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8. INDICE     RELIGIONE

Kimberly Deignan e Cristina Dall'Acqua             - Il Futuro è antico - 2013

Sergio Cerastico              - John Henry Newman. L'Università. I laici - gennaio 2013

XV Cammeo Un grazie ad Aldo Vinci attore e insegnante di Teatro Locandina Ecuba- 2007

Gianni Romolotti          - Medjugorie. E Dopo? Il Giornale 21 giugno 2012

Vittorio Messori Pati sotto Ponzio Pilato? Ipotesi-

Margherita Enrico          - Un Miracolo nella mia vita -   Il Giornale 17 agosto 2011

Convegno su Chesterton organizzato da Padre Mauro De Gioia Il Giornale  16 febbraio 2012

Pier Luigi Gardella ed Edoardo Meoli  -  Confraternite nel Genovesato - Il Giornale 13 gennaio 2011

XVI Cammeo mons. Giulio Venturini mi chiamò al Settimanale cattolico diocesano

Giulio Venturini Terzo libro di Storia biblica: Gesù, il Messia Uomo-Dio Il Giornale 24 luglio 2010

Marta Vincenzi. La mia Provincia Settimanale cattolico 9 febbraio 1996

Pierluigi Gardella: Poggio e S. Bernardo di Favaro  - Quaderni di Jeri  (riguarda don Silvio Grilli parroco) Il Giornale 10 dicembre 2009

Gianluigi De Marchi    - Il mio Diario di Gesù di Nazareth 2013

Giglio Reduzzi               - La volta conservatrice dei progressisti e Le solite domande impossibili 2013

Mario Bagnara              - Quatro storie possibili (Il Teatro religioso) 2012

Dario G.Martini    - La poltrona del diavolo - dieci anni di rencesioni: "Il diavolo? Nostalgia di un angelo che abbiamo perduto"

Franco Boggero e Alfonso Sista - Il Teatro dei Cartelami. Effimeri per la devozione in area mediterranea- Il Giornale  4 dicembre 2012

Laura Dedone Bisio    - Poesi e Canti per Maria -

Emilio Biagini             - Montallegro e altri racconti- Il Giornale 6 giugno 2013

Dal Codice del Ferretto apparizione di Maria al Chichizola (mia ricerca)

Stefano Termanini   - Chiesa e Impresa a Genova dal dopoguerra ai giorni nostri -  Il Giornale 18 ottobre 2009

Giuseppe Parodi     - Insegne e Privilegi nel Clero genovese - Il Giornale  febbraio 2012

Graziella Merlatti - Lorenzo Perosi, una vita tra genio e follia Il Cittadino 16 luglio 2006

Claudio Bernardi     - La Settimana santa - 1995

Danilo Veneruso ricorda l'Università Cattolica per i suoi 70 anni Incontro "Esperienze" anno IV, n.2 marzo/aprile 1991

Centenario Assunta di Nervi: ricordando don Trabucco di M.L.Bressani

con il contributo di Elsa Ganapini, Michele Dadone, Antonio Zeggio e Giovanni Poggi (2005)

Lourdes di M.L. Bressani Il Settimanale cattolico 24 febbraio 1998

Restaurata la Cappella di Sant'Anna di Pero di Varazze - 23 marzo 1999 (articolo in omaggio a Maria compagna di viaggio a Lourdes nel '98) 

 

 

  

Inizio con la voce di coscienza rappresentata dal Teatro antico: il più alto messaggio della collettività di quel tempo che in ogni secolo torna a rivivere con poca differenza  per i problemi dell'uomo.

 

Il Futuro è antico

di Kimberly Deignan e Cristina Dall'Acqua 2013

"Il carattere consiste nell'affrontare situazioni difficili e nell'eroe greco vive un uomo che non si piegherebbe sotto le circostanze più critiche", parole di Nelson Mandela  premesse a Il Futuro è antico di Kimberly Deignan e Cristina Dell'Acqua. Il libro spiega il ruolo del Teatro Antico nell'educazione e nella formazione. Non a caso è stato edito dalla Scuola di Palo Alto, una business school sensibile all'utilizzo di tecniche non convenzionali per facilitare l'apprendimento. Delle autrici, Kimberly, londinese e docente di storia dell'arte, si laureò alla University of Canterbury; Cristina, docente di latino e greco, ha lavorato al Liceo Classico Dehon (Monza) e al Collegio San Carlo  (Milano).

Quelle parole illuminanti Mandela le scrisse nel ricordare il lungo tempo passato in prigione con la lettura del Teatro greco e la sua recita personale nell'Antigone interpretando Creonte di cui stigmatizzava "l'inflessibilità e la cecità, perché un capo deve temperare la giustizia con la pietà".

Quale l'utilità del Teatro antico? Un ruolo importante se si pensa che "il teatro è arte della presenza, dell'eloquio, dell'azione", ancor più se, con l'espressione anglosassone del learning by doing, lo si ritiene  un metodo per crescere attraverso l'esperienza diretta.

Un ruolo più profondo perché colloca sempre la violenza fuori di scena (mentre noi ne siamo subissati e scatta l'emulazione) e nell'affidare il commento al coro, voce della città e della coscienza. Caratteristica evidente in alcune tragedie esaminate per i laboratori da attuare nelle scuole o in attività per adulti.

Tra le tragedie esaminate la storia degli Atridi, un archetipo di faide familiari all'interno di una famiglia criminale. Nell'Agamennone di Eschilo, Clitennestra invita ad esultare sul corpo del marito che ha ucciso, legittimando ogni sfregio al cadavere di un morto "cattivo" (e rivediamo l'orrore di piazzale Loreto o Gheddafi martoriato o le statue di Saddam infrante a terra).  Emblamatico che l'Ecuba di Euripide, a Londra nel 2004, recasse in scena un drappeggio con i nomi di vittime di guerra nel tempo sino a Ground Zero. Con Elettra, figlia di Clitennestra,  comprendiamo meglio che Clitennestra ha ucciso Agamennone non per ragion di Stato, ma per vivere libera con l'amante. "Tu hai ucciso mio padre la prima volta che provasti piacere con Egisto", è l'accusa della figlia che poco prima aveva affermato: "Le ragazze che si fanno sedurre compiono il primo passo verso un aborto o un infanticidio". Siamo in una Grecia ancestrale (il V secolo a.C.) ma c'è già la condanna a chi tradisce il patto matrimoniale come a chi sopprime una vita non nata, principi che potremmo credere venuti dal cristianesimo, mentre sono insiti in una coscienza umana, universale.

Più dubbio il catalogare come "crisi della ragione" Le Baccanti di Euripide: la madre regina divenuta folle seguendo Dioniso fino a fare a pezzi il figlio Penteo, forse è stata una madre delusa da un figlio incapace di capire che il mondo cambia e chi comanderà deve conciliare antico e nuovo: in Grecia Apollo e Dioniso convivono nell'Olimpo delle idee (incarnate in dei) che guidarono i Greci.

Se è vero, come ha detto il compianto Dario del Corno, che "nella suola il greco è la verdura, amara e utile solo al transito intestinale, cioè a farsela sotto il giorno dell'interrogazione", le due autrici ci presentano la cultura greca (e il suo teatro) anche come frutta: apportano vitamine, sali minerali alla qualità di vita e al cervello.

                        Maria Luisa Bressani

 

John Henry Newman, L'Università, I Laici

di Sergio Cerastico gennaio 2013

Ci riguarda tutti un libro sulla Teologia? Sì, se si legge John Henry Newman, L’Università, I Laici di Sergio Cerastico (Cittadella Editrice). Per capire, alcune frasi dalle prime pagine e con stile di cartesiana chiarezza. “La verità si conosce allo scopo di servire l’umanità e la metafisica è una questione d’amore”, quindi non cosa astratta, ma connessa al meglio di noi. “Io mi trovo qui, mi applico ai problemi che trovo in questo luogo”, cosa per tutti noi ma da realizzare attraverso la conoscenza che porta “alla certezza, il più alto livello di verità”. E ancora sull’Università Cattolica in Irlanda di cui Newman fu ideatore e rettore a Dublino dal 1854 al ’57: “Scopo di un’educazione universitaria sono le acquisizioni o le nozioni? L’occhio della mente, il cui oggetto è la verità, è opera di disciplina e d’abitudine”.

A capire meglio l’uomo Newman, dal libro alcune coordinate sulla sua vita. Prete anglicano dell’Ottocento, docente universitario ad Oxford, si convertì al cattolicesimo diventando sacerdote, ideò l’Università Cattolica in Irlanda,  per Leone XIII fu  “il mio cardinale”.

Anni turbolenti, in cui il cattolicesimo attivava in Inghilterra molte conversioni per il massiccio afflusso di immigrati irlandesi. Dal Concilio ecumenico del 1869/70 scaturì il dogma dell’infallibilità pontificia, ma in Inghilterra il primo ministro Gladstone scese in campo: “Il dogma rendeva sospetta la lealtà dei cattolici allo Stato”. La Gran Bretagna, nella storia del pensiero europeo, aveva avuto una strada a sé di diritti laici fin dal 1689 quando il Bill of rights aveva stabilito la superiorità delle leggi del parlamento sulla volontà del re. Nel Settecento i filosofi inglesi Locke, Berkeley, Hume indicavano come certezza la realtà costituita da percezioni o sensazioni, nell’Ottocento ci fu la reazione: il risveglio dei cattolici con il Movimento di Oxford e con Newman. Fu lui a  rispondere indirettamente a Gladstone (lettera aperta al duca di Norfolk): “Se fossi obbligato a introdurre fra i brindisi di un banchetto la religione, berrei alla salute del Papa,  ma prima alla Coscienza e poi al Papa”. Splendida criticità con al centro l’uomo e la sua libera decisione.

Per Newman l’idea d’Università partì da un’analoga constatazione: “La conoscenza conferisce un’educazione liberale, l’opposto di servile, commerciale, professionale; plasma il gentiluomo...”, ma ciò non basta. “La Teologia, branca della conoscenza, perché mai dovrebbe essere esclusa dall’insegnamento? Se Dio è più della natura, la Teologia reclama un posto tra le Scienze, ha diritto ad un posto nell’insegnamento almeno quanto ne ha l’Astronomia”. Ciò significa che l’uomo religioso (religione da re-ligare, patto tra uomini) era libero di valutare secondo coscienza le leggi dei laici, cioè del popolo. Non si dimentichino in riferimento all’oggi “i valori cristiani irrinunciabili”.

Cerastico non chiude il discorso nel passato, lo fa irrompere nell’oggi attraverso Newman con la sua semplice constatazione sulla mente “coltivata” dall’Università Cattolica che non si limita a plasmare “il gentiluomo”. Newman nell’affermare che “il peccato non è offesa a Dio, ma contro la stessa natura umana” (quindi cosa di tutti), ci fa constatare il niente del pensiero postmoderno, il tutto  dell’evangelizzazione con all’origine il Dio di Gesù Cristo. E cita, in questa direzione, proposte recenti di Magistero: l’appello per l’insegnamento nella scuola della Bibbia, grande codice dell’Europa e dell’Occidente, e quanto sarebbe necessario lo studio della Teologia per chi impara le Scienze in Cattolica.

L’autore, laureato in Economia e Commercio, dirigente d’azienda industriale, ha conseguito il Dottorato in Teologia sistematica e la insegna presso Università della Terza Età. La sua formazione è stata resa possibile da un’intelligenza curiosa di andare alla radice dei valori ma anche dal clima culturale, fervido e impegnato, che si respira a Milano.

                  Maria Luisa Bressani

 

Il testo successivo di Sergio Cerastico nato come tesi di Teologia sistemica presso l'Università Cattolica da fine gennaio 2013 è stato il libro che ha tenuto compagnia a mio marito abituato a leggere con grande attenzione le Encicliche dei Papi (specie di Ratzinger) o dato che viviamo a Genova le Lettere pastorali in Bioetica di Dionigi  Tettamanzi, già nostro cardinale, perché le trova scritte con grande sapienza anche linguistica. Tant'è che io da giornalista ho preso l'abitudine di non far leggere mai un testo mio a lui prima che sia pubblicato se no mi tocca rifarlo almeno un paio di volte.

Cerastico lo incontrammo in un viaggio a Fatima con gli Amici dell'Università Cattolica ed era il 2007 e coincise con l'annuncio che Bagnasco presente a Fatima diventava presidente della Cei. Purtroppo dopo aver ricevuto in dono questo bel libro non mi è riuscito di farne pubblicare la recensione.

 

 

 

 

Medjugorje. E dopo? di  Gianni Romolotti

Il Giornale 21 giugno 2012

 

Medjugorje. E dopo? di Gianni Romolotti (Sugarco Edizioni) si svolge tra due parametri: uno di Andrea Tornielli nella prefazione, l’altro, la “Sberla”, dell’autore che ci spiega perché ha diviso il libro in tre parti. Un “Prima”, un “Dopo”  e in mezzo l’esperienza che gli cambiò la vita: la foto riprodotta in copertina, di cui conserva geloso il negativo, e che rivela la figura di Maria sullo sfondo del cielo. La scattò 25 anni fa, il primo maggio nel 1987, andando a Medjugorje per fotografare il fenomeno del sole roteante. Si accorse della misteriosa parvenza solo sviluppandola, ad occhio nudo non l’aveva percepita.

Tornielli nella prefazione scrive di avere amici devoti di Medjugorje ma d’essersi sempre accontentato di leggerne fino al marzo scorso quando  partecipò ad un pellegrinaggio in una svolta di vita professionale, con il passaggio dal Giornale alla Stampa. Compì un tour di tre giorni: uno di marcia forzata in pullman da Milano alla località dell’Erzegovina, due di “full immersion” tra i pellegrini. Si è sentito colpito dai tanti “testimoni” di fede. E’ proprio nelle conversioni del cuore il miracolo più grande dei luoghi a “Firma di Maria”. Questo è il titolo di un altro libro di fede, in cui Padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, e Saverio Gaeta constatano che le apparizioni della Madonna  disegnano sull’Europa una grande “M” in corsivo, iniziando da Pontmain in Bretagna, passando per Fatima, Lourdes, Pelleoisin, Parigi, La Salette, Banneux e Beauraing, Roma e Civitavecchia, Siracusa, per concludere a Medjugorje.

Tornielli, da buon vaticanista,  dice “Attendo il giudizio della Chiesa”, ma è conquistato dall’esperienza comunitaria che si svolge a Medjugorje, come in altri luoghi mariani. Lì si può piangere in libertà, riconsiderarsi, sperare in un futuro cristiano, pur se il precristiano Seneca scriveva nelle Lettere: “Tutti vivono con lo sguardo rivolto al domani. Un male immenso. Non vivono, sempre in attesa di vivere, rimandando tutto al futuro”.

Invece per Romolotti- ed è l’altro parametro, l’hic et nunc della sfida che Cristo ha dato all’esser uomo di ognuno- accade quella “Sberla di Dio” dell’incredibile foto. E di qui la domanda: “Perché proprio a me?”

Di qui uno sguardo critico su un “Prima” della sua vita, niente male però come si legge anche in un’intervista di Stefano Lorenzetto, non a caso insignito del Guinness per le sue “Interviste” a tutta pagina: Lorenzetto è un turbo-escavatore di umanità profonda. Quel suo articolo ha per titolo: “Faceva gli spot con Frank Sinatra, poi ha fotografato la Madonna a Medjugorje”. Romolotti è del 1936 e la sua umanità consta di ricordi di guerra, come “Littoria e Reggio Emilia”, come i terribili anni nel Triangolo Rosso, fino alla “vittoria della civiltà”, le elezioni del 18 aprile 1948. Ci salvarono dal finire comunisti sovietizzati. C’è il suo approdo professionale a Milano, “finalmente!”, dopo la gavetta in provincia (alla Gazzetta di Parma, Gazzetta di Pavia): Milano, allora grande e generosa!

Il “Dopo” è fatto di “Incontri”. Con Padre Slavko, il burbero frate guerriero capace di credere da subito nei veggenti e di ammonire della futura guerra in Bosnia, profetizzata dalla Madonna. Gli “Incontri” sono con i Gruppi di Preghiera al Palatrussardi, con Radio Maria, con i Pellegrinaggi nei luoghi mariani. In questo “Dopo” arriva il dolore nello scontro con un melanoma e tre infarti, ma Maria è la madre che si fa vicina al figlio quando ha bisogno. Lo affianca ma gli chiede di portare la croce.

L’“Incontro” è anche con i Santi, quelli storici e del nostro tempo come la giovane Chiara Badano del Sassello, morta nel ’90, ora “Beata”. Ecco ancora l’“Incontro” a Giustenice di Pietra Ligure con la comunità di recupero per tossicodipendenti, di Suor Elvira e Suor Piera. Vi si lavora e non si  prende metadone neanche per disintossicarsi. E Romolotti ci racconta la storia della mamma di Mauro, un ragazzo in via di recupero. La droga ha distrutto la microattività familiare di vendita di calzature, ha alienato la casa di proprietà. Poi la rinascita in  comunità, perfino la voglia della madre di aiutare gli altri, magari un malato, perché lei è brava nei lavori a maglia.

“Capito Pannella?” chiede l’autore, associandogli la Bonino, la Turco, il Don Gallo. Ricordo che Colette Rosselli,  moglie di Montanelli, l’indimenticabile “Donna Letizia”, di Pannella scrisse di non perdonargli la “triste sceneggiata” di aver fumato uno spinello ad un raduno di ragazzi. “Diritti dei laici: Aborto, Divorzio, Pornografia, Commercio d’Embrioni, Eutanasia?” Secondo Romolotti, distruttive false libertà: una devastazione demoniaca del mondo contro il messaggio di Maria che continua a pregare per noi tutti.

                                Maria Luisa Bressani

 

 

 

Un Miracolo nella mia vita di Margherita  Enrico

Il Giornale 17 agosto 2011

 

Cos’è il miracolo? Perché il miracolo come guarigione da un’infermità è solo di alcuni? Il miracolo sarà mai spiegato dalla scienza o impareremo ad inchinarci al soprannaturale? A queste domande Margherita Enrico risponde con Un miracolo nella mia vita (Sperling & Kupfer, anche in versione ebook), sottotitolo “Condannati dalla scienza, salvati dalla fede”.

Margherita ci dà una risposta: abbandonati con la preghiera alla forza di Dio, ma collaborando se  capisci cosa non va nella tua vita e come pregare. “Andate a fate. Subito. Adesso” sono parole conclusive del libro chiarite dagli episodi di vita raccontati. Prima di ricordarne qualcuno mi sembra importante presentare alcune sue credenziali.

“Sono giornalista e scrittrice e da anni mi occupo di medicina e ricerca”, così esordisce e subito ricorda, tra gli amici più cari, Luc Montagnier premio Nobel per la medicina, scopritore del virus HIV, un ateo studioso delle guarigioni a Lourdes con cui hanno approfondito tanti miracoli. Quando gli scienziati come lui “aiutano il prossimo o scoprono qualcosa di utile all’umanità – scrive - si sentono in sintonia con il Creatore, esperienza che raggiunge profondità straordinarie”. Montagnier ammette che ci sono fenomeni inspiegabili dalla scienza e non diversamente da lui Giovanni Paolo II: “Certe guarigioni costituiscono una realtà che non ha una sua spiegazione se non nell’ordine della fede e che l’esame scientifico non può negare a priori”. A Giovanni Paolo II “sempre presente nella mia vita” è la dedica del libro perché quel Papa guarì suo figlio. Nel giugno 2002, in Vaticano  dove li aveva ricevuti,  il Papa mise la mano sul capo del suo Francesco, scolaretto delle elementari, ma dall’età di tre mesi affetto da una malattia al sistema immunitario e spesso costretto sotto la tenda ossigeno al Gaslini. Emoziona la testimonianza della guarigione miracolosa raccontata dal bimbo anche perché nel libro si sente battere forte il cuore di mamma. Non a caso il libro si apre con il ricordo della consacrazione (1994) del santuario della Madonna delle lacrime di Siracusa quando Giovanni Paolo II disse: “Le lacrime della Madonna testimoniano la presenza della Madre nella Chiesa. Piange una madre quando vede i suoi figli minacciati da qualche male, spirituale o fisico”.

Tanti e tanti i miracoli indagati da Margherita a seguito della sua esperienza e del momento di disperazione al Gaslini quando, sentendosi inascolata, disse esacerbata: “Gesù, io lo so, un giorno mi dimostrerari la tua potenza!” Sono i miracoli di don Giuseppe Capra ad Albenga; di tre Santi, di cui due medici: il frate medico Riccardo Pampuri, il medico Giuseppe Moscati, don Carlo Gnocchi. E miracoli  del passato, di cui uno clamoroso del 1640: la gamba, amputata da due anni nell’ospedale di Saragozza a Miguel Juan Pellicer, che gli rispuntò per intercessione della Madonna del Pilar. Contro gli scettici che si arroccano in un “crederò quando vedrò rispuntare un arto”, viene narrata anche una guarigione recente: la “gamba ricostruita” (1963) del trentino Vittorio Micheli che guarì bagnandosi a Lourdes.

A Lourdes, ai quasi settanta miracoli riconosciuti dalla Chiesa, sono dedicate pagine del libro con riflessioni come questa: le persone che s’immergono nell’acqua delle piscine, cambiata solo due volte la settimana, sono spesso portatrici di una carica batterica e virologica esplosiva, ma nessun malato è stato contagiato. Quando nel 1906 la stampa francese s’impegnò per farle chiudere per motivi igienici, l’azione fu fermata da una lettera-testimonianza firmata da tremila medici e 40 professori d’università che dichiaravano quell’acqua non aver particolari proprietà terapeutiche e tuttavia numerose le guarigioni non razionalmente spiegabili.

A Lourdes guarì un’atea che vi era andata per curiosità e tra i tanti miracoli anche alcuni avvenuti nella “Lourdes dei Bizantini” (alla casa di Maria vicino ad Efeso) perché “malattia e sofferenza colpiscono gli uomini senza distinzione di credo e neanche Dio ne fa”.

Nel libro tutto un percorso d’ascesi, espresso con la semplicità diretta della brava giornalista. Ci rispiega la potenza del perdono (vedi un miracolo avvenuto davanti al Bambin Gesù di Praga nel santuario di Arenzano). Ci ricorda “i tempi di Dio” che non coincidono con i nostri come nella parabola dei dieci lebbrosi la cui guarigione non si verificò subito ma mentre “essi andavano” (Luca, 17, 12-19), quasi una sorta di “guarigioni progressive”. Nel libro un’alta catechesi sul modo di pregare, sul “chiedete e otterrete” che non deve essere piagnucolando, ma con la convinzione dell’“io voglio guarire”. Un pensare in positivo confermato da testi medici:“Credere fa bene”. Anche il pragmatismo del  cogliere i piccoli miracoli della quotidianità che cataloghiamo come “fortunate coincidenze”. Un episodio narra con umorismo di un uomo di fede bloccato in casa da un’alluvione  che pensava “il Signore mi salverà”. Da una barca a remi  gli offrono un passaggio ma rifiuta, idem per una barca a motore e per un elicottero mentre già era sul tetto. Sommerso dai flutti, muore e chiede: “Perché non mi hai salvato?”, e Dio: “Ti ho mandato tre aiuti, cosa ti aspettavi?”

Se bisogna abbandonarsi a Dio, dobbiamo anche saperlo riconoscere vicino a noi. Tanti i miracoli non solo fisici anche della pace dello spirito, della conversione e, dal libro, una travolgente riflessione a titolo di un capitolo: “Non la scienza ma la carità ha trasformato il mondo”.

                     Maria Luisa Bressani

 

Confraternite nel Genovesato

di Pier Luigi Gardella ed Edoardo Meoli

"Viaggio nelle strade di campagna della fede" 

Inserisco ora due rencesioni a libri riguardanti i miei due direttori al Settimanale diocesano cui ho collaborato per 21 anni fino al 2008

Il mio diario di Gesù  di Nazareth

di Gianluigi De Marchi

Il mio  diario di Gesù di Nazareth, autore Gianlugi De Marchi (editricestylos@virgilio.it) è di "semplicità sovrana" su fede e vita. "La semplicità - come disse un gran pittore stanco di sentirsi ripetere ciò per i suoi quadri- significa aver masticato bene tante cose". In questo caso si fa "sovrana" in quanto ogni pensiero appare inoppugnabile. Non a caso il diario è riferito a Cristo in persona, da quando Gesù aveva dieci anni a quando Giuda sta per tradire.

Per far capire meglio, inizio da "Gesù al Tempio" dove con i saggi discute su quattro fondamenti: "giustizia, uguaglianza, umiltà, coraggio". Attualizzando, li definirei: "legge e processi, questione sociale, doveri, testimonianza". Gesù aveva già detto in precedenza che bisogna esser osservanti delle leggi, ma sarà egli stesso a superare la legge degli uomini (ingabbiata in regole storicizzate, incrostata di convenienze, interessi) per sostituirla con quella del Padre. Gli altri fondamenti sono tuttora irrisolti, ma il cristiano  può  migliorarli.

Nell'amore di Maria e Giuseppe troviamo il significato d'amor coniugale, cemento di un matrimonio nel tempo. Gesù dice di loro: "I miei si vogliono bene, si aiutano sempre, sorridono sempre". Proprio il sorriso ci dà la dimensione di qualcosa che non pesa, che fa bene all'anima nel rapporto tra due persone, anche se i nostri anni che faticano a staccarsi dal Novecento di dittature e guerre, non offrono motivi di sorriso. A noi donne può pesare una frase di Céline, non per il fatto che tutte dobbiamo conoscerla, ma perché stigmatizzò il sorriso stampato in tanti visi femminili per piacere. C'invitava a non sorridere, ma ad esser  più responsabili.

Qui Gesù bimbo sorprende un bacio dei genitori  a sera davanti alla porta di casa vicino ad un albero di fichi che "stanno maturando sui rami ricurvi". Dice Gsù: "Sono rimasto a fissarli senza far rumore, finché la mamma si è resa conto che c'era qualcuno dietro la porta, si è girata e mi ha sorriso; senza dire un parola mi ha sorriso".

C'è poesia autentica in questo libro, oltre a precise documentazione storica ed ambientazione.

Nel racconto del padre Giuseppe a Gesù bambino vediamo le parentele, la vita d'allora, il momento della sua nascita, fin il saluto del vecchio pastore che si era recato a Betlemme a rendergli omaggio nella grotta adibita a stalla. Incontra di nuovo Gesù tredicenne e mi fa venir in mente l'altro pastore, primo intervistato di Giorgio Torelli nell'ultimo libro, Dal nostro inviato speciale nel Presepio (Ancora 2011). Dice al giornalista l'angelo che lo guida: "C'è qui un pastore, se vuoi parlargli. E' stato uno dei primi a farsi sotto. Ti faccio da interprete come d'accordo".

Incanta scoprire questa convergenza di alcuni sensibili giornalisti e scrittori sul tema della nascita di quel bimbo speciale. E' l'incanto unico che ci viene - come bene mette in evidenza De Marchi - da Gesù "che c'invita a chiamare il povero a mangiare con noi, a far posto in un momento conviviale all'ultimo davanti al primo, a dar valore alla contemplativa Maria più che all'affacendata Marta (bisogno di spiritualità), ad esser tolleranti con Maddalena che molto amò". Gesù c'invita a ridimensionare  miti di ogni tempo, come l'oro (i soldi). Ce ne parla con i doni dei Magi: la ricchezza non è obiettivo della vita, ma deve servire "a costruire un mondo migliore insieme agli altri, non escludendo gli altri". E del ricco Zaccheo, Gesù dice: "Chi si dà da fare è benedetto dal padre, chi rimane inerte ed inattivo sarà cacciato". Un concetto valido anche a non sprecare talenti spirituali.

Ecco perché questo libro non si può scorrere a mozzafiato, ma va centellinato nella sua sapienza di riproposta del messaggio cristiano.

De Marchi è forte anche nel percorso storico con la scelta del calendario ebraico e tra le fonti, consultate e prescelte, oltre ai Vangeli canonici, anche i Vangeli apocrifi, il Vangelo arabo, La storia del falegname Giuseppe, il Protovangelo di Giacomo, il Codice di Hereford (1927). Non a caso, è giornalista di lungo corso che si occupa di finanza, è scrittore con una trentina di libri su banche ed investimenti. Nel capitolo conclusivo, riporta parole del Cristo quando già Giuda si è allontanto per tradire: "L'amore vince sempre sull'odio". Cristo conclude sulla necessità di testimoniare a costo della vita, mai ricorrendo a forza e  violenza. Da applicare ancora, nei nostri giorni politici contro l'intolleranza.

               Maria Luisa Bressani

 

La svolta conservatrice dei progressisti 

e Le solite domande impossibili

 di Giglio Reduzzi

Inserisco ora la recensione a due testi di Giglio Reduzzi di cui il secondo Le domande impossibili 

lo riguarda come cristiano di fede profonda.

Torna a noi Giglio Reduzzi con due saggi: La svolta conservatrice dei progressisti italiani e Le solite domande impossibili, entrambi pubblicati con Youcanprint, l’editrice che -come dice- gli ha dato possibilità di scrivere in libertà. Il lettore, specie il genovese, di lui, bergamasco, ricorderà “L’epopea dei caravana”, cioè degli antichi camalli, laboriosi bergamaschi. Ricorderà, a suo onore di italiano che ha lavorato a lungo all’estero, “Dal Brembo al Mississippi”,  quasi “un giro del mondo in 75 anni”  di vita.

Ora Reduzzi ci offre un’altra rappresentazione di un Teatro dei Pupi, italiano e quotidiano, e ancora una volta la memoria di persone che ci rappresentano al meglio. La spiegazione del titolo è nel fatto “che in Italia la sinistra e la CGIL, sindacato ad essa collegato, a furia di scioperare hanno conquistato tutti i diritti dei lavoratori e per sopravvivere devono comportarsi da conservatori”. Alcuni esempi dall’ultimo governo Monti: “Vuol riformare la disciplina delle pensioni?, ma la sinistra si opppone”; “il ministro Balduzzi punta alla riforma dell’assistenza sanitaria?, la sinistra è contraria”. Anzi “quell’assistenza  che il progressista Obama vorrebbe estendere a tutti, da noi, dove c’è, si gioca con catenaccio di difesa sull’esistente”.

L’esempio più esilarante è la “Carta d’intenti” dei Progressisti alle recenti primarie. Reduzzi commenta: “Pensavo che l’era di piattaforme di 180 pagine (dove tutti leggono ciò che vogliono) fosse finita con Prodi; a questa, per non essere generica, ne farà seguito una più lunga”.

Perché siamo ridotti così? Una spiegazione dall’“Allegato 3” sull’articolo 18, con la storia di Vittorio Necchi: negli anni quaranta non scendeva in fabbrica per non essere abbracciato, negli anni sessanta per timore di botte. Era intervenuto l’odio della predicazione comunista.

Sempre dal libro, gli “eccessi della Magistratura che fa riassumere fin i lavoratori colti a rubare, quelli che in Cina sarebbero fucilati, con addebito del costo della pallottola alla famiglia”.

Un piacere leggere una disanima così controcorrente, però il saggio ci affascina ancor più sul piano umano con storie esemplari nei sette “Allegati”. La prima su Leon Jolson, ebreo polacco, a New York nel 1947 senza un soldo e senza passaporto. Aiutato dall’United Service for New Americans, vendendo macchine da cucire, accumula tanto da restituire più di quello che ha avuto e aiuta altri immigrati del dopo, fondando una propria associazione. Vuol ricostruire la sinagoga di Varsavia distrutta dai nazisti (cosa che il governo gli vieta) ma riceve la Torah che vi era custodita, salvata presso di sé per 50 anni da un cristiano polacco. Altre storie riguardano nonno Temistocle, che aveva lavorato alla Necchi, diventandone cliente, o Umberto Barnato, grande ligure, ma anche il Matteo Renzi che da solista stecca con il vecchio PD e i viaggi di Monti nel mondo per darci lavoro.

Diverso, del tutto spirituale, l’altro saggio di Reduzzi  “Le solite domande impossibili”. Riguardano paradossi della fede, incongruenze per il cristiano più attento.

Un viaggio a “flash” in un incrollabile “credo quia absurdum”. D’altra parte Reduzzi viene da Ponte San Pietro a pochi chilometri da Bergamo e da Sotto il Monte (sempre Bergamo) proveniva Giovanni XXIII, il Papa Buono, con frequentazione delle famiglie d’origine.  I semi di carità e fede nel tempo rinvigoriscono, pur se Reduzzi si permette qualche osservazione sulla gioventù del suo tempo, di cui la libertaria e di sinistra scendeva a valle a bagordare in discoteca mentre i cattolici si stringevano all’Oratorio. Vi torna nuovo? Cosa ci promette la sinistra progressista?

I suoi interrogativi di cristiano adulto spaziano dal quesito  “Com’è l’Aldilà?”, a “Siamo soli nell’Universo?”, a questioni nodali, viste con pragmatismo. Nel capitolo “I Mercanti cacciati dal Tempio”, ci ricorda che furono non solo i venditori anche i compratori. Ci ricorda il nuovo modo di pregare che c’insegnò Cristo: “i cacciati”, definiti nel Padre nostro “debitori”, sono accolti nel perdono. Così introduce problemi d’oggi con diversa considerazione nei luoghi del mondo dove si allarga la nostra Religione. Il problema dei divorziati e della Comunione sembra non esserci nell’America del Nord, la castità nel Sud America sembra un optional. E i preti sugli aspetti diversi del costume si fanno tolleranti.

                      Maria Luisa Bressani

                             

 

 

Quattro storie possibili (Il Teatro religioso)

di Mario Bagnara

Chiudo questa pagina ritornando al Teatro mezzo di comunicazione diretta (come non è il cinema) e quello religioso di Bagnara è specchio della società genovese città di mare e di come ha formato il suo spirito.

Quattro storie possibili (red@zione, direttore editoriale Mario Bottaro) raccoglie il teatro religioso di Mario Bagnara, laureato in giurisprudenza, amministratore delegato della Bagnara Legnami. I suoi testi, “L’uomo di Arimatea”, “L’ultimo cliente”, “L’angelo di Dio”, “Il venditore di profumi”, scritti nei primi dieci anni del 2000, hanno avuto riconoscimento nei maggiori premi teatrali dal Vallecorsi all’Enrico Maria Salerno; sono stati rappresentati al Valle di Roma, a Genova al Duse e al Garage, e in luoghi d’atmosfera che esaltano il Teatro di parola: il Chiostro del Museo Diocesano, la Chiesa Anglicana di Bordighera.

Questo è libro prezioso che ci fa riflettere sul processo a Cristo, l’uomo più buono tra tutti noi, perciò condannato e crocifisso, come pure sulla cristianità e su cosa continua a mancarle per cambiare il mondo a immagine di Lui.

Ancor più c’intriga il bipolarismo tra la genovesità che permea l’autore e lo sconfinamento del discorso cristiano ad altri versanti del mondo: l’Inghilterra, l’Oriente che tanta parte ha nei Vangeli Apocrifi o in storie di moda nel Duemila come quella che più mi colpì, il Gesù di Srinigar (Kashmir). Il nostro Cristo così diviene davvero universale.

Per esemplificare sulla genovesità. Caifa nell’“Uomo di Arimatea” accusa Gesù come impostore: “Dove sta scritto che la sacra Legge dovrà rifondarsi, o riformarsi per esaltare i peccatori? Essere il Verbo delle prostitute...” La sua critica sembra diretta ad un nostrano don Gallo che però non si esalti: Cristo non si è messo solo a fianco delle pecorelle smarrite, le ha convertite!

Lo sconfinamento avviene attraverso “Note” dell’autore, allegate dopo la lettura del testo. Ci spiega che Giuseppe d’Arimatea, colui che chiede il corpo del Cristo per dargli sepoltura, era  commerciante di stagno, metallo trasportato allora dalla Fenicia  in Cornovaglia. In quanto parente di Gesù lo portò con sé in un viaggio in questa terra. Bagnara ci ricorda  William Blake in riferimento a Cristo nel suo “Jerusalem”: “Camminarono quei Piedi in un giorno lontano/ sulle verdi montagne inglesi?/ E fu veduto il Santo Agnello di Dio/ sui dolci pascoli d’Inghilterra?”

Un’altra conferma di genovesità è in Maria Maddalena, la prostituta convertita, scelta dal Cristo come prima testimone della sua Resurrezione. Nell’“Ultimo cliente”  Nadir, l’uomo che l’ha fatta educare nell’arte della seduzione, morto Cristo, le propone di riprendere il rapporto mantenendola non da sposa ma con ogni agio. La Maddalena sceglie la fedeltà al Cristo. E’ da ricordare che due città marinare, Venezia e Genova, dove sbarcavano i potenti, hanno coltivato una tradizione di rispetto per “l’altra donna”, sia fosse la “cortigiana” o la “bocca di rosa”, in ombra rispetto alla moglie, ma ostentata e riverita.

La genovesità d’oggi si mescola all’Oriente anche nel “Venditore di profumi”, di nome Shadi, “mente” nel gioco di scacchi con i protagonisti. Questi sono Erode Antipa, Tetraca di Galilea, arzillo attempato di potere, con per amante la cognata Erodiade (grande scandalo al vertice!) e con mire sulla di lei figlia, Salomé, che danzando otterrà da lui la testa del prigioniero Battista. Shadi, il venditore, ha una natura capace di far smemorare come i suoi profumi, come quelle essenze che ci colpiscono dai tappetini, allestiti per la vendita, dai tanti ambulanti africani o orientali, sia sulla passeggiata a mare di Nervi che in Corso Italia. Shadi è seguace del Battista,  per Erodiade  “feroce, selvatico, un caprone”, mentre lui lo dice “angelo vendicatore, un caprone che usava le corna per spianare la sua strada”. Difficile trovare oggi un politico con la grinta del Battista:  forse è un “sogno” dell’autore per uno così che ora ci manca.

Anche in questo testo i personaggi campeggiano con vizi attuali e antichi. In uno smemoramento, provocato dai profumi, Salomé si sovrappone all’Amleto di Shakespeare (dove in una battuta Erode è proprio nominato), e per Bagnara “in teatro la letteratura dovrebbe sentirsi di casa”.

Il terzo testo “L’angelo di Dio”, messo in scena con la sensibile regia di Giuliana Manganelli (che coltiva un altro filone religioso: la storia dei Templari) racconta  Annunciazioni e comparse misteriche di Angeli. Supera la razionalità di Bagnara per attingere alla poesia.  Heidegger sosteneva che dei due vertici di conoscenza,  filosofia e poesia, questa ha il primato nell’addentrarsi nel mistero.

Da sottolineare nell’“Introduzione” l’accostamento di Carlo Repetti  tra il teatro religioso di Bagnara e quello di Diego Fabbri, però l’uno convince con il ragionamento, l’altro con una visionarietà emozionale che meglio lo apparenta a Pomilio del Quinto Evangelio o a Schwartz-Bart dell’Ultimo dei giusti.  Contro la cappa omologante del marxismo del teatro brechtiano imposta negli Stabili, Fabbri ci ha fatto sognare con le parole: “Credo che l’artista debba operare per svegliare e dilatare quella scintilla di assoluto che è in tutti e che ci fa veramente uomini”.  Maria Luisa Bressani

                     

Il Teatro del Cartelami -

Effimeri per la devozione in area mediterranea

In Regione la presentazione del volume Il Teatro dei Cartelami – Effimeri per la devozione in area mediterranea, (Sagep Editrice), curato da Franco Boggero e Alfonso Sista, è stato momento culturalmente alto, per ricordare con quali sponsorizzazioni e collaborazioni di studiosi sia nato e come abbia sviluppato altri interessanti progetti.

I Cartelami, parola con la stessa radice di “carta” e “cartone”, erano apparati temporanei, eseguiti su legno tela latta e cartone, decorati a tempera o ad olio, al fine di ornamento per l’Adorazione delle Quarantore e per i Sepolcri della Settimana Santa. In questa occasione ancor oggi, ogni due anni, in Savona si tiene la stupenda Processione delle Casse degli Oratori, nella cui esecuzione e nella fattura dei Cristi processionali si ammira la “gara artistica” di alcuni tra i più importanti scultori lignei liguri del passato. Così  per i Cartelami una sorta di competizione artistica è attestata dalla presenza di esecutori illustri: Tommaso Carrega, Benedetto Alfieri, G. Battista Trucco...

Il progetto del ricupero di Cartelami si è sviluppato in ambito comunitario, sostenuto da fondi europei, ed oltre alla Liguria con i partner Sardegna, Toscana e Corsica (per la Francia), allargando l’indagine  all’Oltregiogo piemontese. Il gruppo di studio, che ha lavorato per sei anni, si costituì per il progetto “Accessit” (per favorire accessibilità culturale e fisica) a tali interessanti manufatti medievali e in auge ancora nel Settecento. Oggi apre alla prospettiva di riqualificare gli Oratori che li custodivano e fin i Teatri storici della Liguria, luoghi straordinari di cultura. Per la valorizzazione dei Teatri sono arrivati finanziamenti dalla Fondazione San Paolo,  per il restauro di 150 Cartelami sono stati impiegati fondi della Fondazione Carige. Nel prossimo aprile al Ducale dopo quella di Mirò, una Mostra di Cartelami in collegamento al Museo Diocesano per alcuni manufatti su tela jeans che ci riportano ai “Teli della Passione”, ivi conservati. Uno dei pezzi più interessanti ma ancora in attesa di trovare fondi per il restauro è l’Ostensorio di Giovanni Agostino Ratti nell’Oratorio San Giuseppe di Albissola Marina. Non solo, è allo studio come implementare l’occupazione giovanile per restauro e artigianato un po’ specializzato.

Nell’introdurre la presentazione del volume Gabriella Airaldi ha sottolineato come nel Moedioevo l’immagine servisse alla comunicazione anche più della parola considerato il massiccio analfabetismo. Airaldi, Presidente della Fondazione Regionale Cultura e Spettacolo, dà bella continuità alla valorizzazione compiuta dalla Fondazione Colombo (presidenza di Mario Bozzi Sentieri), di ogni borgo ligure con le proprie eccellenze.

In questa vasta area mediterranea di presenza dei Cartelami spiccano zone della Francia (in particolare Corsica e Roussillon), la Spagna Catalana e in Liguria il territorio imperiese che ne annovera il maggior numero: a Ceriana di San Remo è conservato un Cartelame pieghevole, sopravvissuto al terremoto del 1887. A Laigueglia c’è n’è uno, fatto da un sindaco, come un Teatro istoriato, a Ligo (paesino ai margini dei piani di Albenga) la popolazione ha aiutato i curatori del libro a montare il Cartelame perché ricordava come farlo con quinte, sagome e boccascena.

Gli autori del libro, il genovese Boggero e Sista d’Imperia, sono entrambi storici dell’arte, l’uno al Ministero Beni Culturali ed Architettonici, l’altro presso la Soprintendenza del Patrimonio Artistico della Liguria.

Di Sista ricordo con ammirazione un sapiente libro a quattro mani con Daniela Lauria che ci riporta alla più schietta genovesità: Pittore Pittori Pittrice - Famiglie Adamoli: Storia, Personaggi del Novecento in Liguria.

Boggero, si è anche affermato come cantautore, e per chiudere - con leggerezza ironica - questi suoi versi di Chimica: “Avevo l’intenzione di brindare a questi due che oggi si sposano/ magari si ameranno anche domani ma non ci scommetterei/ meglio star zitti, non si sa mai”.

Due autori non solo storici dunque, ma con la scintilla di creatività e orgoglio italiano che connota anche la tradizione mediterranea e soprattuto ligure dei Cartelami.

                     Maria Luisa Bressani

 

 

Poesie e canti per Maria

di Laura Dedone Bisio

Al Santuario di Santa Caterina da Genova accompagnare i momenti dell’Anno Liturgico con il commento di brani di Letteratura è un programma educativo che Fra’ Vittorio Casalino realizza da qualche anno realizza con successo: dal ricordo del settimo centenario di Petrarca al confronto del Purgatorio di Dante e di Caterina da Genova. Quest’anno ha illuminato di comprensione i giorni dall’Immacolata alla Natività preparato il Natale con <<Poesie e Canti per Maria>>. Otto poesie hanno offerto la personale preghiera alla Vergine di otto grandi poeti del passato: una sorpresa la raccolta, stampata in esemplari già quasi esauriti  e richiederla è venir a possedere un tesoretto!

Laura Dedone Bisio con la sua sensibilità critica si è resa interprete dell’avventura spirituale, ambientando con brevi commenti le poesie nella vita e personalità degli autori, con sorvegliata misura per nulla togliere o aggiungere.

La prima lirica commentata “In Oriente” di Giovanni Pascoli colpisce per l’attualità di un appellativo che fa pensare alle masse d’oggi in cammino lontano dal luogo di nascita: Maria è “una straniera”(partorisce infatti Gesù a Betlemme nel regno di Giuda dove regnava Erode che, alleato a Roma, obbedisce all’ordine di Augusto di compiere un censimento nel suo territorio). E’ rifiutata dagli ostelli del tempo troppo affollati per il censimento e Gesù nasce da “irregolare” al di fuori delle regole codificate. Nella capanna entra Maath e  dice a Maria “Noi cercavamo Quei che vive”, ed è un colpo di teatro perché Lei ribatte che il bimbo è vivo solo per il fiato dell’asino e del bue. Maath incalza: “Quei che non muore” e Maria, come ogni madre che “sa” anche il futuro della sua creatura, gli replica: “il figlio mio morrà...in una croce”. “E’ Quello” le risponde l’Universo, in cerca di Dio.

Altro dolore intorno alla nascita di Dio ci giunge da Antonia Pozzi, poetessa morta giovane (1912/38) che descrive Maria come un punto fermo sulla città di Messina devastata dal terremoto. Un dolore, ma consolatorio, ci viene dalla russa Anna Achmatova in “Alla Madonna di Smolensk”. Descrive il cimitero della piccola località in cui per l’Ausiliatrice le madri portano i bambini a visitare le tombe dei padri  come una “macchia di usignoli”  dove l’incenso s’allunga azzurro sull’erba.

Con il nome di “Vergine di Soledad” Garcia Lorca ricorda la “Madonna in crinolina”, con la veste aperta sul fondo come un tulipano e sontuosa della ricchezza devozionale di Spagna e Sud America. Maria va sul fiume della folla in processione, ondeggia “sull’alta marea della città” ed è la Madonna, bella di eterna giovinezza, che tanti veggenti hanno descritto.

Ci sono anche i dubbi dell’uomo-poeta: di Hermann Hesse che non crede più ma ritrova fede di fanciullo per chiedere ancora una benedizione, di Luzi che considera Maria l’anima sua e del mondo. Ai poeti per Maria si uniscono Esenin, Yeats, Rilke e il “genovese” Caproni che La chiama “Stella del mare. Altissima. Bella. All’infinito bella più di ogni altra stella”. 

                        Maria Luisa Bressani

 

 

Montallegro e altri racconti di

Emilio Biagini

Emilio Biagini con Montallegro e altri racconti (Fede & Cultura) si riconferma scrittore autentico ed in crescita per una  saggezza se possibile ancor più profonda. Guarda alla vita con le  coordinate di sempre del suo pensiero e sentimento, in cui brilla la fede cristiana in tutta la passione: miracoli, un seminarista martire, una canzone alla Vergine scritta da uno dei protagonisti in un momento di lutto del cuore come da un novello Jacopone ma anche il problema del male che continua a sovvertire esistenze. Né manca la grande Storia, considerata da visuali non conformiste. Biagini ne precisa errori e rettifica sui fatti come avrebbero potuto e dovuto essere.

Già nel primo racconto, dedicato al processo che si tenne a Genova sull’icona della Vergine per cui fu edificato il Santuario di Montallegro, un’interessante puntualizzazione storica oltre al fatto in sé. L’icona proveniva da Ragusa da cui era scomparsa 17 anni prima nel 1557 ed accadde che da una nave di ragusei in procinto di naufragare il capitano De Allegretis facesse voto (se si fossero salvati) di recarsi con l’equipaggio al santuario più vicino. Scampati sbarcarono a Rapallo e a Montallegro ritrovarono l’icona bizantina scomparsa dalla loro cattedrale. Ed ecco la puntualizzazione: di Ragusa Biagini ci ricorda che non si tratta dell’omonima città siciliana  ma “un’orgogliosa repubblica indipendente, nella quale si parlava un dialetto veneto, poiché la progredita età del nazionalismo e delle foibe era ancora lontana”. E’ una prima “rettifica” della storia mentre nonostante la giornata del ricordo, il 10 febbraio, ogni anno arrivano menzogne e negazionisti. Quest’anno al Teatro della Gioventù ho sentito dire da un funzionario della Regione che tali infamie derivarono da una pulizia etnica “che si è voluta ascrivere al comunismo”. A chi altri avrebbe dovuto?

Verso le vulgate della Storia Biagini offre altre sorprendenti precisazioni. In Montallegro ci ricorda che Andrea Doria (vanto di noi genovesi) da una parte combatteva il nemico islamico e dall’altra commerciava con esso. Nel processo ci rammenta la protervia interessata dei giudici del tempo. Alla domanda su quale fosse il bene supremo della Repubblica i giudici risposero: “il traffico, il commercio, le finanse, le palanche”. Anzi, si azzardò: “la cunveniensa”.

Sono spunti ma c’è un pagina sui delitti e l’espanasione del comunismo (p.89), sugli errori della politica inglese e gli efferati bombardamenti dell’ultima guerra come quello su una scolaresca ad Amburgo mascherata da carnevale (p.140) o la sparatoria nell’insurrezione nel 1953 a Trieste. Fa ridere a crepapelle un’altra pagina (p.189) sulla Chiesa del dialogo con conclusione sui teologi che hanno ripudiato il Dio giudice per farne un “omino di zucchero” ma avranno “orrende sorprese” quando verrà la loro ora.   Una lettura godibile e certi dialoghi la movimentano con ritmo e andamento teatrale.

Biagini è nato a Genova ed è sua questa definizione di Patria: “Non la Grande Patria che ci chiede servizio militare e tasse, è il breve spazio dell’infanzia”. Per lui pur se ha girato il mondo e conosce cinque lingue straniere tra cui oltre alle classiche il nederlandese e l’afrikaans, la Liguria resta quello spazio: la sua Patria.

Uno dei racconti più intensi riguarda un voto fatto da un pensionato di Savona che si rovina per poter “guidare” la cassa della Confraternita della Madonna di Castello, la più imponente e pesante della Processione del Venerdì Santo. Altri racconti convergono sull’incredulità dell’uomo comune verso l’invisibile. Ci appassiona il verificarsi di un miracolo: la guarigione di un bimbo (già dato per morto dal medico) per intercessione di un giovane seminarista, martire dei partigiani rossi negli ultimi giorni di guerra. Un racconto che  il giornalista di cronaca non osa scrivere perché così “not politically correct”.

E ci fa riflettere la giovinezza ribelle che si sottrae al mondo degli adulti con il suicidio: ma “la vita è un prestito”, un intangibile dono che ci viene dato e in cui dare a nostra volta. E c’è la droga, anzi anche le droghe di idee errate. C’è l’incapacità di saper amare: solo ora si capisce che nelle scuole più che dare educazione sessuale bisogna educare all’affettività.

Biagini scrittore ha già offerto opere egregie. Nel 2011 La nuova terra, romanzo di grande respiro e si è distinto in dirompenti pièce satiriche. Uno dei suoi testi universitari Ambiente, conflitto, sviluppo (è stato professore ordinario di Geografia all’Università di Cagliari)ha provocato reazioni per farlo ritirare, ma il testo è rimasto al suo posto (www.itrigotti.it).

In Nebbia, un racconto di quest’ultimo libro, Biagini ci presenta anche “il decalogo del perfetto arrampicatore universitario”. Sì, saggezza è guardare questi fatti come da lontano, è ora sorriderne. Prima com’è mortificante la strada del merito non riconosciuto, osteggiato.

                          Maria Luisa Bressani

Insegne e Privilegi nel Clero genovese di Giuseppe Parodi

Insegne e Privilegi nel Clero Genovese di Giuseppe Parodi Domenichi è una monografia (16 pagine) che racconta e spiega  privilegi e prerogative di molte chiese genovesi concesse nei secoli dai pontefici. Riguarda abiti, titoli, onori, distinzioni araldiche. “La forma quando non degenera in formalismo  serve a custodire la sostanza e aiuta la comprensione” ricorda nell’introduzione l’Arcivescovo Mauro Piacenza, Segretario della Congregazione per il Clero,  dicastero pontificio che legifera in materia. Non a caso, le riforme post-conciliari cancellano molti segni, ma la parte conservata testimonia il rilievo della nostra Chiesa locale.

Nella sua introduzione Emilio Artiglieri, Preside della Sezione Ligure dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme (che ha pubblicato il testo reperibile presso la Segreteria, via Goito 24/7A - tel. 010881976), ci offre un importante riferimento storico. Infatti il testo è stato edito nel 2009, nel 110° anniversario da che Leone XIII nominò i “Canonici” della nostra Chiesa Metropolitana in “Monsignori” con le insegne e i privilegi dei Prelati Domestici di S.S. (oggi detti Prelati d’Onore di Sua Santità). E fu un atto di considerazione del Papa per Tommaso Reggio, guida dell’Arcidiocesi, nel 1899, celebrazioni per l’VIII centenario da quando arrivarono in città le ceneri del Battista, Santo “protettore” di Genova dal 1327.

Il testo, dopo due pagine dedicate alla Metropolitana di San Lorenzo, affronta i Capitoli delle Collegiate (le quattro maggiori: S. Maria delle Vigne, Assunta di Carignano, N.S. del Rimedio, S. Maria Immacolata e le otto foranee di cui tre estinte e cinque ormai parte della diocesi di Chiavari). Illustra Abbazie, Santuari e Basiliche, a quali ecclesiastici competano ordini cavallereschi, quali infine siano le insegne araldiche, disciplina complementare della storia quando si conosca che l’Abbazia di S. Matteo si fregia dello scudo dei Doria, quella di S. Luca dello stemma Spinola o si conoscano gli stemmi degli Oratori. Parodi avanza una sorta di petizione a che S. Siro e S. Maria di Castello, l’una già cattedrale, l’altra concattedrale estiva, siano insignite di un Capitolo canonicale. Ricorda che il Capitolo Metropolitano esisteva fin dal secolo VIII, molto prima della promozione di Genova al rango arcivescovile.

Parodi, giornalista da 47 anni, “memoria storica” dell’Arcidiocesi (da giovane segretario vescovile), oggi Preside dell’Accademia Archeologica italiana, ha un sapere di cui il lettore comune è ignorante. Al testo, in una prossima edizione, penso che dovrebbe allegare un glossario per spiegare elementi di base: cos’è il Capitolo Cattedrale, cosa il Capitolo Collegiale, quali le distinzioni tra Canonico, Canonico soprannumerario, Canonico onorario per cui vale il non insignificante particolare della prebenda.

Un esempio della necessità di spiegare è in un privilegio isolato, da lui citato: nel 1179 durante il Concilio Lateranense III, Alessandro III concesse la mitra bianca al Canonico Magiscola (pro tempore e privilegio mai messo in atto). In quel secolo San Bernardo aveva rimproverato l’interesse degli abati per tale privilegio episcopale. Con l’indicazione attuale, del 1968 (Paolo VI), l’uso della mitra e delle insegne episcopali è dato solo ai prelati che pur privi della dignità episcopale hanno vera giurisdizione: non solo forma, ma anche sostanza! Senza un glossario però, guardando un’assise di ecclesiastici, saremo ancora a chiederci perché i loro cappelli differiscano fin nel colore.

                     Maria Luisa Bressani

 

 

 

 

Quando sono a Bobbio, purtroppo le pagine di Genova del Giornale non vi arrivano, c'è solo l'edizione nazionale. Così questo testo l'ho ricuperato da Internet e per disposizioni di allora l'articolo veniva dato non con il nome di chi lo aveva scritto ma come "redazione" cosa che a me sembra del tutto ingiustificata in quanto esiste il diritto d'autore o per non esagerare almeno la responsabilità e gioia di vedere ciò che si è scritto con la propria firma.

Don Venturini lo incontrai la prima volta all'Ordine dei giornalisti in cui credevo tanto più che mi avevano nominato d'ufficio pubblicista avendo raggiunto i requisiti. Avendo poi io sbattuto la porta di un giornale (anzi , lo avevo fatto in passato ma il capo non aveva protestato e non me ne aveva voluto continuando a farmi lavorare) me ne ero poi andata in silenzio senza chiedere spiegazioni poiché di 17 articoli "concordati" in tre mesi ne erano passati solo tre.   Dato che li lasciavo alla redazione senza passare dal caporedattore ho anche pensato che magari qualcuna non glieli facesse vedere. Né ho mai saputo se sia stata una ritorsione per la porta sbattuta per intemperanza giovanile dicendo: "Questo non è giornalismo!" o se nei giornali usi così: "Prima ti fanno lavorare anche con più di un articolo alla settimana, poi se per qualche motivo non ti fai viva, nessuno si prende la briga ti chiederti 'come stai? cosa ti succede?' "

Si vede che usa così o che non sei nemmeno considerata persona.

Così ero senza lavoro e quella volta all'Ordine don Venturini mi disse: "Se qualcuno le vuole male (precise parole) e lei trova le porte chiuse venga a collaborare con noi al Settimanale cattolico .

 Così feci. Fu anche la mia fortuna perché quando Luciano Basso divenne caporedattore al Giornale, pagine di Genova e Liguria, dato che sul Settimanale scrivevo proprio sotto suo figlio Fabrizio (lui teneva "L'obiettivo sul Comune" - mi par di ricordare (o Regione?), io "L'obiettivo sulla Provincia", Basso mi chiamò a tornare a collaborare al Giornale.

Per questo articolo sono stata contattata da un lettore entusiasta (uno di Milano appassionato di don Mazzi) mentre con don Venturini avevo ormai un po' un dolore perché un tempo mi mise a casa (mi sospese per un anno), dicendomi che poi il suo successore mi avrebbe richiamata. Mi mise a casa  perché un certo Luciano Orlando abitante in via Trento aveva scritto a lui che avevo fatto un'intervista "in ginocchio" a Marta Vincenzi presidente della Provincia. Lui vi aveva letto tra le righe: aborto, eutanasia, diritti dei gay ecc. Quell'intervista la metto qui di seguito, pur restando indelebilmente grata a don Venturini per quella prima volta all'Ordine e per come sempre è stato per me direttore di poche parole ma di tanto garbo. Ricordo che solo una volta lo vidi quasi sbiancare mentre riguardava un mio articolo dove avevo citato delle Suore e non avevo messo giusta la loro appartenenza. Si affrettò a correggere ma nulla disse. Si può insegnare anche senza parlare!  

Quanto a Luciano Orlando che non conobbi mai di persona, oggi ho pensato di telefonargli per dirgli di visionare il mio Sito cosa che avrebbe potuto dargli maggior consapevolezza del mio giornalismo. Mi ha risposto una deliziosa signora di 87 anni, la moglie, che mi ha spiegato il marito esser mancato un anno fa. Mi ha detto che passò gli ultimi anni malato d'alzheimer forse rifugiandosi nella malattia per sfuggire al dolore per la morte di cancro di una figlia poco più che cinquantenne e che lavorava in Africa. Con il marito hanno raggiunto i 61 anni di matrimonio, lei ora è bisnonna ed ha il conforto degli altri figli. Con garbo mi ha spiegato che le mie parole le hanno riportato proprio il carattere del marito uomo di grande fede ma anche capace di voler approfondire le questioni. Ansi la signora mi ha detto che dei quattro loro figli le posizioni del padre molto nitida sul cattolicesimo hanno provocato l'allontanmento di una figlia dalla Chiesa, ora però penso per quanto mi riguarda che avesse più ragione lui perché anche in un'intervista bisognerebbe scandagliare più nel profondo le risposte e conoscendo le prese di posizione della Vincenzi era più che logico leggere fra le righe cosa pensasse al di là di risposte educate e talvolta anche evasive. La telefonata mi ha portato una sorta di pacificazione per il garbo dell'anziana signora e perché nella vita non si cessa mai d'imparare: lei mi ha confidato di aver acquisito con l'avanzare dell'età uno sguardo più largo e più profondo, ora a sera prego anche per Luciano Orlando

 

Il Vangelo di mons. Giulio Venturini

Torno al Teatro Greco mia passione, perché come ho detto lo ritengo voce di Coscienza, e questa locandina così rossa di sangue mostra che la Coscienza degli uomini nasce dal sangue stupidamente ed inutilmente versato. Però la inserisco come "un grazie" ad Aldo Vinci, l'attore che ha interpretato Agamennone in questa recita - che purtroppo non ho visto -.

Ma Vinci l'ho visto in azione in via Roma davanti alla Provincia quando nel periodo in cui era assessore alla cultura Maria Cristina Castellani era stato cooptato per dar voce ad alcune iniziative di recita. Vinci quel giorno nonostante il traffico intenso e quindi il fragore nella via riusciva ad attrarre l'attenzione dei passanti e farli far cerchio intorno a sé. Lo invitai poi a dar voce a mio padre a Bobbio e venne con una giovane Sara, che doveva dar voce a mia madre (vedere le loro foto alla Pagina Terre 2 Bobbio). Nel viaggio in auto per Bobbio scoprimmo che era figlia del capo-scout Libero Gibelli, giovane Akela un tempo, dei miei figli.

Aldo e Sara furono bravissimi entrambi e constatai come le Lettere, pur scritte in un altro tempo, diventassero vive grazie alla loro lettura più che nelle pur buone presentazioni dei relatori. Furono le Lettere recitate a commuovere ed esaltare il pubblico. Non solo, il primo relatore, bobbiese d'origine e molto colto, presentò per bene addentrandosi nei particolari ma c'era qualcosa che in quel pomeriggio afoso di quasi estate iniziava a provocar sbadigli e questo non perché il relatore non fosse più che bravo ma perché ogni presentazione ha lati d'imprevedibilità.

Vinci interruppe, prese la parola e poi si scusò con me, ma da uomo di Teatro aveva capito che bisognava vivacizzare, dare un altro corso all'incontro e fu davvero bravo. Gli sono rimasta grata perché alla presentazione a Bobbio ci tenevo.

E per capire quanta strada abbia fatto ancora e in più dal 2007 grazie alla sua professionalità andate sulla sua pagina a LinkedIn.

ALDO VINCI, Agamennone in Ecuba 2007

anche "voce" di mio padre nella presentazione dell'epistolario dei miei genitori a Bobbio

Poggio e San Bernardo di Favaro – storia di due borghi e di una chiesa è l’ultima fatica del Centro Studi Storie di Jeri e testimonia la crescita di questi studiosi, innamorati del nostro levante. Hanno realizzato non uno svelto seppur assai documentato “Quaderno”, ma un bel volume di 200 pagine ricco di foto. I saggi dei nove collaboratori sono stati coordinati da Pier Luigi Gardella che ha l’esperienza di una ventina di libri di storia e tradizioni dei Comuni di Bogliasco, Pieve e Sori, di pregevoli saggi sulle Confraternite ed è stato onorato da “A Compagna” con il Premio De Martini.

Il libro ci dà la cornice dei fatti con l’attenta descrizione del territorio, poi ripercorre 400 anni della parrocchiale di San Bernardo di cui un ricco saggio di Simona Sessarego mette in risalto gli aspetti d’arte, quindi  l’archeologa Marina De Franceschini ripercorre il culto del Santo in Liguria. Dopo questi aspetti più storici o religiosi, ecco le vicende dell’Asilo Infantile N. S. della Salute in un saggio di Nora Marchese, come pure della Casa per Anziani, della Società Sportiva Operaia San Bernardo (1908/2008) e della Società fra Operai e Contadini di Poggio.

Un altro scritto della Marchese ricostruisce le antiche o perduranti tradizioni e sagre come il I maggio la Festa delle mucche  trasformata  in Festa delle fave o per San Giovanni la Biondina con il rogo di una scopa vestita da donna.

Vivo ed umano il ricordo degli abitanti, in particolare di Luigi Crovetto, detto “u Legna” ma anche “u Miliardu” quando tornò molto ricco dall’America Latina dove aveva commerciato ovini. Con la moglie Caterina Schiappacasse sono stati i benefattori della comunità donando i locali dell’Asilo (il più vicino, a Pieve,  non era raggiungibile a piedi) e la loro villa che diventò sede della Casa per Anziani.

Non manca la storia della produzione di olio nelle comunità ricordate e la descrizione della vita nella frazione  montana di Santa Croce. A cura di Luca Sessarego la toponomastica, un “dizionario” arricchito da leggende come per quella della Casa della Quercia del Pirata che nel Duecento avrebbe abitato sopra il Poggio, fondando i Cuèrti (i Crovetti) le cui case sono le più antiche.

Le vicende storiche sono  sempre approfondite da Gardella come nel saggio che narra la separazione del 1879 di Poggio Favaro da Pieve per aggregarsi a Bogliasco.

Due racconti meritano un discorso a parte, testimoniando un’apertura europea di questi luoghi. In “U Pietrin da Cisa” Francesco Antola racconta che questo giovane mentre  intratteneva una festa da ballo nel ’45 con la fisarmonica di Bertin, che in paese insegnava musica, fu interrogato come sospetto partigiano dalle Brigate Nere. A salvarlo un soldato tedesco osservatore in quella zona: di qui grande la gratitudine per lui.

L’altro racconto “L’orologio di Gospić” di Pierino Bonifazio  riguarda una spedizione di solidarietà nel ’94 nella Jugoslavia reduce dalla guerra. Riporta parole di una donna slava sull’apparente pacifica convivenza di prima con i serbi e che invece era un’emarginazione dei cattolici. Un piccolo cedro del Libano, dono del vicario episcopale di Fiume e Gospić a don Silvio Grilli che guidò il viaggio, svetta a San Bernardo nella scarpata tra la piazza e i campi da bocce.

               Maria Luisa Bressani

 

 

Poggio e S. Bernardo di Favaro da Storie di Jeri di Pierlugi Gardella.

Si parla di don Silvio Grilli

mio secondo direttore al Settimanale diocesano che vive a S. Bernardo ed ha la cura di tre chiese inclusa quella di Bogliasco

 

 

La Settimana santa di Claudio Bernardi

Tutto e di più sulla Pasqua, festa delle feste, è quanto si trova in un libro La Settimana santa di Claudio Bernardi, ricercatore di Storia del Teatro all'Università Cattolica di Milano.

Tutto: la storia della Pasqua nomade e degli agricoltori, poi quella ebraica e della Chiesa cristiana primitiva con il formarsi della liturgia religiosa. Quindi la medievale nel suo vissuto per il clero (monasteri benedettini e cattedrali) e per i laici (confraternite, città). L'ultimo capitolo "La Religione visibile" dimostra il perpetuarsi nel tessuto popolare di tradizioni antiche. Riti secolari, che registrano tuttora concorso di fedeli e turisti: la Passione di Belvedere Langhe, le liguri Processioni del Venerdì Santo a Savona o del Cristo morto a Laigueglia, le Sacre Rappresentazioni in Abruzzo. Ogni Regione conserva luoghi noti per la dramatizzazione dell'attesa del Cristo che risorge: Romagnano Sesia, Vertova, Cerignola, Molfetta.

Una breve presentazione del libro in risvolto di copertina ha una frase significativa: "Viene in evidenza una drammaturgia diversa, ancor oggi più diffusa e praticata della forma chiusa ed elitaria del Teatro classico. E dove sembra ripetersi l'antica contrapposizione tra Chiesa e Teatro, tra due sistemi competitivi di comunicazioni, invece si fa strada lo stretto rapporto che esiste tra i due".

Nel libro c'è tutto. E il di più?

La parola a Bernardi per spiegarlo.

In chiave antropologica quale il problema centrale?

"Pasqua è la liberazione dell'uomo nella Storia, con una differenza tra Ebraismo e Cattolicesimo. Per il popolo eletto essa resta collettiva. Aspettando la liberazione individuale (il Messia). Novità questa del Cristianesimo che trasforma uomo e società: attravero una cancellazione o morte con revisione del vecchio nasce il passaggio al nuovo.

Questa l'origine, ma la Pasqua oggi: rito, rinnovamento, altro?

"Persiste tuttora un aspetto politico, che potrebe conciliare due modelli festivi: il miracolo sociale della Chiesa medievale, il miracolo individuale dei Protestanti.

Il Protestantesimo si propone quaresimale (impegno nel lavoro, peronale e politico). Accusa la Chiesa del '500 di conservare ritualità pagane in una festa continua, mentre il momento testante resta di rinuncia. La Pasqua però era preceduta da un altro impegno: il Carnevale che nel Medioevo equivaleva al nostro consumismo.

L'interpretazione dell'uso da parte della Chiesa dei sacramenti e della festa per attuare il "miracolo sociale", cioè per disinnescare tensioni, si trova in un libro di John Bossy Il Cristianesimo in Occidente 1400-1700.

Alcuni esempi: il matrimonio poneva fine a faide di famiglie, la confessione (una volta l'anno) era condizionata al pubblico perdono da parte del nemico. Le 'Paci? in Sardegna e Abruzzo conservano questo significato di pubblica riconciliazione. Al contrario le 'Diavolate' in Sicilia ricordano lo scatenarsi di male e demoni in assenza di Dio, nel giorno in cui Cristo scende agli Inferi. E' il Venerdì Santo, quando Dante incomincia il suo viaggio di purificazione. La Divina Commedia rappresenta proprio l'interpretazione più alta di questo schema conflittuale tra segni positivi (Sacramenti) e segni negativi (Vizi Capitali)".

Può precisare l'aspetto politico della Pasqua oggi?

"La sinistra è morta nel '93 perché aveva presentato un modello razional-quaresimale, di sacrifici, senza far vedere la Terra Promessa. Dopo il crollo del Muro infatti è rimasta senza sogno, pur venendo da un'escatologia pasquale: il Paradiso di là, da attuare qui per la classe operaia.

Berlusconi ha offerto modelli festivi: lui stesso come Babbo Natale della politica (v.:il milione di posti di lavoro), Forza Italia come 'resurrezione' del Paese (simbolo della Pasqua); Polo della Libertà è parola che indica la fede più moderna.

L'elettore? Ha fame di liberazione. Il suo passaggio dal vecchio al nuovo sarà solo attraverso la quaresima, cioè il lavoro nel deserto. Qui la Pasqua ebraica molto insegna. E l'impegno antropologico dovrà partire da tutti".

 

Dal libro:

"Primizie Pasquali"

Una tradizione comune: l'olivo benedetto

Le sue virtù miracolose sono spiegate nel Regesto per il Friuli di Nicoloso Ciceri. "Si bruciava durante i temporali, si fumigavano la bestia ammalata, gli ambienti della bachicoltura, l'individuo colpito da malocchio..."

Una tradizione milanese: Cantà el Christée, questua in uso fino agli inizi del Novecento. Il Dizionario del Cherubini ('800) così ne parla: "Usano i ragazzi nella settimana santa, andare di brigata, vestiti a festa ai casolari de' contadini con palmizio in mano a cantare diverse orazioni relative alla passione di G.C., traendone da quella buona gente uova o seccumi o denari coi quali bene paquare".

Una processione: I Misteri di Savona, la più importante manifestazione ligure, legata alla storia delle confraternite e al culto mariano. In Liguria questo da sempre ha significato politico: Maria tutela l'indipendenza.

Nel 1536 Savona era finita sotto il dominio genovese, che aveva disrutto il porto e imposto lo sgombero del Priamar, colle al centro della città, per costruirvi una fortezza, oggi adibita a Museo e sede pure di un Ostello della Gioventù. Le Confraternite, costrette a togliere dalla collina gli Oratori, trovano un motivo di unità quando in quell'anno appare Maria e chiede di fare una processione.

Iizia così la tradizione. Nel 1623 a causa dell'esaltazione controriformistica delle immagini sacre, vengono introdotti gruppi lignei ("casse") detti "Misteri della Passione". Le prima casse della Confraternita dei Bianchi, Gesù alla Colonna e Il Calvario, vengono da Napoli. Poi saranno quasi tutte opera del Maragliano e del Brilla.

Chiesa e Impresa  a Genova dal dopoguerra ai giorni nostri

di Stefano Termanini

XIV Cammeo: Un grazie ad Aldo Vinci,

attore ed insegnante di Teatro

XV Cammeo:  mons. Giulio Venturini

mi chiamò al Settimanale cattolico diocesano

    

Dal Codice del Ferretto apparizione di Maria

al Chichizola che fece nascere il Santuario di Montallegro

Il Codice diplomatico del Ferretto registra come segue  il racconto della Madonna il 2 luglio 1557 al beato Giovanni Chichizola, che era appena tornato da Genova e stava facendo pascolare il bestiame che gli era affidato. La Donna vestita di turchino gli apparve nel momento in cui, in quella giornata di calda estate, cercava refrigerio. Si legge nel Codice secondo il racconto del Chichizola  a Nicolò Baliano, la cui testimonianza figura negli atti del processo canonico del 1669: "mentre che era mezzo spogliato che si stava nettando ed accomodando le vesti".

Il racconto di ingenua grazia popolare prosegue con l'avvertimento della Madonna a non aver timore e a saper ridire il suo messaggio, parole che sono una costante di tutte le apparizioni come è costante il coinvolgimento di persone semplici e chiare, capaci di lasciarsi intridere di mistero.

La storia poi è nota perché la Madonna lasciò al Chichizola un'icona greca del sec. V che prima era stata vista a Patrasso dicendogli che era venuta ad abitare lì dalla Grecia. Secondo la tradizione per due volte questo quadretto della Dormitio Mariae fu portato a Rapallo, sigillato in una cassa e collocato nella chiesa dei Santi Gervasio e Protasio e per due volte fu ritrovato nel luogo dell'apparizione. Lì nel 1559 fu costruito il Santuario di Montallegro. Alla collina era stato dato questo nome per il festoso concorso dei pellegrini.

Una copia del quadro fu ripescata nel secolo XVII davanti alla scogiera nerviese dove fu murata. Poi nel 1809 tre pescatori furono sorpresi da un fortunale lì davanti e salvati in modo miracoloso. A ricordo fu innalzta la Cappelletta della Passegiata di Nervi, prima detta Madonnina dei Marinai, poi dei Combattenti ed ora della Madonna del Mare.

Centenario Assunta di Nervi (2005):

Ricordando don Trabucco di M.L. Bressani

con il contributo di

Elsa Ganapini, Michele Dadone, Antonio Zeggio e Giovanni Poggi

Lourdes di M.L. Bressani

Settimanale cattolico 24 febbraio 1998

Graziella Merlatti - Lorenzo Perosi, una vita tra genio e follia

Il Cittadino 16 luglio 2006

Graziella Merlatti  scrive sul Cittadino e anche sull'Osservatore Romano, è autrice di libri e saggi e questo suo testo sul Perosi mi è piaciuto molto soprattutto mi è sembrato importante per scandagliare e spiegare una personalità umana tra genio e follia.

Merlatti è uno spirito ardente pronta a battersi contro le ingiustizie come accadde quando mi capitò di vederla la prima volta in difesa dei Curdi "che in Turchia erano stati poco o niente protetti dall'ONU" e questa sua intemerata la fece in un pubblico incontro con un alto funzionario ONU.

Questo suo atteggiamento combattivo a volte in Genova le ha procurato critiche che ho sentito con le mie orecchie e qui voglio controbattere con questo ricordo. Il ricordo  riguarda il gesuita Bini direttore del Centro S. Fedele e professore di due degli esami fondamentali che dovetti sostenere alla SSCS  (Scuola Superiore delle Comunicazioni Sociali) della Cattolica. Egli sosteneva ogni giornalista non possa né abdicare né occultare la proprio personalità in ossequio alla verità giornalistica che non esiste e quindi è meglio se si presenta onestamente anche con le sue opinioni e fedi. Non a caso, messo da me alla prova quando mi irritai per un'esercitazione che mi aveva dato sulla controinformazione dove dovetti sorbirmi manifesti di Lotta continua ecc., a un certo punto sbottai per iscritto dicendo che secondo me in Italia faceva controinformazione vera e controccorente solo Edilio Rusconi.

Alla seconda esercitazione per il secondo esame dove però ero stata messa sotto l'ala protettiva del bravo don Giorgio Zuchelli, poi direttore della Federazione Settimanali Cattolici, Bini quando iniziai a parlare io uscì dall'aula e rientrò solo quando avevo finito dandomi però questa volta 30, per la precedente invece il voto più basso del mio libretto: un 26. Dalla teoria alla pratica. 

Nel tempo mi sono però convinta della bontà delle sue parole che allora non avevo capito bene: "il giornalista - è vero - non deve abdicare alla propria personalità, secondo me però deve anche giungere a farsi capire dagli eventuali suoi 'contestatori', deve provarci o imporsi fin limiti di autocensura del proprio carattere. Se vuol far giungere il messaggio al suo ascoltatore o lettore. Noi donne però siamo spesso viscerali".

 

 

Danilo Veneruso ricorda l'Università cattolica per i 70 anni.

Incontro "Esperienze" anno IV, n. 2 marzo-aprile 1991 "Esperienze"

Vittorio Messori: Patì sotto Ponzio Pilato?

Un'indagine sulla Passione e morte di Gesù, gennaio 1993

Avevo proposto il testo a Pippo Zerbini al Giornale dove collaboravo in quel momento però non passò e non ricordo se durante quella collaborazione dal 1989 al 1994 o nella predente (1983/86) qualche lettore si era lamentato della mia propensione a trattare avvenimenti a contenuto religioso cosa che in "un giornale laico" secondo quel lettore disturbava però nessuno si sognò di mettermi a casa per tale motivo come invece mi accadde poi sulla stampa cattolica e anche per il contrario di ciò: l'aver scritto di qualche personaggio dichiaratamente laico.

 

 

Su invito di "Alleanza Cattolica" il giornalista Vittorio Messori ha presentato presso l'Apostolato Liturgico il suo ultimo libro Patì sotto Ponzio Pilato? Un'indagine sulla passione e morte di Gesù.

Il volume, edito dalla SEI, costituisce la settima tappa in libri di una ricerca alle origini del cristianesimo incominciata con Ipotesi su Gesù, un milione di copie vendute in Italia e ristampe a sedici anni dalla pubblicazione. Indagine proseguita fino al maggio scorso con Pensare la Storia (prefazione del cardinal Biffi): un tomo di 700 pagine che pur nell'attualità (articoli scritti su "Avvenire") insegue il cammino nel tempo del Cristo, umile carpentiere ebreo, finito male con la morte degli schiavi, ma che da allora non ha smesso d'interagire con le vicende umane.

"Ci sono nel mondo 800 tra Istituti e Cattedre di Religione cristiana - ha detto Messori - i cui docenti non scendono in pista per dare quell'informazione religiosa che io stesso ho dovuto costruirmi fino a scrivere i libri che avrei voluto trovare quando incontrai il Vangelo e le risposte del Cristo alle domande di senso di ogni uomo, che né l'ideologia né la mentalità laico-positivista-razionalistica in cui ero cresciuto mi avevano dato". Un signore del pubblico a tali parole ha commentato: "E' così documentato che non ha mai potuto essere smentito".

Nel nuovo libro di questo giornalista, convincente e agguerrito, il lettore troverà "prove" sulla credibilità storica della Passione e dei Vangeli stessi: come l'ipotesi che i Vangeli siano stati scritti prima in semitico e poi tradotti in greco (autorevole parere di Jean Carmignac suffragato dal ritrovamento a Qumràn di 20 lettere attribuite all'evangelista Marco; l'analisi di leggi e disposizioni antiche a suffragare la storicità di piccoli fatti.

Sullo stesso tema di diffusione della verità storica e anche della dottrina sociale della Chiesa con Convegni su temi politici ed economici, opera "Alleanza Cattolica" promotrice dell'incontro genovese. Per le celebrazioni colombiane tale associazione laica, nata a Torino, ha messo a punto ricerche su Colombo "defensor fidei" e sulla Madonna di Guadalupe in ricordo della prima apparizione di Maria nel nuovo continente all'indio Juan Diego nel 1531.

                              Maria Luisa Bressani

 

  

Convegno su Chesterton organizzato anche grazie a Padre Mauro De Gioia

Dario G. Martini: "La poltrona del diavolo", dieci anni di recensioni.

Il diavolo? Nostalgia di un angelo perduto

Il Corriere Mercantile 19 novembre 1998

Non può mancare in una pagina dedicata alla Religione cattolica l'accenno al diavolo pur se di recente ho sentito un tale pontificare in Tv che parlare ai bimbi del diavolo è traumatizzarli a vita.

Così lo faccio con questa splendida frase del critico teatrale Dario G. Martini, uomo di profonda cultura che significa sempre tolleranza e diritto di critica, pur se Martini  non è mai stato credente.

La cappella di Sant'Anna: Restauro

omaggio a Maria Zunino di Pero

compagna di viaggio a Lourdes

Questo articolo lo proposi al Corriere Mercantile a Paolo De Totero il 23 marzo 1999 e Maria mi aveva inviata per il restauro ed aveva preparato ottimi frixeu: era una delle addette a quel servizio e sia suo marito che il genero sono pittori e decoratori di facciate di case: bellissimo lavoro in una Genova che era un tempo tutta affrescata.

 

      
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