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17.  INDICE    FILOSOFIA

XXXIICammeo: Premonizioni dal subconscio

e foto di Killmacduagh (Gort -Irlanda) con un sacello dove pregava S. Colombano

Nicolò Scialfa  - La scuola negata - Il Giornale 10 dicembre 2009

Franco Cardini e Nicolò Scialfa Opinioni diverse su Katyn Il Giornale 16 ottobre 2009

Monica Bottino intervista Scialfa autore de Lo Sterminio degli Ebrei 28 gennaio 2010

Paolo Granzotto intervista Renato Dellepiane Preside del Liceo King di Genova Il Giornale 16 settembre 2010

Convegno Voltar Pagina sulla Scuola Il Giornale 31 maggio 2008

XXXIII Cammeo. Cultura è ...anche: "lacrime e sangue"

 Introduzione dal libro  su Spoon River del prof. Benito con traduzione e testo inglese a fronte, Liberodiscrivere, Genova 2013
A fianco un'illustrazione di sua figlia Beatrice, artista simbolista, che qui traduce in  immagini tre sonetti: "Dippold the optician",  "Francis Turner", "Johnnie Sayer".

Il liceo classico D'Oria di Genova ha funzionato per generazioni e funziona, Il Giornale 20 marzo 2011

Claudio Papini Dibattiti sul D'Oria Il Giornale 7 maggio 2011

Claudio Papini  -  Nuovi Studi di Storia della Filosofia Il Giornale 10 giugno 2010

        "             "        - Daniel Massè e gli enigmi del Cristianesimo 27 febbraio 20013

Piero Nicola L'ottimismo ereticale. Giovanni XXIII- De Lubac -  Teilhard de Chardin Il Giornale  4 giugno 2011

XXXIV Cammeo. Radici europee cristiane: La Chiesa di S. Canziano a Barca in Slovenia,

luogo dove insegnò mia madre nel 1937: radici d'arte europea e cristiana

e The Wilton Depicht (1395/1399 english o più probabilmtente french school) National Gallery di Londra

 

Inizio con un libro di Nicolò Scialfa, gran conoscitore di filosofia ma anche esperto della Scuola in cui ha lavorato con amore e che in questo testo benché un tempo aderente all'IDV di Di Pietro manifesta approvazione per la riforma avviata da Maria Stella Gelmini e asserisce che un'altra riforma è urgente per l'Università. Scialfa quindi più moderato e più intelligente di miei compagni di Liceo insegnanti che una volta che si venne a parlare della Gelmini la definirono "una capra". Perché? Per certi tagli - necessari - alla Scuola. Oggi si pensa che tutto dipenda dai soldi ma non il buon insgnamento non la buona cultura creativa.

Scialfa ha presentato il libro di Remo Viazzi con cui inizia la pagina "Difesa della Libertà" e in quell'occasione Remo gli ha manifestato stima e solidarietà perché come tanti politici dei nostri giorni, non conformisti e non allineati al pensiero dominante (tutto a sinistra ma in maniera non critica solo "trinariciuta"), è entrato nell'occhio del ciclone per il fatto di essre stato eletto in Regione. 

A suo tempo Viazzi mi aveva chiesto di presentare il suo libro però gli dissi che non presento libri e non per qualche vezzo ma perché ritengo che altri lo facciano molto meglio di me (e in questo caso c'è stata la prova). Ho presentato, come ho scritto in un'altra di queste pagine, solo Il Testamento del capitano di Padre Gheddo avendo organizzato una presentazione di tre epistolari di guerra che riguardavano tre scenari diversi: Russia (il padre di Gheddo), Africa (mio padre), India (dove fu prigioniero Antonio Mor).

Ritorno qui su quel libro di Gheddo per il fatto che mi mosse a volerne parlare, oltre alla storia davvero emozionante ed esemplare per come è stata scritta, quella voce del padre che risuona all'improvviso nella casa di Parma quando già era disperso (v. Parma Voladora di Giorgio Torelli).

Ci sono fatti misteriosi nella comunicazione tra noi i nostri cari che non sono più o anche dal mondo lontano nel tempo ma sempre per motivi emozionali come di questo è testimonianza anche nel bel libro di Ada Grecchi L'età delle passioni riguardo un'Abbazia in Inghilterra che la protagonista sa dove si trovi senza bisogno d'indicazioni e che è come se avesse già visto. Come nell'episodio ricordato riguardo Clara Rubbi (presidente Lyceum di Genova) e la sua mamma nel libro La magia della Letteratura di Giorgio Cavallini e   come è testimoniato nelle Piramidi del Tempo di Remo Bodei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A me è capitato con l'Epistolario dei miei genitori quando ho voluto andare a Barca in Slovenia dove aveva insegnato mia madre (1938) e allora lei si trovò ad aspettare mio fratello Ferruccio che ha quattro anni più di me. Eppure quando dopo aver scritto il libro delle Lettere volli recarmi a vedere quel luogo affacciandomi alla valle di Barca la vidi in un'immagine bellissima che era nei miei occhi dall'infanzia e che non sapevo collocare in nessuno dei luoghi da me visti o conosciuti. Come poteva avermela trasmessa mia madre? Lo stesso è capitato a Gillo Dorfles con la casa di Genova dove sua madre andava a prendere il té. Non solo quando le Lettere furono selezionate tra i 10 finalisti al Premio dei Diari di Santo Stefano e trovai la comunicazione sul computer rientrando a casa dall'Irlanda, ricostruii che quando il mio testo era stato selezionato io mi ero trovata nel primo luogo irlandese che avevo trovato riguardante la presenza di S. Colombano (fondatore dell'Abbazia di Bobbio) , cioè Killmacduagh (Gort) dove il Santo fondò pure un'abbazia ed in Irlanda è conosciuto con il nome di Saint Colmàn. Quel luogo  apre ad una valle da dove si arriva ai luoghi dove è stato girato Un uomo tranquillo.

E quella notte avevo sognato mio padre che mi veniva incontro sorridendo, tutto vestito a festa con cappotto e cappello. A mia volta gli andavo incontro dicendogli: "ti ho portato queste scarpe nuove" e in vita mia non mi capitò mai di regalargli scarpe salvo un paio da ginnastica che mise da parte per quando "sarebbe stato più grande", gli piaceva scherzare e le sue erano bucate in punta.  Per me di Natalia Ginzburg che consideravo un mito come scrittrice era molto caro il racconto "Le scarpe rotte" quando la scrittrice sogna in tempo di guerra di avere scarpe non bucate ma di camoscio verde e con una fibbia di lato, scarpe per camminare a lungo nei pensieri della gente.

Un tiro del mio subconscio?

Il mio in quel momento non poteva funzionare perché mi ero perfino dimenticata di aver partecipato al Premio e mi venne in mente solo al ritorno a Genova quando controllai il computer.

Poi nel sogno arrivava mia madre e all'improvviso loro erano sopra di me come su un davanzale di roccia aggettante sul sentiero dove mi trovavo  e dove il papà l'aveva tirata su al suo fianco. E mi salutarono festosi. Il mio libro arrivò alla seconda edizione e forse è stato un modo per dare ai miei genitori "scarpe di cuoio robusto" come avevo detto nel sogno "per camminare nei pensieri dei lettori".

Scialfa che ho avuto  modo di conoscere mi ha regalato il suo libro Lo sterminio degli Ebrei (edizioni Sovera, 2003). Non l'ho ancora letto, ma presto lo farò e inserirò qui la recensione.

 

 

 

 

La scuola negata di Nicolò Scialfa

Un libro sulla scuola, per com’è stata di recente, fa venir voglia di non leggerlo, ma La Scuola negata (De Ferrari) di Nicolò Scialfa è avvincente e didattico come un gran romanzo. Da consigliare per Natale, per farci orientare tra due poli: “La radiografia di un disastro e le ragioni di una speranza” che è il sottotitolo. Ci rimangono in mente le parole finali, del filosofo Ernst Bloch, contro “i corrieri del nulla”, cui l’uomo deve reagire con fiducia per far succedere alla sofferenza del Venerdì Santo la Pasqua di Resurrezione.

Il libro ha due piani. Uno filosofico, la filosofia “inutile ma di divina inutilità, in un periodo in cui vengono incoronati i saltimbanchi del pensiero e del linguaggio”.

Uno pratico, con la sapienza di chi nella scuola ha lavorato da insegnante e  da preside. Una sapienza che suggerisce come il riorganizzare l’Università che nel 1970 aveva 3mila ordinari, oggi 63mila per la moltiplicazione dei Corsi di laurea  del nuovo sistema del 3+2. Per ogni tema - dalla ricerca, al reclutamento, all’amministrazione – l’autore indica lo stato attuale e la terapia.

Definisce la nostra scuola secondaria “una scuola di massa da schifo” ed in proposito ci illumina una sua conversazione con un docente. “Vede Preside, Lei crede nel merito, nella scuola meritocratica, ma da comunista io credo nelle opportunità per tutti”. Scialfa: “Senza merito non si va da nessuna parte: Karl Marx, Vladimir Lenin, Michail Bakunin e tutti i capi del pensiero marxista socialista o anarchico, hanno studiato tanto e bene”. Intanto pensa: “Forse io, figlio di immigrati dal Sud, di una famiglia di minatori della siciliana Enna, sono oggi un borghese reazionario”.

Pistarino gli offrì di laurearsi con lui. Disse no per non seguire un “barone universitario”, accettando il consiglio dei “compagni” d’allora, i  duri e puri che poi mendicarono un posto a destra e sinistra diventando ordinari. Per mantenersi agli studi incominciò lavorando in un mercato ortofrutticolo, si laureò, vinse cinque concorsi e passando da un posto in banca si dedicò all’insegnamento. Lo urtano i 550mila docenti immessi in ruolo - senza concorso -(1974/82) e che il ministro Fioroni ne abbia sistemati 130mila.

Scintillante il modo in cui esprime i concetti: “Non c’è famiglia che accetti rimproveri o valutazioni critiche da parte dei professori”, “Nel contemporaneo vige il furto dei significati con il divorzio di cose e parole, di cui una è Progetto”,  “Ben venga il grembiulino contro la sfilata di moda dei bambini vittime di madri stiliste mancate”, ecc.

Da manuale due pagine centrali, biografie in poche righe di coloro che hanno costruito il moderno insegnare: da Comemius, uomo del Cinquecento, a Ernst Bloch passando attraverso Spinoza, Weber, Croce, Gentile e l’altro  Bloch, lo storico Marc, cui è dedicata l’Università di Strasburgo. Un richiamo anche a don Milani che ricorda ampiamente nel libro, eleggendo, quasi suo successore nel campo educativo, don Gallo, ben noto ai genovesi.

Si perdoni un ricordo personale: quando Massimo Zamorani era caporedattore di queste pagine, gli chiesi di recarmi per un articolo alla Comunità San Bendetto al Porto: non me lo permise, con un “Quello la fa su come vuole. Non mi basta la condivisione, mi starebbe bene se ricuperasse i drogati come fa Muccioli”.

Qui bisogna capirsi: Nicolò Scialfa, laureato in storia e filosofia, preside al Vittorio Emanuele II-Ruffini che offre corsi serali anche ai detenuti in carcere, vicepresidente del Consiglio Comunale di Genova, ha abbracciato la politica ed è responsabile nazionale per la Scuola e l’Università dell’IdV. Non a caso la prefazione è di Antonio Di Pietro (cui qualche giornalista  ha consigliato il ritorno a scuola per come parla), ma “il volpino” questa volta si tiene in disparte e conclude prendendo in prestito da Scialfa  ciò che serve alla scuola d’oggi, “grande cultura, passione, amore verso i giovani”, pregando “chi non si riconosce in ciò di accomodarsi altrove, politici inclusi”.

Considerata l’appartenenza politica, non mancano nel libro, come un sale che insaporisce, convinzioni che spaziano dal “Fascismo male assoluto”, allo slogan sui morti dell’ultima guerra “migliori se combatterono per la libertà”, al ministro Brunetta “lupo dalla mala coscienza”, a Berlusconi che non andò al funerale di don Baget Bozzo, mentre don Gallo sì. [Il Premier non venne per evitare tensioni e scintille che Genova è sempre pronta a far divampare].

Ciò che affascina del libro, è il comune sentire (al di là delle ideologie) di Scialfa e delle persone responsabili sul tema scuola,  è la fede nella scuola anche come fucina di convivenza in un’Europa con alle spalle lunga intolleranza. Affascinano in particolare le pagine sull’uomo moderno e, a fine libro, un elenco di 52 film storici, recensiti in due righe. Scialfa accompagnava le scolaresche al cinema ma di pomeriggio (non in orario di lezione). L’ultimo di questi film che insegnano è Katyn.      Maria Luisa Bressani

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi è sembrato importante iniziare con l'argomento fondante che è La scuola, ben studiata nel libro precedente e Scialfa è preside del Liceo D'Oria (anche se dovendo occuparsi della vicepresidenza in Regione lo era ad interim) e quel Liceo in cui il prossimo autore Claudio Papini  ha a lungo insegnato secondo quanto mi ha detto è ora in mano alla CGIL (sempre attivissimi! Quando vi insegnai io ed era il 1972/73 avevo solo una collega sindacalista dellla CGIL ed ebbi modo di capire che purtroppo faceva politica attiva in classe". L'ho ricordata in Begonza (Lalli 1977)

Nuovi studi di Storia della Filosofia

di Claudio Papini

Non c’è mai stata la platonica città retta dai filosofi, ma quando un bravo professore-filosofo scrive un libro su ciò che insegna, ci aiuta a pensare così da ritenerlo un vero “bestseller”. E’ il caso di Nuovi Studi di Storia della Filosofia di Claudio Papini, edito da Libero Pensiero (www.amiciliberopensiero.it), con sette “progetti editoriali” che negli ultimi due anni hanno stentato a realizzarsi. Perciò alle cinque Introduzioni (Ardigò, Von Hartmann, Luciano, Rensi, De Sade) non seguono i relativi saggi e in Appendice sono le due conferenze di Einstein sulla relatività e Trasformazione della democrazia di Pareto, che è un grande testo di economia. Papini ha all’attivo altri testi di filosofia o riguardanti la scuola, sei volumetti di Materiali per le Ricreazioni federaliste, sei gialli sotto pseudonimo. Non stupisca: un buon giallo richiede esercizio di pensiero.

Nel nuovo libro il comune denominatore è l’interesse scientifico motivato da una premessa di Carlo Cattaneo: gli studiosi si concentrino sul genio di Newton e di Volta perché “quante le cose su la mole e le distanze e la velocità dei corpi celesti più poetiche assai d’ogni poesia”.

Le Introduzioni di Papini hanno il pregio di inquadrare lo sviluppo di un pensiero nella sua epoca. Il positivista Ardigò, sacerdote sospeso a divinis per il saggio su Pomponazzi, “pensa” quando la fondazione del Regno d’Italia per la questione di Roma capitale lo contrappone al Papato (Pio IX e i Gesuiti predominanti nella Curia romana), causando l’emarginazione dei cattolici; Hartmann scrive quando la vittoria di Sadowa (1866) rappresenta il trionfo della luterana Prussia contro la cattolica Austria. Quando si afferma l’ateismo dell’Ottocento (Comte, Feuerbach, Schopenauer, Marx, Engels) anche teorizzato da un religioso, il teologo Strauss fino a sostenere che il Gesù della Storia è vero ma il Cristo della Fede inventato. Hartmann che esordì da militare guarda al panteismo germanico, figlio dell’antica Grecia, come ad un senso antico della forza, alieno da cedimenti a forme di rassegnazione. Tutte notizie, come il suicidio di Ardigò lacerato tra attrazione religiosa all’Inconoscibile e necessità di stare nel finito (orizzonte positivista) che ci vengono “spinte innanzi” dalle Note biografiche, di corredo agli autori.

Attraverso le Note vediamo Luciano, uno degli spiriti più liberi e ironici (sua una suprema leggerezza dell’essere) nell’Impero di Adriano e Marco Aurelio, nel momento di rivolte e diritti estesi, nel fiorire di filosofi e storici come Origene, Minucio Felice, Tertulliano... Mi ha molto colpito la genesi sul suo Della morte di Peregrino, un filosofo cinico, conosciuto –vecchio- in un viaggio per mare. Lo aveva visto piangere durante una tempesta confuso con le donne. La Nota mi ha riportato il Priamo di Omero con la “canizie lordata nel sangue” di Troia conquistata, o San Colombano che scrive al discepolo Attala quanto fragile senta il corpo di vecchio. Ripudierei l’aureo De senectute ciceroniano, elogio della vecchiaia, se non fosse per la fede del vecchio nel “piantar alberi che il nipote vedrà grandi”.  Ancora una Nota biografica, sul traduttore di Luciano, il senatore del Regno Luigi Settembrini già cospiratore per l’Unità d’Italia, che il governo borbonico voleva deportare in America ma fu salvato dal figlio: che storia, che storie!

Splendida mi è sembrata l’Introduzione a De Sade, recluso per 27 anni, che scrive da prigioniero testi politici e teatrali sequestrati, censurati (e organizza spettacoli per i detenuti). Testi con queste riflessioni: “Chi non ama il suo Re (oggi vale per lo Stato) e il suo Paese non è degno di vivere”; “Rendere felici gli altri quanto si desidera esserlo noi e non recar maggior male di quanto ne vorremmo ricevere”.

Questo De Sade di cui Camus dice che “trattato in modo atroce dalla società le rispose in modo atroce”, che fu amato dalla moglie, dalla cognata con cui fuggì e fatto imprigionare dalla suocera “matriarca” la moglie cercò di rivederlo travestita in abiti maschili, amato infine da un’ultima compagna a lui fedele per 24 anni fino alla morte, nella presentazione di Papini mi ha fatto venire la certezza che abbia una storia tutta da riscrivere.

                             Maria Luisa Bressani

 

 

 

Daniel Massé e gli enigmi del Cristianesimo

di Claudio Papini

“Nell’universo platonico c’è posto anche per il grande avversario dell’epistème, il Sofista, il precursore degli Scettici, che si colloca ad un livello inferiore a quello della verità dell’Essere, quale l’ha concepito Parmenide e l’ha riarticolato  Platone nella dottrina delle Idee”. Parole dalla “Premessa” dell’autore Claudio Papini a Daniel Massé e gli enigmi del Cristianesimo (De Ferrari), un omaggio a 140 anni dalla nascita del francese, che ci portano nel cuore del libro. La filosofia (epistème, da epì ìstemi = ciò che sta sopra) ha una capacità di spiegazione superiore ai miti, alla scienza, ad ogni altro sapere umano. In coerenza con tale assunto Papini ripercorre, legandola alla storia, la filosofia dalle nostre origini occidentali, da Platone, fondatore del mito della “democrazia” (l’illuminismo greco attesta come ineludibile la presenza dei miti nella vitale realtà quotidiana) e spiega: “La sacralità delle istituzioni e il vincolo religioso dei cittadini con loro e con gli Dei che proteggevano la città-stato realizzava un’unità reale e ideale...” Immette così un tema ormai sconosciuto, impossibile in giorni di diffuso scetticismo. Ci restituisce Platone, espressione della tradizione aristocratica greca (modello spartano), che nel suo universo sa accogliere il grande avversario dell’epistème, il Sofista, precursore degli Scettici. Il Sofista si colloca ad un livello inferiore a quello della verità dell’Essere, quale l’ha concepito Parmenide e che Platone ha riarticolato nella dottrina delle “Idee”. Il Sofista (antico o moderno)opera nello spazio politico della forma democratica di cui è eroe e vittima, si accontenta di verità problematica, tra razionale/irrazionale, del verosimile. Per Vico però la problematicità fa del verosimile la verità umana per eccellenza e la verità del mito (di forma diversa da quella intellettuale) resta fantastica e poetica. Il discorso è complesso, Papini lo articola bene, per cui rimando alle sue parole, ponderate, per trarne lezione.

Non a caso, le prime pagine del libro sono dedicate a “La Società degli Amici del libero pensiero”  fondata in Genova nel 2009 (viale Brigata Bisagno 14) dall’imprenditore Antonio Pellizzetti, da Luigi Cògolo, medico chirurgo e da Papini. Nasce con un primo libro di Pellizzetti:Addio al cristianesimo. L’epilogo di un percorso tra fede e ragione e da un saggio del Papini Il caso Antonio Pellizzetti e il libero pensiero genovese. Di qui un percorso che in questo nostro libro accoglie la traduzione, da parte di Papini, di 100 pagine del primo volume della trilogia di Daniel Massé L’enigma di Gesù. Tesi del Massé: “Si è soppresso tutto ciò che era la verità sul Cristo, la vita, la  carriera di Messia ebreo, che la storia ecclesiastica ha sofisticato”.

Due avvertenze a chi, versato a voler capire e ragionare, si addentra in questa complessa fatica di Papini.

La prima è sul mito. Ripensi alla sua capacità di attrazione delle masse, cosa che vale per i politici e spiega fin la nascita dei totalitarismi del Novecento: la Storia qualcosa dovrebbe insegnarci. Ma la verità del mito attiene anche alla capacità di avvicinarsi a “ciò che sta sopra”, attiene all’estasi artistica, poetica, mistica: filosofia e poesia due vette di conoscenza con la poesia sulla più alta.

L’altra avvertenza riguarda il modernismo, la sua riscoperta attraverso i saggi della Società citata con l’invito di Papini a riflettere sulla “straordinaria qualità di certe indagini e di talune analisi correttive”. E Massé ci si presenta con l’affermazione che “gli esegeti sono considerati storici e uomini di scienza, ma sono teologi e la teologia è l’arte di prendere e far prendere lucciole per lanterne”.

Al riguardo, in aiuto al lettore, ho chiesto la testimonianza  di Piero Vassallo, già docente della Facoltà Teologica del Nord Italia. Risposta: “Occorre distinguere la teologia (esercizio della ragione sul contenuto della rivelazione accolta dalla fede) dalla teodicea (dimostrazione dell’esistenza e “giustificazione” di Dio). All’inizio del XX secolo l’irruzione devastante dell’eresia modernista diede fiato alle trombe, trombette e tromboni dell’orchestra laicista, di qui la denigrazione sistematica dei teologi e dei filosofi di scuola cristina. Si diceva: “Dopo Kant non si può dimostare l’esistenza di Dio causa prima del mondo”. Oggi la filosofia moderna si è rintanata nel suolo nichilista (intendo la filosofia neognostica e neolibertina dei francofortesi). Kant è oggetto di una sparuta pattuglia di studiosi che vivono fuori della realtà. I discorsi di Massé sono suoni d’oltretomba, reperti archeologici. I cattolici, smaltita la sbornia pseudo-ecumentica prendono coscienza dell’incrollabile verità della teodicea (l’opera di Cornelio Fabro è uno scoglio su cui s’infrangono pensieri postmoderni e ultramoderni). La fede, virtù teologale, grazie all’enciclica “Fides et ratio”, riprende quota, il resto è spettacolo della Tv anacronistica e stantia di un Augias”.

Per Kant suggerisco di Virgilio Melchiorre Analogia e analisi trascendentale. Linee per una nuova lettura di Kant.

                   Maria Luisa Bressani

Come il libro precedente è stato anche un ragionamento sui principi fondanti e sul desiderio di indagare l'Essere, da sempre massima aspirazione dell'uomo, così ora inserisco un testo che è ragionamento su vicende della Chiesa e sul Concilio Vaticano II. Non è solo religione in questo testo, ma riflessione critica e filosofica.

L'ottimismo ereticale. Giovanni XXIII - De Lubac- Teilhard de Chardin

di Piero Nicola

Il presupposto del ponderoso L’ottimismo ereticale. Giovanni XXIII–De Lubac–Teilhard de Chardin teologicamente accomunati di Piero Nicola per le Edizioni Solfanelli è in risvolto di copertina: “In un libro documentario l’autore vuol mettere a confronto le consolidate affermazioni del Papa Buono con i dati certi della dottrina dogmatica, vigente sino al suo pontificato e al Concilio. Ha gettato questa sfida a quanti sostengono non esserci stata discontinuità e contrasto fra la dottrina professata come infallibile sino alla morte di Pio XII e i corrispondenti insegnamenti del periodo successivo terminato con la fine di Giovanni XXIII”.

Perché addentrarsi in quasi 500 pagine si chiederà il lettore non versato in questi temi? Troverà con molti stimoli di riflessione risposte sul Novecento da cui veniamo. Sulla  base di documenti storici incontriamo Giovanni XXIII nel 1963 quando incarica il cardinal Casaroli a prender contatto con i governi di Ungheria e Cecoslovacchia: per migliorare le condizioni di vita nelle chiese oppresse, pur procedendo con prudenza e senza illusioni. Obiettivo più ampio: ecumenismo, dialogo con i fratelli separati.

Erano ancora dolenti le ripercussioni della rivolta ungherese del 1956 quando Janos Kadar segretario del Partito comunista fu incaricato di riportare l’ordine in Ungheria, cosa che aveva influito anche sulla Polonia. In quel 1963 del Concilio dura perciò la reazione di Mindszenty (primate d’Ungheria reduce dal carcere nel 1948) e di Wyszynski (primate di Polonia, reduce dal carcere nel 1953). Temevano che all’insaputa dell’episcopato locale gli emissari del Vaticano intavolassero negoziati con il regime comunista. Mindszenty dichiara di “non esser tenuto ad obbedire ad una Curia romana che intrattiene contatti con il governo Kadar”. Wyszynski nel partire per il Concilio dice (Nuovo Cittadino, 15-VII-1963): “A un Vescovo nero in visita che mi chiede ‘quante scuole ho nella mia archidiocesi e lui ne ha un migliaio’, ripondo che ne ho solo due o tre”. E’ un voler far notare quanto fosse più sofferente la Chiesa nei paesi comunisti, ma il Papa che veniva dall’esperienza di rappresentante pontificio in Bulgaria, Grecia e Turchia, guardava più ampiamente e nel 1960 aveva ordinato il primo cardinale negro, nel ‘61 con la Mater et Magistra aveva preso posizione per i diritti delle nazioni sottosviluppate del terzo mondo.

Indelebile però in un documento dei Vescovi ucraini (ottobre 1962) la “divergenza”: esprimono “gioia per l’avvenimento storico del Concilio Vaticano II”, ma “amarezza per l’assenza di Slipyi unico superstite degli ‘11’ membri dell’episcopato ucraino morti nelle prigioni comuniste”. Dopo, nel 1971 del Sinodo a Roma, lo sfogo di Slipyi: “I diplomatici del Vaticano hanno taciuto sui 6milioni di ucraini perseguitati”.

Questo dunque è anche un libro altamente politico che ricorda “cosa fu il comunismo” agli smemorati excomunisti italiani, quelli del dovere di “non restar prigionieri del passato”.

Quanto alla lettura alcune precisazioni e coordinate. Il libro segue l’ordine cronologico, cioè al contrario del sottotitolo: la parte riguardo Giovanni XXIII è la seconda, la prima contiene la dottrina del gesuita Teilhard de Chardin e la difesa che ne fa Henry De Lubac. Quest’altro gesuita era uno dei filosfi addetti ai lavori del Concilio per sdoganare la “nuova teologia”, bollata nel 1950 dall’Enciclica Humani generis di Pio XII. Su ambiguità e gravi errori delle opere di Chardin ancora nel 1962 (pur essendo morto nel ’55) un Monitum del Santo Uffizio. Chardin era lo scienziato scopritore in Cina del sinantropo e che applicò le tesi evoluzioniste allo spirito. Il Monitum, uscito dimezzato (Giovanni XXIII non lo appoggiò), sancì di fatto la libertà di discutere l’evoluzionismo. 

Ma cosa comportava l’ottimismo di Papa Roncalli? Dall’autore Piero Nicola  con critica dettagliata sull’oscuramento della Giustizia divina e di altri dogmi: “La possibilità di salvezza per tutti e senza la Chiesa, i liberi rapporti tra cattolici e non (neo-ecumenismo), l’universale diritto alla libertà religiosa”. E ancora: “La ragione non ci spiega perché Dio avrebbe programmato un miglioramento del creato”. Ma evviva all’ottimismo del Papa Buono e di Giovanni Paolo II del “non abbiate paura”: solo una lettura provvidenziale della Storia ci fa sopportare il mestiere di vivere.

E come non appassionarsi a Chardin? Sul piano più umano ci parla del “dolore costruttore, anche quello che uccide e decompone necessario all’essere affinché viva e diventi spirito”. Salendo al piano dello spirito, qualche suo assaggio per invogliare la lettura: “La Scienza ci rivela solo la Materia che è lo sgabello della Divinità”; “non ci si avvicina all’Assoluto con un viaggio, ma con un’estasi”; “la misura di un’Etica è la capacità di svilupparsi in Mistica”.

                      Maria Luisa Bressani

XXIII Cammeo:  Premonizioni

e foto di Killmacduagh (Gort-Irlanda)

in cui è un sacello dove pregava S. Colombano

      

Renato Delle Piane intervista di Paolo Granzotto.

Delle Piane presentò alla Berio Le Lettere dei miei genitori

con Mario Cervi, Minnie Alzona e Franco Bovio moderatore

 

XXXIV Cammeo: Chiesetta di S. Canziano a Barca in Slovenia,

luogo dove insegnò mia madre nel 1937

 

La Chiesetta di Barca posto dove mia madre insegnò nel 1937 è poco lontano dalle grotte di S. Canziano e a questo Santo è dedicata.

I tre fratelli romani Canzio, Canziano e Canzianilla erano parenti dell'imperatore Carino ma quando scoppiò la persecuzione di Diocleziano emanciparono, dopo averli fatti istruire e battezzare, i loro 73 schiavi e partirono con il precettore Proto verso Aquileia dove avevano molti possedimenti. Volevano raggiungere Grisogono  già considerato un  Santo ma questi era stato martirizzato presso Aquas Gradatas a 15 km. da Aquileia un mese prima del loro arrivo. E furono martirizzati  e decapitati proprio sulla tomba di Grisogono non avendo voluto rendere omaggio agli dei.

Molte le Chiese che vantano di possedere reliquie dei tre Canzii e tra queste vantando di possedere proprio le salme è la Chiesa del Monastero di S. Maria d'Estampes dove facendole traslare da Milano le avrebbe fatte deporre re Roberto II il Santo (999-1031) nel giorno anniversario del martirio, il 31 maggio. Sono da notare i due daini del fonte battesimale e allego un'altra foto che come questi indica la regalità (in tutto il territorio francese) ed è il daino bianco raffigurato nel The Wilton Diptych (english or french school 1395-1399) e che fa parte appunto del pannello non grande e con questo nome che si trova alla National Gallery a Londra. E ne riporto ora la foto  perché  i quadri parlano a ciascuno di noi in modo misterioso e ci suggestionano. Per me è una delle cose più belle che abbia mai visto.

E c'è un fatto importante da considerare: quel daino bianco simbolo di regalità che passa dalla Francia all'Inghilterra e alla chiesina di S. Canziano è una riprova che l'Europa non è solo l'unione dell'euro e delle banche, ma nasce proprio da quelle lontane radici d'Arte e di Cristianesimo che si ritrovano in luoghi lontani, quelle radici che una parte degli stessi europei "analfabeti di ritorno" rispetto alla loro Storia vorrebbero negare non comprendendone più il substrato unificante. Se l'Europa è una speranza, bisogna tornare a studiare queste radici e ad apprezzarle perché sono la parte nobile del nostro Dna

Da Barca salendo poco sopra la Chiesina si vede d'infilata tra i meli selvatici un castello (era terra di castelli e principi la Jugoslavia di un tempo) e la vista della Chiesina nel bosco d' inzio autunno dove nei miei occhi c'è dall'infanzia anche un albero rosseggiante proprio in mezzo alla valle come lo vidi in questa visita e per la prima volta mentre quella vista è in me da sempre. Certo un albero in tanti anni da quando ero piccola sarebbe diventato più grande eppure in me era come lo vidi quella volta, per la prima volta dal vero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Voltarpagina: Convegno sulla scuola

Il Giornale 31 maggio 2008

Franco Cardini e Nicolò Scialfa: su Katyn opinioni diverse

Il Giornale 16 ottobre 2009

XXXIII Cammeo. Cultura è...anche: "lacrime e sangue"

Questo testo l'ho ritrovato ora on-line (pur se l'ho anche in carataceo) ma lo riporto perché on-line introduce tra l'altro una ricerca su come Ida Carniglia, una bravissima professoressa di cui scrivo nell'articolo, venne al Lyceum con quattro allievi così preparati da tenere un'alta conferenza ancor meglio di accademici e cattedratici: questo significa un buon insegnamento. Non solo trovo on-line che la Professoressa Carniglia è atutrice di due libri, già interessanti nel titolo: L'ultimo treno per Lucca e Nevrosi Karmiche, (entrambi nelle Edizioni ExCogita, nel 2002 e nel 2005)  come pure il prof. Benito Poggio, attivo per anni nell'Associazione ex allievi, quest'anno con Libero di Scrivere ha pubblicato un'edizione di Spoon River con il testo inglese a fronte e consultando tutte le precedenti edizioni critiche (ben 19). Alla pagina "I Maestri", c'è  il Caro D'Oria "la scuola che formava e non indottrinava" di Bianca Montale, nipote di Eugenio, il Premio Nobel e ottima storica. Tantissimi gli ex allievi che si sono distinti scrivendo libri di pregio.

Per il lettore circostanzio però l'articolo che nasce da uno precedente scritto ricordando miei professori del D'Oria e con in apertura di pagina un pezzo in cui Vittorio Sirianni, di qualche anno più anziano,  ne ricordava di suoi. Orbene una certa Mascetti ci scambiò per "vecchi" professori del tipo di quelli che compaiono nel film L'Attimo fuggente prima del giovane insegnante rivoluzionario mentre io ho insegnato un anno solo e poi ho praticato giornalismo per più di 30 anni e Sirianni ha una carriera più lunga e brillante della mia. Rispose Sirianni con una battuta di spirito di quelle che caratterizzano certi  "spiritacci sempre giovani e un po' goliardi " del giornalismo fingendo di credere che Mascetti fosse il conte ridicolo descritto nel film  Amici Miei. Ma quello che Mascetti non aveva capito è che s'incontrano sempre insegnanti che ti possono ostacolare o da cui farsi capire come accadde a lei che passata dal D'Oria ad una scuola di quelle in fama di essere più comprensive o facilitate ebbe buoni risultati. Ogni percorso e scelta familiare dei genitori per affiancare figli in difficoltà e portarli bene al traguardo finale dei loro studi è più che lecita, ciò non toglie che bisogna anche saper capire ed avere un po' d'umiltà nell'ammettere proprie possibili difficoltà o deficienze  proprio se poi chi ha penato sui banchi si afferma  secondo il proverbio del primo della classe che è ultimo nella vita e viceversa.

Questo dell'articolo  invece è stato il mio D'Oria con un un po' di nostalgia per tanti professori-maestri che ricordo in altre pagine e ricordando anche qualche pianto (succede a tutti). Mi capitò ancora all'Università quanto all'ultimo esame di bizantino con il grande grecista  Enrico Turolla questi mi disse: "Non ti do la lode perché siete tutte donne (eravamo in sei a quel corso) e le altre diventano gelose e la vogliono anche loro, ma la tesi l'hai fatta proprio tu? Penso di proporla per il diritto di pubblicazione se ti fermi all'Università per migliorare il capitolo su Camilla" E poi nella prima pagina della tesi, la copia che lasciai all'Università, Turolla scrisse di suo pugno che lui pur avendo frequentato ed amato Omero per tutta la sua vita di studio (la tesi verteva sugli episodi di valore in Omero e Virgilio) tuttavia aveva imparato da me e da certe mie intuizioni critiche. Ma io fuori dalla porta piangevo come una vite tagliata pensando ai sacrifici di quella tesi quando sposata nella primavera del terzo anno d'Università mi ero trovata a svolgerla mentre ormai aspettavo un bambino che poi persi e pensavo che il peso del vocabolario sul mio pancino dato che il ginecologo mi aveva imposto il riposo assoluto gli avesse impedito di crescere come avrebbe dovuto.

Piangevo e un ragazzo venne a battermi la mano sulla spalla: "Poverina, i professori sono tutti pazzi. Quanto ti ha dato?" e io singhiozzando"Trenta", per cui il ragazzo aveva battuto i tacchi mi aveva fatto il saluto militare e si era inabissato in fondo al corridoio e io poi piangevo e ridevo sentendomi "una strega che si pettina  e fa piovere con il sole".

E un'altra volta e lì  mi diplomai a 40 anni all'Università Cattolica avevo sostenuto l'esame di Teatro con Sisto dalla Palma e l'assistente Claudio Bernardi (di cui trovate la "Settimana Santa" alla pagina "Religione") mi aveva interrogato per un'ora e un quarto dopo che per andare all'esame in preda ad un mal di capo furibondo mi ero docciata con acqua fredda e calda pur di rianimarmi. Poi venne il momento di affrontare Sisto, il mio professore-mito, e questi non mi chiese quasi nulla (metre mi volevo misurare con il suo sapere)  e si limitò a convalidare i voti che Bernardi aveva scritto a fianco della varie domande e che in totale  facevano "Trenta", cui il prof. aggiunse la lode.

Fuori dall'aula piangevo dirotto e un ragazzo compagno di corso, però già con i capelli bianchi, mi disse: "Ma non si cambia mai? Perché piangi?" "Volevo la soddisfazione di un bell'esame" e lui: "Hai imparato?" "Sì!" "Brava e allora ti servirà per il tuo lavoro".

E tornando indietro nel tempo studiare  al D'Oria significava esser svegliata in una settimana dal proprio padre per ben tre volte alle cinque di mattina per ripassare per l'imminente interrogazione del prof. Raimondi, ha significato all'Università  dare l'esame di Storia Romana con il professor De Regibus anche preside di Facoltà con la febbre oltre 38° (situazione che a me provoca deliri e che mi fece guadagnare il più brutto voto del libretto, un 24), ha  significato  da sposa e mamma proprio per gli esami dell'Università Cattolica mettere la sveglia a mezzanotte nel monolocale di montagna durante le festività natalizie ed eclissarmi in bagno per studiare fino alle 2 o alle 3 in modo da non disturbare la famiglia, ha significato sempre all'Università, questo però quando ero ancora ragazza e magari mi riducevo a ridosso dell'esame per studiare, passare sui libri concentratissima "undici " ore al giorno con solo cinque minuti d'intervallo tra una e l'altra e potendo contare allora su una splendida memoria fotografica per cui le pagine di un libro mi rimanevano impresse proprio con le loro parole scritte. Fu così che al primo esame di abilitazione, un tema su Machiavelli, allo scritto fui bocciata e mi stupii dato che avevo citato a memoria frasi e frasi dell'autore. Solo ora capisco che senz'altro l'esaminatore deve aver pensato ad una feroce scopiazzatura da parte mia. Poi ricuperai alle abilitazioni successive in italiano, latino e greco ma allora piansi: non mi era mai successo di essere incompresa per un tema anzi mi ero sempre classificata entro il terzo posto anche all'Università con il vaglio del prof. Franco Croce, gande italianista.

Ha significato per la Tesi sui venti anni del Settimanale cattolico non avendo ben realizzato la scadenza entro cui si doveva depositare in segreteria scrivere un intero capitolo in una notte: avevo tutto il materiale e credevo di cavarmela in due o tre ore, invece ci passai la notte e la mattina dopo mi sentivo leggera e appagata come avessi brindato a champagne. Andavo per strada provando l'incredibile leggerezza dell'essere.

Certo le ore notturne spese sui libri o le lacrime per inadeguatezza non si trasformano immediatamente in cultura: è un buon inizio più che disperdersi in altre cose: dalle canaste alle feste alle mangiate in compagnia, ecc., però c'è poi la capacità che ha ciascuno di immagazzinare nel profondo si sé, di riutilizzare le nozioni rielaborandole creativamente a seconda della propria personalità. C'è ad esempio un tipo d'intelligenza associativa o per analogie per portare un esempio come quella di Vittorio Sgarbi che ottiene risultati sconosciuti a menti più razionali e anche se ad alcuni appare un modo di riferire agli altri un po' divagante o dispersivo, è anche il modo con cui sento più affinità pur senza aver raggiunto i risultati del Vittorio e questo anche perché c'è poi tutta un'operazione di marketing di sé che alcuni sono più abili a compiere di altri. Insomma tante le strade percorribili per farsi una cultura, solo che a un certo punto questa deve farsi evidente anche agli altri: c'è o non c'é e la cultura come la belleza chi non ce l'ha non può darsela nonostante le tante smanie di protagonismo che riscontro in molti miei simili.

Infine per liquidare l'argomento cultura con una battuta, un tempo, da giovane, solevo dire "Ho una cultura generale in qualche campo particolare", battuta che spesso mi veniva ritorta contro come ammissione di  totale ignoranza, ragion per cui umilmente non dico più nemmeno ciò. Però quanta fatica personale "la cultura"!

Questo per dire che nessuno di noi ha la scienza in tasca e quel poco di cultura che si riesce ad acquisire è "lacrime e sangue": lacrime quando si fallisce o per qualche motivo ci si sente umiliati, sangue come per il mio bimbo perduto e quando mi alzai da quel letto ero io stessa  come una bambina convalescente, come quelle pallide erbe che talvolta crescono esangui a fianco dei rivi. e questo pur essendo nel fiore della giovinezza.

E ora anche un rammmarico, senza lacrime però: "Perché on -line i tuoi  articoli se non sei fissa in redazione passano con il termine generico: "Redazione"? E' un piccolo dispiacere perché in fondo c'è il diritto d'autore anche se per poche righe di giornale e non mi sembra così rispettato, però resta il fatto della gioia d'aver scritto e magari di essere stata condivisa da qualche lettore. La firma è un metterci la faccia e quindi sarebbe meglio, ma così è..."

Ho poi rinvenuto on-line grazie all'aiuto della persona il cui libro avevo recensito e che ne ha conservato l'indicazione che ad inzio 2013 c'era il mio nome  e cognome premesso alla recensione: anche i giornali migliorano, come spero a poco a poco per questo mio Sito.

Quanto al "lacrime e sangue" pregherei di vedere questa espressione usata alla pagina "Politica: Sinistra, Destra" da don Luigi Stefani ad inizio di un capitolo di "Sradicati" e con  sofferenza ben più grande. Ricordo la stessa frase di Churchill che chiedeva sacrifici agli inglesi in tempo di guerra, però ognuno di noi a volte soffre e gli sembra intollerabile pur se per motivi personali e non di collettività o di popolo.

Prima a dimostrazione delle cultura che si riceve dal D'Oria voglio inserire qui un omaggio di Beatrice Poggio artista simbolista  figlia del prof. Benito a lungo attivo al Liceo anche nell'Associazione amici ex allievi omaggio che veniva dato a chi ha partecipato alla presentazione del  libro del professore su Spoon River, traduzione e testo a fronte. E la affianco all'Introduzione del padre: così capite cos'è cultura al D'Oria.

E' una cultura che passa dai genitori ai figli ed è un patrimonio ideale della nostra società nonostante il liceo classico sia sempre più disatteso causa l'imperante cultura tecnologica, ma senza umanesimo non c'è futuro. Segnalo anche l'editore di Liberodiscrivere, l'architetto Antonello Cassan che con intellligenza e fruendo delle moderne tecnologie ha dato vita (e conservato quindi per la memoria di noi tutti)  ad un'editoria con testi di tanti umanisti, storici e persone di cultura: non si accede a Libero di scrivere se non con proposte più che valide di chi desidera pubblicare il proprio libro.

Claudio Papini 7 maggio 2011:

Il sapere classico è il fondamento della nostra cultura

Nel dibattito sulla scuola riporto l'intervento del prof. Papini che al di là della battutaccia di spirito di Sirianni su Mascetti (che di nome fa Marina)  la riabilita dicendo che ha messo in luce alcuni problemi importanti. Quindi do spazio alle sue parole tanto più che mentre il precedente mio amarcord era sul filo del sentimento e sono passati più di 5o anni dalla mia maturità, Papini ha isegnato a lungo al D'Oria ed è andato in pensione quest'anno. Sostiene che il D'Oria è ormai sindacalizzato dalla CGIL mentre nel mio articolo c'è solo l'accenno ad una professoressa appartenente a questo sindacato che già allora cercava di far proseliti tra gli alunni... Se a qualcuno interessa legga con attenzione le riflessioni del prof. Papini prima di immergersi nei suoi testi e ricordando che il suo libro su Ingmar Bergman è da me riportato sia alla pagina Autori che alla pagina Cinema (lo trovo un testo affascinante e anche in esso vi sono riflessioni tramite il regista svedese sul '68, riflessioni molto calzanti e con più valore in quanto espresse da un artista geniale)

Monica Bottino intervista Scialfa autore de

Lo Sterminio degli Ebrei

Il Giornale 28 gennaio 2010

Il Liceo classico D'Oria che forma ed ha formato generazioni di giovani

Il Giornale 20 marzo 2011

 

Beatrice Poggio artista simbolista

Significato dell'illustrazione simbolista di Beatrice Poggio, sopra riportata.

Beatrice dà voce in immagini a tre epitaffi per il padre di particolare intensità morale ed emotiva.  In sequenza dall'alto a sinistra:

1)  Francis Turner (nel libro a p.114): giovane cardiopatico che non regge all'emozione del suo primo bacio con la ragazza amata e che ha tanto colpito  Fabrizio De André da musicarlo.

2) Dippold the Optician (p.220) anch'esso  con musica di De André: "un mondo migliore attraverso lo sguardo innocente di un bimbo".

3) Johnnie Sayer (p.70): "attrazione/curiosità di un ragazzo per il treno e con finale tragico".

Beatrice aveva già ideata un'ilustrazione: "Il villaggio di Spoon River pensato da me", dove il villaggio compare su una collina e il cimitero più in basso ad una certa distanza dal paese. Tale illustrazione frutto della collaborazione ideale - bellissima! - tra figlia e padre era già comparsa su una pubblicazione su Spoon River di Poggio ma relativa a soli 40 epitaffi (Editore De Ferrari). Ora l'architetto Antonello Cassan, editore di Liberodiscrivere, ha voluto fosse di nuovo inserita ed è a p. 4 del libro.

(Per meglio conoscere il mondo e i lavori della giovane artista andare sul nome "Beatrice Poggio")

 

      
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