene però che poi le cose mi ritornano, o le ritrovo o me le restituiscono perchè EVIDENTEMENTE HO L'ANGELO CUSTODE).

Il ricercatore d'araldica si chiamava "Pocobelli" e avendo chiesto dei soldi, mio padre l'aveva soprannominato "Moltobrutti". Sulla rivendicazione aveva discusso con il fratello maggiore e poi avevano deciso che in tempi di Repubblica i titoli non hanno più alcun valore. Nella pergamena c'era però quel motto di famiglia su "le cose siano come sono o non siano" che tanto mi era piaciuto, c'era uno stemma che poi a me sembrò del tutto simile a quello che poi vidi a Lourdes (quindi un'evidente patacca il "mio" prezioso attestato nobiliare) e c'era il ricordo di uno dei viaggi a Trieste ogni anno prima che tornasse all'Italia quando alla dogana (c'era appunto la dogana) il giovane finanziere che controllava i documenti aveva commentato "ah i Bressani, i conti di Lucinico, da dove vengo io".

Però i ricordi sono come "il pesce gigante" del pescatore quando racconta agli amici di averne preso uno, nel senso che il tempo fa sfumare particolari o li sovrappone. Il finanziere aveva forse detto: "di Lucinico di dove sono io" ed era stata la mia mente a sovrapporvi la parola "i conti". Poi in un viaggio di ritorno da Arta Terme (provincia di Udine e il luogo dove Carducci scrisse Comune rustico) dove avevo ricevuto una medaglia al Premio Candoni (l'autore fondatore del Teatro Orazero , che lavorava alla Rai e che scrisse anche un testo fiammeggiante di dolore e intelligenza sulla tragedia del Vajont,  ora all'anniversario dei suoi 60 anni), tornando appunto da Arta ci capitò di passare per Lucinico (sono ormai più di trent'anni da allora) e io vidi dei ruderi (ora sono cintati) e gridai a mio marito: "Ecco il mio castello", al che lui si fece una gran risata.

 Il "mio castello", del tutto diroccato e ora tutto cintato per renderlo inaccessibile!

Ci sono tornata l'anno passato dato che avendo voluto vedere a Trieste la prima Barcolana della mia vita (ed è stata quella 2012 che si ricorda perché senza un alito di vento necessario alle barche a vela) non abbiamo potuto dormire in Trieste (tutti gli alberghi occupati) né a Duino dove avevamo un regalo dei figli di smart-card per un week end e siamo finiti in un altro dei posti inclusi nella card vicino a Lucinico, Casa Riz, un agriturismo dove Luca, il giovane figlio del proprietario, appassionato di storia, mi ha segnalato appunto  il bel volume di 550 pagine Storia di Lucinico di Liliana Ferrari, Donata Degrassi, Paolo Iancis edito dall'Istituto di Storia Sociale e  Religiosa per i 100 anni di Credito cooperativo a Lucinico. Me lo sono procurato a Gorizia  ripercorrendo le vicende dei  conti Attems proprietari del Castello che si dividono nei rami degli Heiligenkreuz e dei Petzenstein (ramo di cui però non figura l'albero genealogico ma solo l'indicazione della persona cui rivolgersi per saperne di più) e ho anche rinvenuto un Valentino Bresausig 1876/78 secondo collaboratore del parroco Francesco Agostino Kosuta (1875-1888) e qui finisce la mia "storia nobiliare" senza sapere perché quel tagliacarte Bresausig- Petzenstein sia arrivato nella casa del mio nonno paterno (magari un dono a seguito di una grazia o di un favore o a suggellare un matrimonio?)

In compenso la lettura è stata affascinante e mio zio Gigi, fratello maggiore di mio padre, era nato proprio a Piedimonte del Calvario dove la didscalia della foto del Castello lo colloca  (VIII-XV secolo). Resta la bellezza di quel motto della "mia" pergamena che per altro non so più dove sia e che ogni persona sincera può far suo per desiderio di verità e di realtà.

Poiché però non posso dismettere il "mio castello" senza almeno farvelo vedere com'è oggi ecco a fianco dell'immagine storica tratta dal libro citato la "Casa del diavolo"  in un disegno del 1919 di Leopoldo Perco e a fianco la foto da me scattata insinuandomi oltre la recinzione dove si vede questo belvedere della tenuta Attems/Petzenstein sullo sfondo a destra e non mi sono avvicinata di più, poi per il Calvario sempre dal libro l'immagine che a quel monte detto genericamente di Lucinico diede il nome nel 1703 quando vi furono poste le tre Croci di "Cristo e i ladroni".

Per altro dal libro  ho appreso che la vita in quei luoghi come anche asseriva il giovane Luca di Casa Riz, l'appassionato di storia, fu sempre molto difficile per successive invasioni e quindi molto temprante: per sopravvivere bisognava essere forti!

Quanto a Casa Riz producono anche vini di cui avendone portate alcune bottiglie in dono a parenti è stato apprezzato il Ribolla gialla, mentre io ho apprezzato uno strudel buono quasi quanto quello che preparo di persona.

 

 

  

 

 

Guido Bressani: Un eroe in famiglia

Giovane ed entusiasta ufficiale osservatore nella ricognizione aero-marittima destinato in zona di operazioni oltremare, chiedeva di imbarcare volontariamente su M.A.S. destinato a rischiose imprese di guerra.
Nel corso di missione di ricerca offensiva del naviglio avversario, dopo estenuante notte di agguato trascorsa in condizioni di mare decisamente avverse, avvistava all'alba preponderante formazione, comprendente due incrociatori ed altrettante siluranti, in rotta verso le coste nazionali. Freddamente determinato ad ostacolare il piano offensivo dell'avversario, pur conscio che la violenza del mare gli avrebbe impedito di sfruttare la velocità del suo mezzo quale fattore di sorpresa, di successo e di salvezza, affrontava la disperata impresa, muovendo all'attacco. Subito individuato ed investito da violento concentrato tiro della intera formazione avversaria, con sovrumano slancio e sereno sprezzo del pericolo insisteva nell'attacco e lanciava i siluri con presunto esito positivo.
Colpita in pieno e distrutta la fragile unità da violenta esplosione, scompariva in mare lasciando fulgido esempio di cosciente ardimento, di preclari virtù militari e di dedizione al dovere fino al supremo olocausto.
Canale di Caso, 4 settembre 1940

Nacque a Gradisca (Gorizia) il 20 giugno 1909. Dopo aver conseguito il diploma di Capitano Marittimo presso l'Istituto Nautico di Trieste, nel settembre 1927 si arruolò volontario nella Regia Marina come allievo Timoniere. Promosso Sottocapo Timoniere nel 1928 e contemporaneamente ammesso alla frequenza del 23° Corso Ufficiali di complemento presso l'Accademia Navale di Livorno, il 1° giugno 1928 conseguì la nomina ad Aspirante ed il 1° novembre la promozione a Guardiamarina, imbarcando poi sul sommergibile  N.6 dove, il 23 dicembre 1929, conseguì la promozione a Sottotenente di Vascello.
Dopo aver frequentato il Corso Superiore venne destinato, nell'incarico di insegnante, alla Scuola C.R.E.M. del Varignano (La Spezia) a poi a quella di Pola. Nel novembre 1935 frequentò a Taranto il Corso di Osservazione Aerea al termine del quale, nell'aprile 1936, conseguì il brevetto di Osservatore. Nel gennaio 1937 partecipò ad operazioni militari nella guerra di Spagna e nello stesso anno conseguì la promozione a Tenente di Vascello.
All'inizio del secondo conflitto mondiale ebbe il comando del MAS 573 della 16a Squadriglia di Lero ed il 4 settembre 1940 intercettò nel Canale di Caso una formazione navale inglese, composta da due incrociatori e due cacciatorpediniere, diretta verso le coste nazionali. Freddamente a coscientemente, nonostante la violenza del mare, si portò all'attacco, ma subito individuato, fu investito da un violento e concentrato tiro delle artiglierie dell'intera formazione navale nemica e, pur riuscendo a lanciare i siluri a sua disposizione, fu colpito e la sua unità distrutta dal fuoco nemico; scomparve in mare con la nave al suo comando.

La mia Trieste che non è più - Il Giornale 9 febbraio 2010

Il Link per Guido Bressani è del Ministero della Difesa - MARINA MILITARE: http://www.marina.difesa.it/ Storia/MOVM/ parte06/MOVM6023.htm, però ora lo si trova anche cercando con google (ad es.) semplicemente Guido Bressani

Ed ora nel senso più profondo della mia storia personale un articolo dedicato alla mia città e la foto appartiene all'Archivio di Ugo Borsatti che lo ha donato alla Città di Trieste, è stata pubblicata in un suo libro per la Lint dove nella collana Il Filo il suo Croazia 1944  (che raconta come non volendo obbedire al Servizio del Lavoro  organizzato dai tedeschi fosse finito con i partigiani Jugoslavi constatandone le tante efferatezze) è il secondo titolo, il mio delle Lettere il quinto. La foto rappresenta la partenza di triestini per l'Australia (1200 nel '54 con la Castel Verde) in un momento in cui la Trieste territorio libero non offriva lavoro.

"La mia patria tra cielo e mare"

bassorilievo di Giovanni Talleri

(foto di copertina)

XX Cammeo La Famiglia Bressani

XXI Cammeo: Luigi Candoni (di Arta Terme) e il Teatro Ora Zero,

Ifigenia e Achille di M.L.Bressani

Non ho voluto snaturare il nucleo di ricordi dedicato ai Bressani, ma avendo citato Arta Terme e il Premio Candoni Teatro Orazero dove fui più volte premiata (v. la Home page e prima nel XX  Cammeo) poiché si celebra il ricordo della tragedia del Vajont proprio in questi giorni, inserisco due pagine da Via Crucis Vajont di Candoni (dove il disastro ne costituisce la XII Stazione - edito SIAE, 1969) e anche dato che ho messo nei miei ricordi quello dell'effetto Bora su di me, sono andata a ripescarlo come lo scrissi in Ifigenia e Achille (premiato al Candoni ma anche I Premio a Controvento). A me la Bora e a Genova lo scirocco mettono l'allegria della danza dei chiavistelli plautina o del Signora Henry di Bob Dylan, in realtà è la "polvere di fata" dei ricordi perché ho bene impresso come a Trieste da bambina quel vento gelido mi facesse tagliare con gran dolore le ginocchia che fuoriuscivano dalle gonnelline in uso allora.

Luigi Candoni nato ad Arta nel 1921, laureato in economia e commercio, fu esponente del Teatro d'avanguardia italiano, lavorò in Rai, diresse la rivista teatrale Ora Zero e il Festival delle novità. Un titolo di Candoni mi sembra quanto mai significativo: Il futuro è degli imbecilli commedia esplosiva come la definì nel sottotitolo e da cui fu tratto il film Erostrato e gli imbecilli con sceneggiatura di Bonaccorso, Candoni, Moretti.

Dato che amo sempre approfondire le cose con cui entro in contatto dopo aver inviato il mio secondo testo al Premio Candoni ed esservi stata subito segnalata scrissi anche un saggio su Candoni studiandone l'opera. Il prof. Calendoli, Università di Padova (Storia del Teatro) che era nella giuria lo inviò a Virgilio Melchiorre preside in Cattolica della SSCS che m'invitò ad iscrivermi alla scuola per acquisire più metodo. Era il secondo invito dopo il primo ricevuto al nascere della scuola quando mi ero appena laureata (e dalla scuola al suo nascere molti diplomati si erano piazzati in posti di prestigio in Rai). Questa seconda volta mi fu possibile accettare l'invito però accadde che compiuti gli studi alla scuola, quelli che dovevano farmi acquisire più metodo, cessai di scrivere testi miei di teatro e volli dedicarmi al giornalismo. Forse meno si sa, più si è capaci di osare e di seguire il sogno che è l'unico a portare frutti di rilievo e se originali e personali tanto più condivisi dagli altri, dai lettori cioè o dal pubblico.

Di Ifigenia e Achille il testo due volte premiato nella copertina ritrovo queste parole attribuite al Coro: "L'illegalità comanda alla lege e non vi è tra i mortali sforzo comune affinché non giunga la collera degli dei".

Per Achille sempre in copertina: "A me è un grandissimo impegno di liberare voi dai mali".

e una frase di Ifigenia detta però in comune con il Coro: "Sii tu felice, perché soccorri incessantemente gli infelici".

Ifigenia era un personaggio con  il suo doppio l'AntiIfigenia. Quindi se in copertina le sue parole erano rivolte al padre dicendogli che voleva accoglierlo vecchio nella sua casa dopo esser vissuta come lui aveva voluto mentre poi aveva dovuto constatare quale sacrificio comportasse questo modo di vivere (Ifigenia è nella tragedia greca destinata al sacrificio rituale da Agamennone), ecco che faceva scattare da sé un'imprevedibile AntiIfigenia: la donna seduttiva per eccellenza ma anche quella che mette in riga  Achille, dicendogli:"Sai che significa un tallone? Che ogni Achille contro l'ingiustizia niente potrà fare, che,bambino  piangerà con la testa nel cuscino, che, grande e adulto ormai, morderà la terra ucciso... "

Quanto a me - continuava l'AntiIfigenia - so bene che il mondo in aria non salterà. Il mondo è tondo, al massimo rotola in là. Se io un passo nel vuoto farò, il mondo sotto il mio piede correrà. E se il cielo cadrà, un po' più in là mi farò"

C'era anche la constatazione che il padre aveva fallito, sempre nella denuncia  del Coro di Donne:

"E' a terra la cattedrale di nostro padre sconsiderato. Ebbe troppa fiducia. Pietra grigia e pietra nera. Le nostre  lacrime fanno nascere l'erba nuova lì in mezzo. Tenerissima. E l'alloro di fianco al fossato ha pallide foglie nuove. Come bambine convalescenti". Le Donne  del Coro erano a questo punto le Eliadi che divenute canne lungo il fossato dove era stato precipitato Fetonte piangevano la morte del fratello, figlio del sole, dicendo: "Prima che fosse buio nelle pupille di nostro fratello noi abbiamo visto che ci chiedeva aiuto.." Sarà il bisogno di aiuto a far dominare nel terzo atto di nuovo Ifigenia della tradizione quella che però dice: "Tutti vedranno in me una timida cerbiatta, ma la tua lancia (di ribellione) o Achille si è confitta in me". In pratica sarà più lei a far cambiare il mondo dei ribelli conclamati con le piccole cose fatte bene e con amore, con rispetto. Ma c'è inconfutabile la necessità di far cambiare il mondo. In meglio, di renderlo più buono anche coltivando il proprio ristretto orticello o terrazzo con gerani.

Sono parole lontane nel tempo, però mi sembrano sempre attuali sui nostri dolori e rileggendo ora c'era una frase che mi ha colpito:

"Una povera veste copre i corpi nudi tanto bene come una veste di porpora e oro. La porpora e la corona non danno serenità né felicità. Perché invidiarle o desiderarle? Di più... L'uguaglianza e la giustizia non passano attraverso la distruzione di porpora e corona" (cioè dei potenti di turno).

Non erano lontani i tempi  (questo testo è del 1978) della morte dei fratelli Kennedy, John a Dallas nel '63 e poi nel '68 il Bob del "vogliamo un mondo più nuovo" 

Chi scrive è sempre sotto l'influsso, il colore del tempo in cui vive. Ora altri "re" si cerca in ogni modo di gettarli nella polvere, ma non ne seguirà nessun riscatto per nessuno e men che meno per il popolo che ha più bisogno.

Trascrivo ancora qui la danza dei chiavistelli di Plauto e i versi di Bob Dylan che allora io presi da libri a lui dedicati mentre ora su Internet  ne trovo una versione più rude (hard) ma entrambi simulano l'effetto "vento" che  tutto può scardinare, dalle porte con chiavistello ai buoni  principi. 

Plauto: "Oh chiavistelli, chiavistelli, sono in smanie. Vi amo vi voglio sono in smanie e vi prego. Simpaticissimi accontentatemi. Siate per me ballerini scatenati".

Dylan: Per favore signora Henry signora Henry per favore sono in ginocchio ai tuoi piedi... e stasera sono tanto triste sono vecchio di mille anni per favore signora Henry... ( e il menestrello qui è sotto l'effetto di diverse birre lo stesso del vento scatenante)

E' affascinante scoprire come un menestrello rock si sia rivolto per questa ispirazione ad un passato lontano e classico. Forse è vero che tutto ciò che scriviamo o diciamo qualcun altro nel tempo e in tempi lontani l'ha già detto prima di noi.

Quanto ai ricordi questo testo di Ifigenia è unito, fasciato insieme ad altri due Sky Scrapers e Cronicario e occhieggiando qua e là sul cosa scrivevo in quel tempo lontano trovo un "Non mi piace lo scirocco porta nubi scure e pioggia"mentre ora penso "Non mi piace la tramontana porta freddo e gelo". Cambiano i ricordi e le percezioni. E perché fasciai insieme quei tre testi, se l'ultimo di Teatro ,Apolide, e l'ultimo in contemporanea di narrativa, Flash di luce, di sabbia e di pensieri, sono i miei preferiti? In essi lo stesso tema di una persona che è costretta a lasciare la Patria e nella nuova si sente straniera, apolide, ma anche apolide  fin d'umanità in un'umanità spietata. In Apolide il protagonista era un uomo, in "Flash" un giovane con un cappello in testa e una palandrana indosso per cui a seconda delle situazioni in cui era coinvolto lo ritenevano o un ragazzo o una ragazza e solo nel finale in una sua Via Crucis in gironi di un mondo spietato forse il vento gli toglieva il cappello e mi par ricordare si rivelasse per una ragazza, perché in passato le donne che scrivevano spesso hanno calzato panni maschili. Ma valgono per loro e soprattutto per me quelle parole di Grazia Deledda (nostra donna Nobel) cui nelle Scrittrici ho dedicato il saggio "E fu subito scandalo" che scrive in Cosima l'autobiografia pubblicata nel 1937 un anno dopo la morte:"Non doveva rassomigliare alla ragazze di buona famiglia che commettono incoscienti ma astute i loro peccatucci d'amore. Dio le aveva dato un'intelligenza superiore alla comune, una coscienza limpida e profonda come un'acqua nella quale si vede ogni filo di luce ed ombra, per guidarsi da sola nella strada della verità"

E ancora: "Un'altra al mio posto avrebbe spezzato la penna maledicendola, avrebbe, a furia di calzette e di ricami, obliato il suo ideale di ragazza fantastica e annoiata, io invece temprai la penna..."

Del Premio ad Arta Terme ricordo anche un altro giurato Ugo Amodeo direttore in Rai della terza rete a Trieste che m'invitò a far rappresentare il mio Ifigenia e Achille con una compagnia che aveva costituito con la maggior parte di attori sloveni (costavano meno). Andai in Rai accompagnata da zio Gigi che era suo amico ma quando Amodeo mi chiese un piccolo contributo per l'allestimento (era davvero piccolo) rinunciai. Ricordavo - è vero - che Duccio Tessari, da me intervistato  per la Scuola della Cattolica, si era autofinanziato il primo film e tra i suoi film (se non era quello) la Pistola per Ringo che gli portò un guadagno incredibile ma a me sembrava una cosa da non fare, mentre ora dopo i tanti contributi statali alla cultura e al teatro che in pratica hanno ucciso la creatività vera e fatto scomparire gli attori autentici, ora nonostante quella speranza che furono i Programmi dell'Accesso alla Rai (mentre ora questa forse sprecherà i soldi per aggiudicarsi lo scurrile Crozza  (antiberlusconiano è ovvio), ora dico evviva ai privati che hanno il coraggio di osare in proprio anche con qualche soldo proprio).

Non solo ritrovo sul Giornale di lunedì 14 ottobre 2013 un articolo di Filippo Cavazzoni con titolo "Legge cultura": i Teatri chiedono, come sempre, più soldi alla Stato e racconta anche delle 14 fondazioni lirico-sinfoniche, enti privatizzati solo formalmente nel 1996 con fonti di finanziamento in larghissima parte ancora pubbliche, con Cda in mano allo Stato e agli enti territoriali. "La crescente sindacalizzazione di queste istituzioni ha visto - scrive Caverzan - esplodere il costo del lavoro soprattutto a livello di contratti integrati aziendali".

Noi italiani possiamo ringraziare che il "buon" Veltroni non sia più attivo e con potere riguardo i finanziamenti per il cinema, ecc.

Di Amodeo ricordo anche di quando raccontò della sua costante partecipazione a Venezia al Festival del Film dove riusciva a vedere almeno tre spettacoli, mentre in Rai gliene chiedevano uno e questo saltando di mangiare e utilizzando tutto il tempo di permanenza.

Concludo che rividi nel 2003 Amodeo a Trieste, chiamato da Valerio Fiandra direttore editoriale della Lint a presentare le Lettere dei miei genitori ed ebbi la dolce sorpresa di sentirlo ricordare i miei testi teatrali dicendo: "Mi sono sempre piaciuti i personaggi della signora Bressani perché a tutto tondo come quelli di Cechov" . Quando lo riferii a Cesare Rosso che al Settimanale diocesano era il mio capo per gli articoli sulle Circoscrizioni (le cronachette di 40 righe) questi mi guardò come facevano in tutti i giornali se premettevo presentendomi per un impiego quanto mi aveva fatto pagare Guglielmo Zucconi per la mia collaborazione al Giorno.

Ragion per cui l'understatement è sempre la scelta migliore, se no ti credono "strambo", mai però che abbiano la voglia di approfondire il perché o di scoprire davvero chi hanno davanti, le sue qualità piccole o grandi, di valorizzarle.

 

 

 

 

 

XXII Cammeo: Paolo Todde (ancora un bobbiese ma "d'adozione") da San Colombano ad Attala:

"Senza Libertà non c'è dignità"

Da Una corsa nel tempo - Storia del confine orientale (Lint editoriale, 2004) e dall'intervista di Roberto Spazzali alla presentazione:

Poiché al contrario di chi afferma , similmente a Indro Montanelli, che gli Italiani non hanno storia, non esistono in quanto senza antenati e senza successori, senza memoria, io, che sono figlio di madre italiana nata a Zara ma di famiglia emiliana, e di padre metà italiano e metà austriaco, affermo che una sciocchezza più grande non si possa pronunciare, anche se in modo ironicamente arguto. (p.24)

"Chi ha orgini adriatiche ha una grande sensibilità nei confronti della storia. Ha una consapevolezza che è poi anche la nostra di esser seduto su una grande faglia che spacca questa terra, su una faglia sismica con un giunto di frattura, un punto d'incontro, ma più che d'incontro di frattura tra i grandi mondi latino, germanico, slavo.

Mio zio irredentista d'urigine ungherese fu deportato durante la prima guerra mondiale a Golersdorf nell'ottobre del 1915, e non passano 29 anni che io finisco a Dachau, a Mulhdorf. Siamo accomunati dal paradosso della storia, zio e nipote. Ecco la faglia sismica che si apre, lo sciame che continua lungo il 1900.

"...l'irredentismo italiano (p.98) a parte quello di pochi intellettuali e poche comuni persone dall'animo fiero, cui ho fatto riferimento parlando nel libro di Kers, nacque piuttosto tardi, dopo le guerre d'indipendenza - come annota Francesco Salata in Tergeste di De Tuoni - e Oberdan ne incarnò il rimorso, dichiarando di voler morire più che di voler uccidere. Quanto si dovrebbe riflettere su ciò. Disse: "...getterò il mio cadavere fra l'Imperatore e l'Italia, e la gioventù itliana avrà almeno un esempio".

"Come risulta  dalle carte geografiche alle pagine 147 e 241 gli Slavi, favoriti dagli Anglo-Americani hanno ottenuto il possesso della costa dalmata e istriana...(p. 198)

Da questi pochi concetti si evince uno spirito libero e controcorrente!

Ma segno ancora dall'intervista tre passi importanti: sul Fascismo, sulla magistratura, sulla Costituzione.

Sul Fascismo:...Dobbiamo ricordare che negli anni '20 c'è stato il grande crollo della borsa in campo perlomeno occidentale, se non mondiale. Con la battaglia del grano, criticata neanche a dirlo da Ernesto Rossi che afferma che così non si è arricchito ma impoverito il popolo. Poi l'eliminazione delle  Paludi Pontine, criticata mi sembra dai fratelli Rosselli. Di esse i radicali ecologisti dicevano che bisogna mantenere la natura...insomma anche le zanzare fan ben. Dagli avversari tutto era preso in negativo. Invece Mussolini ha iniziato bene e fatto bene fino al '37: avevamo tanti primati. Primati nel'aviazione, la transvolata di tanti aerei insieme. I francesi ci guardavano meravigliati con il naso all'aria. Il Rex. Il Conte Rosso. Navi che erano le più grandi,le più belle. Poi in cmapo sportivo. E le strade. Le macchine che andavano avanti con la carbonella, mica scherzi. Invenzioni, roba italiana, roba che ha fatto l'Italia. Tante, ma tante cose...

Purtroppo però Mussolini non ha seguito i consigli del suo maestro Caldara, uomo di sinistra e sindaco di Milano, che gli scrive ad un dato momento: "Benito devi dare la libertà agli Italiani altrimenti sarà grave..." "Mancava la libertà e mancava l'informazione. L'autarchia culturale è stato il delitto più grave".

Quanto alle condanne a morte durante il Fascismo?

Mi sono letto gli atti: 18 volumi: 24 condanne delle quali 4 non hanno a che fare con la politica e trattano di delitti comuni. Le altre 20 per chi aveva messo bombe e ucciso gente e negli anni venti la pena di morte c'era in quasi tutti gli Stati. E di questi condannti ci sono 4 Sloveni che ora hanno un monumento in Carso, ma hanno fatto saltare il giornale nell'attuale piazza Silvio Benco, chiamata dopo l'attentato terroristico Guido Neri, dal giornalista che vi era morto.. Hanno causato disastri al Faro della Vittoria, nelle scuole dell'altipiano...

Non si può dire Mussolini ha sbagliato, noi tutti santi. Anche allora c'erano generali, ammiragli, finanzieri e nessuno sapeva dire "a". Montanelli in Qui non riposano dice "l'unica cosa ridicola durante la guerra spagnola erano gli italiani".  Ma ghe tiro el colo a Montanelli. Non può dire così e lo ha detto dopo. C'erano durante il periodo fascista gli antifascisti, sì, ma pochissimi, e sono stati messi in prigione. 

Magistratura: Ho lettto alcuni testi scolastici e parlano di Roma con i ricchi viziosi e crapuloni ma in nessuno si parla del diritto romano che fa scuola ancor oggi e la cui parte migliore, il processo accusatorio è stata assunta dal mondo anglosassone, in Inghilterra e in America. Noi siamo rimasti nella seconda fase del diritto romano, al processo inquisitorio. E adesso le storie che fanno magistrati e politici a chi lo vuole reintrodurre il processo accusatorio?

I primi ad attuarlo sono stati gli Inglesi con tre parti distinte: accusa, difesa, giudizio che dovrebbero essere le tre forze del nostro mondo giuridico. I magistrati hanno un potere, la Camera un altro: legislativo. Essa fa una legge e il magistrato deve applicarla, non scioperare contro la legge...

Costituzione: consiglierei a tutti di leggere non certi romanzi ma aprire il Carrocci dove ci sono i discorsi, le battute dei deputati dal 1860 in su. Fatti i paragoni si evidenzia come a distanza di un secolo i politici ripetano le stesse parole, dicano le stesse cose e non concludano mai niente. La Costituzione ha il doppio di battute - ho fatto il calcolo, ho messo in computer -della Costituzione americana compresi i 21 emedamenti e vecchia di 200 e passa anni.

 

Ecco perché ho voluto mettere nel libro delle Lettere un paio di frasi di Talleri, in quanto testimone del tempo di guerra (non si possono fare i processi del dopo alla storia ma sentire chi l'ha vissuta) e in quanto spirito liberamente intelligente.

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Parte finale recensione M.L.Bressani a Quel Sabato sera

"Sì sentivo fortissimo l'impulso a eliminare un maiale simile mascherato da uomo". Piero rinchiuso in carcere per un omicidio non commesso, pensa così di un altro carcerato, rimesso in libertà per buona condotta, quando lo riportano dentro per aver stuprato e ucciso di nuovo. "Una delicata donna di diciassette anni, che ora non esisteva più, se non nel pianto di chi l'aveva amata", commenta ancora il protagonista del secondo libro di Giovanni Talleri dopo E in noi qualcuno grida (edizioni Zenit, Trieste). Dico secondo pur se il pittore e incisore, ex deportato in un lager nazista, ha esordito non molto tempo fa nel 1995 con una Trilogia di libri: Vent'anni no, Il mio amore sei tu, Io piccolo cane tutti dedicati alla sua Trieste nel periodo dal 1925 al '54. Quella storia è vista dalla parte della gente, che paga alto il prezzo all'italianità. Controcorrente anche in questa "seconda" opera  (banco di prova di ogni scrittore che si stacca dal vissuto), un thriller con caccia all'assassino, Talleri affronta il tema della pena capitale: il carcere lungo, nostra scelta alternativa alla morte, con i condoni diventa per il "redento" rinnovata licenza di uccidere.

  

Res sint ut sunt aut non sint

Luigi Candoni Via Crucis Vajont

Ricordo di Giovanni Talleri, pittore e scrittore triestino

 morto nel gennaio 2010

Era il 1977/78 e tra i finalisti poi risultai terza e medaglia di bronzo mentre l'anno dopo ebbi la medaglia d'argento (secondo premio) per il radiodramma Rogna. Ifigenia e Achille ebbe qualche mese dopo il primo Premio a Controvento nella forma dell'atto unico e non dei tre atti che se no non avrei potuto partecipare. Che soddisfazione poi a Trieste alla prima presentazione delle Lettere  il 22 maggio 2003 alla libreria Minerva  da Ugo Amodeo dire che  in una di quelle premiazioni c'era stata discussione accesa se darmi il primo premio che poi era stato dato ad un decano ben più famoso. Ora non ricordo il nome, ho innata predisposizione a rimuovere, però l'ho scritto ma dovrei tirar giù da soppalchi e carte archiviate per ritrovarlo.

Invece è per me un dolore aver incontrato dopo la presentazione delle Lettere a Trieste un anziano signore del pubblico che voleva farsi autografare il libro e si teneva appeso con una mano al tavolo dei conferenzieri come il suo equilibrio fosse instabile. Nell'altra mano aveva una foto che mi mostrò dei miei zii e di mio padre giovani in un gruppo di altri giovani, alcuni in divisa, e mi disse: "Conoscevo tutta la famiglia". Una signora gli suggerì di darmi la foto e lui mi promise una fotocopia perché non voleva separarsi da quel documento a lui caro. Credevo di ricordare il nome invece la memoria nel viaggio da Trieste a Genova dove il giorno dopo le Lettere venivano presentate alla Berio mi tradì. E' per me un vero dispiacere: avrei voluto parlargli e invece...

Di Parin, nominato da Lamacchia e di cui proprio nell'ottobre del 2012 c'è stata al Revoltella di Trieste un'esposizione di quadri da lui dedicati a belle donne della borghesia triestina ho da parte di papà un quadro che regalai a mia figlia: una bella ragazza ritratta a mezzo busto, una di quelle che una volta si favoleggiava sedessero al Caffé degli Specchi in piazza dell'Unità per farsi ammirare. Una giovane castano-rossa, una volta a Trieste erano famose bionde bellezze adesso si vedono solo similtunisine o berbere o cinesi. la donna del quadro aveva i pomelli rossi di chi si è esposta alla bora per cui mia madre - forse un po' gelosa verso la sconosciuta - l'aveva soprannominata l'ubriacona e aveva occultato il quadro in un corridoietto di disimpegno. Di Parin si è persa ogni traccia in guerra

Quel Sabato sera. Talleri sulla pena di morte

  

Talleri ricorda l'eccidio di civili ad opera dei titini

nella Trieste occupata il 5 maggio 1945

Da Una corsa nel tempo - Storia del Confine orientale

(Lint 2004) 

pensieri di Talleri

Il ricordo della vittoria di Lorenzo nel 2002  è tratto dal libro Barcolana - Storie di mare di      Fulvio   Molinari e Francesca Capodanno (Lint Editoriale 2003)

Cammeo XXII Paolo Todde, bobbiese d'adozione, citava da S. Colombano: "Senza Libertà non c'è dignità"

Giovanni Talleri ci ha ricordato: "Se Mussolini avesse dato agli Italiani la Libertà..."

Questa pagina a me è particolarmente cara perché ripropone due luoghi del cuore per me, Bobbio e  Trieste e questa città per me è anche luogo del mito perché vi ho dimorato poco.

Per questo concludo accomunando la frase di S. Colombano con quella di Talleri da Caldara su Mussolini che riguardano entrambe l'insopprimibile necessità di Libertà.

Non solo al Liceo quando troppo mi annoiavo scrivevo versi di questo genere che vi ripropongo (scusatemi!): "Libertà amore e sogno di una lacrima che cade/Libertà vento forte che mi porti via con te..."

Ho già detto dell'effetto di allegria che il vento, dai più detestato, ha invece su di me e che misi proprio in un mio testo teatrale ricordando le parole di Plauto sulla Danza dei chiavistelli riprese da Bob Dylan  nel Signora Henry con esplicito richiamo al poeta latino.

Concludo perciò con foto dal Libro della Bora di Corrado Belci  che riproducono cartoline della prima serie di Vittorio Polli (1898) dedicate alla Bora e sono di collezione privata; quindi con la foto della Grotta di Michelangelo a San Canziano tratta dal libro di Enrico Halupca che per la Lint mi aiutò nell'impaginazione della prima edizione delle Lettere con saggi consigli di esperto. La foto è tratta dal suo Le meraviglie del Carso dato che è un appassionato speleologo.

Di S. Canziano e dei suoi due fratelli martiri è la lunetta che sovrasta l'altare, e dietro di esso, nella Chiesa di Barca in Slovenia dove mia madre maestra insegnò nel 1937 ad allievi che non sapevano una parola d'italiano. Quando la visitai nel 2004 per la prima volta ebbi strane sensazioni di déjà vu che racconto ad "Una Premonizione (pagina Filosofia)" e soprattutto la chiesina era chiusa e con mio marito non trovavamo la chiave. C'era di fianco un casotto con un portantino per infermi ma era tutto buio lì dentro e benché invitata da mio marito a vederlo sentivo una forte ripugnanza ad entrare in quel luogo. Poi acconsentii e, uscendo, misi la mano proprio sopra lo stipite della porta cui la chiave era appesa ritrovandomela in mano. Così potemmo visitare e fu luce dopo il buio, facendo dileguare l'angoscia. Come luce profonda è la Libertà

 

 

 

 

LA MIA PATRIA TRA CIELO E MARE,

BASSORILIEVO DI TALLERI IN COPERTINA

e Parole di Seneca premesse al libro

Patria e Storia: Intervista a Talleri dello storico Roberto Spazzali alla presentazione il 24 gennaio 2005

Talleri: "Al contrario di chi afferma come Montanelli che gli italiani non hanno storia, non esistono in quanto senza antenati e senza successori, io, che sono figlio di madre italiana, nata a Zara, ma di famiglia emiliana, e di padre metà italiano e metà austriaco, affermo che una sciocchezza più grande non si possa pronunciare anche se in modo ironicamente arguto.

Chi ha origini adriatiche ha una grande sensibilità nei confronti della storia. Ha la consapevolezza di essere seduto costantemente su una grande faglia che spacca questa terra, su una faglia sismica con un giunto di frattura, un punto d'incontro ma più che d'incontro punto di frattura tra i grandi mondi: latino germanico slavo.

Mio zio, d'origine ungherese, è stato deportato a Golersdorf nell'ottobre del '1915, e non passano 29 anni che io, il nipote, finisco a Dachau nel sottocampo di Mulhdorf. Ecco la faglia sismica che si apre e continua lungo il 1900.

E da un diario conservato di un capitano marittimo capodistriano anche lui prigioniero a Gollersdorf, legge dalla prima pagina:"La prigionia, l'esilio, la nostalgia del nostro bel mare.." E nell'ultima: ..."speriamo di rivedere fra breve il nostro mare, ma non più l'amarissimo mare". E quindi questo monito di Talleri stesso: "Speriamo non vedano adesso quanto invano tutti loro hanno donato parte di sé,dalle propria vita, della propria anima con la loro dignità, il loro sarificio e la purezza del loro patriottismo".

E ancora: L'irredentismo italiano a parte quello di pochi intellettuali e poche comuni persone dall'animo fiero, cui ho fatto riferimento nel libro di Kers, nacque piuttosto tardi, dopo le guerre d'indipendenza e Oberdan ne incarnò il rimorso, dichiarando di voler morire più che di voler uccidere. Quanto si dovrebbe riflette su ciò! Disse: "..getterò il mio cadavere fra l'Imperatore e l'Italia, e la gioventù italiana avrà almeno un esempio".

E ancora: "Come risulta dalle carte geografiche alle pagine 147 , 241, gli Slavi, favoriti dagli Anglo-Americani, hanno ottenuto il possesso delle cosa dalmata e istriana fino a Muggia con i porti di Capodisria, Pola, Fiume".

E ancora su Diritto, Magistratura, Costituzione:

Diritto: Nei libri di storia per studenti parlano solo di Roma viziosa e di ricchi crapuloni ma non dicono del diritto romano che fa scuola ancora oggi.  E la cui parte migliore, il processo accusatorio, è stata assunta dal mondo anglosassone, Inghiltera e America.

Noi siamo rimasti alla seconda fase del diritto romano, al processo inquisitorio. E adesso che storie fanno magistrati e politici in opposizione a chi vuole reintrodurre il processo accusatorio! I primi ad attuarlo gli Inglesi con le tre parti distinte: accusa, difesa, giudizio che dovrebbero essere le tre forze del nostro mondo giuridico.

Magistatura: i magistrati hanno un potere, la Camera un altro: quello legislativo. Essa fa una legge e il magistrato deve applicarla, non scioperare contro la legge. E invece succede anche questo, adesso.

Costituzione: ho messo su computer gli articoli di quella americana, vecchia di 200 annni,  che ha la metà di battute compresi i 21 emendamenti di quella italiana. La nostra quasi ad ogni articolo precisa: secondo le leggi, perché saranno stabilite le leggi. Tutto da definire, da precisare.

Infine riguardo Mussolini:

Consiglio di leggere il Carrocci: i discorsi dei deputati dal 1860 in su. I politici di oggi ripetono le parole di quelli di allora e non concludono mai niente. Se Mussolini avesse dato retta al suo maestro, Caldara, uomo di sinistra e sindaco di Milano quando gli diceva: "Benito devi dare libertà agli italiani altrimenti sarà grave..." Il delitto più grande del fascismo è stato l'autarchia culturale, la mancanza d'informazione.

Fino al 1937 Mussolini ha fatto bene. Avevamo tanti primati. Primati dell'aviazione, la transvolata di tanti aerei insieme e i francesi a guardarci ammirati, naso l'insù. Il Rex, Il Conte Rosso, navi che erano le più grandi, le più belle. Poi in campo sportivo. E le strade, le auto. Invenzioni, roba italiana, roba che ha fatto l'Italia.

Le condanne a morte?

A parte che la pena di morte c'era allora in molti Stati, sono state 24 e 4 non per delitti politici. Mi sono letto i 18 volumi degli Atti. In 20 anni di fascismo le condanne sono state per chi aveva messo bombe e ucciso. Dei condanati, a quattro sloveni ora hanno fatto un Monumento in Carso. E questi tali hanno messo le bombe e fatto saltare il giornale nell'attuale piazza Silvio Benco, allora, dopo l'atto terroristico chiamata piazza Neri dal giornalista Guido Neri che vi era stato ucciso. Hanno causato grossi disastri, anche al Faro della Vittoria e poi in scuole dell'altipiano...

Quando Montanelli in Qui non riposano scrisse: "l'unica cosa ridicola durante la guerra spagnola erano gli italiani", ma "ghe tiro el colo a Montanellli" Non può dire una cosa del genere e lo ha detto dopo, perché durante il periodo fascista c'erano gli antifascisti ma pochissimi e sono stati messi in prigione.

Anche allora c'erano i generali, gli ammiragli, i finanzieri, i direttori di banca e l' hanno lasciato fare Mussolini, l'hanno aiutato. Nessuno a dire "a", niente."

L'ultimo libro di Talleri è stato Appunti e opinioni (Il Murice, Triese, 2009), presentato da Enzo Santese alle Assicurazioni Generali

 

 

 

 

Ne conservavo tre di queste cartoline da quel lontano 26 ottobre 1954 con la festa della gente in piazza dell'Unità nonostante il tempo da cani: due le ho regalate - dissennatamente - in uno dei miei empiti di generosità perché poi a volte vorrei ritrovarle che mi balzano fuori dalle tante carte. In alto il castello di Miramare che è ricordato in una delle leggende trentine come il Castello del pesce quello che talvolta una madre prima di partorire vede: un pesce le srotola una pergamena e lei vi vede scritto il destino della figlia o figlio ed è sempre un  senjal parenop (un segno di malaugurio). La storia è narrata da C. F. Wolff nel Regno dei Fanes  (Licinio Cappelli Editore, Bologna, 1951 ) e riguarda La fanciulla di Giralba , Mesurina, che dà il nome al lagodi Mesurina come una volta era chiamato.

Quel 26 ottobre le navi attraccarono al Molo Audace così ribattezzato (prima era detto San Carlo) dall'incrociatore da cui sbarcarono le nostre truppe il 3 novembre 1918

 

      
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